la Repubblica, 19 dicembre 2017
Ritratto di Altero Matteoli, missino in terra rossa
Ancora ieri mattina, poco prima di morire, Altero Matteoli parlava di politica al telefono con Maurizio Gasparri. C’era il problema delle candidature in Toscana, alle elezioni della prossima primavera, e lui stava tornando lì, sul suo territorio.
«Era stato a Roma, alla recita scolastica di un nipotino racconta Gasparri – e mi ha detto: “Torno in macchina ma non sarò solo”. Poi, in realtà, non è andata così. Guidava lui ed è morto su quella strada che considerava maledetta e che gli era già costata tre fratture e la Rianimazione per un incidente nel 1985. Non mi capacito che la nostra sia stata l’ultima telefonata».
Tra i protagonisti della politica italiana, Altero Matteoli lascia una traccia intensa di emozioni tra i colleghi. Non reazioni formali e nemmeno di parte. Lui, nato missino, cresciuto politicamente accanto a Beppe Niccolai, storico esponente pisano della Fiamma, era apprezzato per il low profile, per la competenza, «per la lealtà», come ricorda il capogruppo Pd al Senato Luigi Zanda, per i toni moderati in un mondo di urlatori. E nemmeno la condanna in primo grado per corruzione del 2014, nell’ambito dell’inchiesta Mose, aveva scalfito la sua popolarità nel mondo delle istituzioni.
Un politico di lungo corso: 34 anni di Parlamento, prima alla Camera poi al Senato, ministro di tutti i governi Berlusconi dal’94 al 2011, due volte all’Ambiente, una alle Infrastrutture e Trasporti fino al 2011. Un uomo di potere nel partito, prima Msi e poi Alleanza nazionale, dove Fini lo volle all’Organizzazione, ruolo nevralgico non a caso affidato al colonnello più esperto tra quelli che animavano le cosiddette correnti o «componenti».
All’epoca, Matteoli apparteneva ad “Area Vasta” con Pinuccio Tatarella, Gasparri, Ignazio La Russa, Domenico Nania, Adolfo Urso. Lui, nato a Cecina nel 1940, era fra gli anziani del gruppo, «uno di quelli vissuti dalla parte sbagliata, un missino, nella rossissima Toscana – scrive Il Secolo d’Italia - uno che aveva attraversato il deserto per arrivare al governo di questo Paese». L’11 maggio del 1994 Matteoli si ritrova ministro dell’Ambiente, («Sinistro dell’Ambiente», scherzava Tatarella) la prima volta per un missino, in compagnia di Adriana Poli Bortone e dello stesso Pinuccio, il Gianni Letta di An. Un pezzo di destra che non c’è più, implosa, divisa oggi da rancori. «Ma le divisioni recenti non sono nulla rispetto a 35 anni di battaglie comuni, gioie e dolori», ci tiene a dire Gianfranco Fini che diffonde una nota carica di malinconia: «Caro Altero, anche se non sopportavi la retorica, mancherai davvero a tutti coloro che ti hanno conosciuto». «Perdo un amico», dice Silvio Berlusconi.
Matteoli il colonnello che, ad un certo punto, si dissocia dal leader di An. È la famosa scena del caffè, siamo nel 2005. Matteoli, La Russa, Gasparri parlano liberamente del Capo. Un giornalista ascolta e pubblicherà. Gasparri ricorda le parole di Matteoli: «Dobbiamo andare da Gianfranco, scuoterlo, dargli due ceffoni». Reazione durissima di Fini che caccia Gasparri dalle Telecomunicazioni. Nemmeno in quell’occasione, davvero scomoda, Matteoli perde l’aplomb né si confida con i giornalisti. «Dalla sua bocca non è mai uscita una parola di troppo», scrive Il Secolo.
Un incassatore, tra le altre cose, anche quando affronta «con amarezza», le sue grane giudiziarie. Il Wwf lo premia come “Attila”. Lui, sponsor della Tav, orgoglioso fautore del condono edilizio varato dal governo Berlusconi, fermo su Kyoto e il nucleare. Fu di Matteoli anche la proposta di innalzare a 150 km orari il limite di velocità delle autostrade. È lo stesso Wwf ad esprimere ora alla moglie Ginevra e ai figli le condoglianze riconoscendogli «grande correttezza istituzionale nonostante la distanza delle rispettive posizioni».
Matteoli, presidente in carica della Commissione Lavori Pubblici del Senato («Su questo, nonostante la condanna di primo grado nessuno ha avuto da ridire nemmeno i grillini», ci tiene a ricordare Gasparri) stava tornando nella sua Toscana. Su quella strada, l’Aurelia. Una strada pericolosa per gli incroci a raso. Da ministro si era battuto senza successo per il completamento dell’Autostrada Tirrenica, nel tratto fra Tarquinia e Grosseto, preferendolo di gran lunga all’ipotesi del semplice raddoppio. «È una strada pericolosa – diceva sempre – ha già fatto tanti morti».