Corriere della Sera, 20 dicembre 2017
Ora il centrodestra è a quota 281 seggi. Maggioranza difficile anche con larghe intese
Le intenzioni di voto pubblicate domenica dal Corriere segnalavano un calo del Pd, solo in parte compensato dalla crescita delle forze alleate, una contrazione del M5S, il centrodestra complessivamente accreditato del 36% dei voti validi, la sinistra stabile al 6,6%.
Con questi numeri il centrodestra risulterebbe avere complessivamente 281 seggi (sommando scranni provenienti dai collegi uninominali e dal proporzionale), seguito dal M5S con 158 deputati, dal Pd con 151, e da Liberi e uguali con 27 seggi tutti provenienti dal proporzionale. Alternativa popolare al momento non raggiunge la soglia di sbarramento e non è stata considerata, a differenza delle altre volte, come alleata del Pd, tenuto conto delle divisioni che attraversano la formazione.
Gli andamenti premiano con evidenza il centrodestra che, rispetto alle stime di poco più di un mese fa, guadagna 29 seggi, a scapito dei 5 Stelle (che ne perdono 15) e del Pd (che ne perde 13), mentre Liberi e uguali ne guadagna 3, anche grazie al mancato ingresso in Parlamento di Alternativa popolare.
Come mai questi cambiamenti? Il centrodestra guadagna qualche seggio nel proporzionale (5 in totale), ma ben 24 nel maggioritario. Il calo di Pd e M5S infatti fa sì che una parte dei collegi cosiddetti marginali, cioè dove le distanze sono ridotte, passi da queste formazioni al centrodestra, in particolare al Sud, sottraendoli soprattutto ai pentastellati le cui perdite sono appunto concentrate nel maggioritario.
Ma il dibattito di questi giorni è incentrato sulla possibilità che la coalizione di centrodestra arrivi alla maggioranza assoluta, grazie alla «soglia implicita» del 40%. In realtà questa ipotesi al momento parrebbe di non facile realizzazione. I calcoli sono semplici. Per avere la maggioranza alla Camera occorrono 316 deputati. La coalizione (o la forza politica) che ottiene il 40% si porta circa 160 deputati dalla quota proporzionale. Per arrivare alla maggioranza occorrono ancora 156 deputati. Che corrispondono a circa il 68% dei deputati eletti con il sistema uninominale (231, escludendo la Valle d’Aosta). Infine va notato che i conflitti degli ultimi giorni e le polemiche sempre più marcate tra Salvini e Berlusconi non giovano alla coalizione. Certo quello del centrodestra è un elettorato che più facilmente degli altri si «cumula», superando differenze anche importanti. Ma le divisioni interne possono allontanare più di un elettore.
Ci sono altre maggioranze possibili? Se usciamo da quella che viene considerata fantapolitica, cioè l’idea di un accordo Pd-5Stelle, le altre ipotesi praticabili non producono maggioranze. Una di cui si parla è riferita alle cosiddette larghe intese, cioè un’alleanza Pd-Forza Italia. Diventa difficile dare numeri, poiché bisognerebbe sapere quanti deputati uninominali eleggerebbe Forza Italia. Ma anche ammettendo che ne ottenesse la metà di quelli guadagnati dal centrodestra, non sarebbero comunque sufficienti. La somma finale infatti darebbe 286 deputati, non abbastanza. Lo stesso o quasi avverrebbe per un’ipotetica coalizione definita «antisistema», composta da M5S, Lega e Fratelli d’Italia. In questo caso, sempre assegnando a queste due forza metà dei seggi uninominali del centrodestra, si arriverebbe a un totale di 304 seggi. Più vicini, ma ancora insufficienti. Insomma, allo stato dell’arte, sembra proprio che dal voto possa sortire un Parlamento ingovernabile. A meno di una crescita sensazionale di una delle formazioni in campo o di schemi di alleanze che la nostra fantasia non riesce a prevedere.
Gli scenari che si aprono sono quindi piuttosto complessi. Il ritorno al voto a breve (qualcuno lo ritiene probabile accennando al fatto che diversi leader non si candiderebbero in questa occasione aspettando il voto «vero», cioè quello successivo) sarebbe sensato solo se si cambiasse la legge elettorale, con una torsione maggioritaria più netta. In un sistema tripolare sarebbe probabilmente necessario il doppio turno, per garantirsi la governabilità. Ma questo è stato già bocciato dalla Consulta. E comunque, per cambiare in un senso o nell’altro la legge elettorale, si dovrebbe avere un governo di scopo, con un accordo solido e con la capacità di fare fronte anche alle altre scadenze inderogabili, tra cui le manovre di aggiustamento dei conti, cosa che sembra davvero difficile.
L’ultimo scenario è quello della prosecuzione del governo attuale. Qualcuno la chiama prorogatio, ma forse non è proprio così. In fondo Gentiloni rimarrebbe comunque in carica, pur se solo per il disbrigo degli affari correnti. E tutto sommato l’indice di gradimento del governo (40,5) e del presidente del Consiglio (42,1) di questi tempi non sono così male.