Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  dicembre 20 Mercoledì calendario

Pietre, pentole e pallottole. È battaglia a Buenos Aires


Nella notte, Federico, 42 anni, ha rinforzato due canne di bambù con lo scotch da pacchi, ha provato il rumore che ne usciva «suonandole» una contro l’altra ed è sceso in strada, tra centinaia poi migliaia di persone che battevano pentole, padelle, mestoli, cucchiai.
Da Flores, nel centro geografico di Buenos Aires (diventato celebre perché è il quartiere di papa Francesco), ha seguito il ritmo delle manifestazioni spontanee fino all’avenida Rivadavia, e di qui per quasi due ore ha marciato con gli altri a piedi fino al cuore politico della capitale, confluendo nell’enorme piazza del Parlamento, che in una tesissima sessione di dodici ore alla fine, ieri mattina, ha approvato la riforma delle pensioni. 
Il successo (di misura) del presidente di destra Mauricio Macri segna in Argentina il ritorno della protesta delle pentole, il «cacerolazo» che aveva marcato la disastrosa crisi del 2001. Da San Telmo a Sud, alle zone borghesi del Barrio Norte come Belgrano e Recoleta, dove appena due mesi fa il partito «macrista» aveva stravinto le elezioni di medio termine, «la resistenza si è estesa in direzioni impensate», ha scritto nel suo blog il celebre giornalista di sinistra Horacio Verbitsky. Già a mezzogiorno girava via WhatsApp un appello a tornare in strada con le casseruole la sera: «Cacerolazo alle 19, in tutto il Paese. Condividi per scendere in strada tranquilli e facendoci ascoltare».
Le pacifiche pentole, però, sono entrate in scena per ultime. Lunedì e prima ancora giovedì la protesta contro le riforme è stata anche molto violenta, e soprattutto violentemente repressa. La gendarmeria, usata straordinariamente come forza di sicurezza, ha abusato di gas lacrimogeni e proiettili di gomma. Allo stesso modo, la polizia locale: impressionanti le immagini registrate dai telefonini dei manifestanti degli agenti in moto, armati di fucili, che colpivano a distanza ravvicinata a corteo disperso. Dall’altra parte, lunedì pomeriggio sulla avenida 9 de Julio alcuni gruppi di oppositori stavano già bucando l’asfalto per farne pietre da lanciare in battaglia. La foto della prima pagina de La Nación (quotidiano vicino al governo), ieri, era di un militante di estrema sinistra, Sebastián Romero, che mirava al cordone di sicurezza con un artigianale lanciarazzi. Almeno ottanta fermati e oltre 150 feriti tra manifestanti, poliziotti e anche reporter, per un livello di scontro che in un Paese dalla recente sanguinosa dittatura militare risveglia grande paura.
«Decí tu nombre» gridavano dal balcone giovedì a Damiana Negrín Ceballos, 22 anni, che tornava a casa dal lavoro, scambiata per manifestante, arrestata, malmenata e pure palpata da un gruppo di gendarmi. «Di’ il tuo nome» si urlava ai ragazzi sequestrati dal regime militare tra il ’76 e l’83, prima che sparissero nel nulla. 
«Macri spazzatura sei la dittatura» era il più cantato degli slogan in piazza. La deputata fedelissima al governo Lilita Carrió in aula gridava contro il «colpo di Stato» dei manifestanti. Parole grosse, la tensione non era così alta da decenni in Argentina. Con abusi e tensioni, però, la dinamica è pur sempre democratica.
Mauricio Macri è forte di un ampio consenso alle urne; l’ex presidente Cristina Kirchner ha perso base e deluso i sostenitori: resta una debole leader dell’opposizione. In questo contesto, si è aperto il margine per far passare riforme ultra liberiste e ampiamente impopolari, che il presidente considera, però, indispensabili alla ripresa del Paese (cominciando col risanamento dell’enorme deficit). 
«Tutti i cambiamenti generano disagio – ha detto ieri Macri in conferenza stampa – ma sono necessari. È l’unica via per garantire un futuro al Paese. Non posso fare magie, ognuno deve mettere il proprio granello di sabbia».
Sul granello che è toccato adesso ai pensionati (con le pensioni agganciate all’inflazione e di fatto tagliate) ha espresso «sofferenza» anche papa Francesco. 
La prossima tappa annunciata è la riforma del lavoro. Sciopero generale già ieri, pentole pronte. Nonostante la pioggia, estate Argentinasorprendentemente calda.