Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  dicembre 19 Martedì calendario

APPUNTI SUL CASO DEL MAGISTRATO BELLOMO

1QQG QQBELLOMO PRSM QQMICHELEBELLOMO


superuòmo s. m. [comp. di super- e uomo, calco del ted. Übermensch] (pl. superuòmini). – 1.Uomo che eccelle e domina per le sue doti eccezionali di genio e volontà sugli altri uomini, soprattutto in riferimento al pensiero di F. Nietzsche per cui l’Übermensch è l’individuo che si manifesta nella essenza più autentica, come esplicazione – nella sua volontà di potenza che al di là di ogni legge lo porta ad affermarsi su tutti – della forza originaria della vita: l’interpretazione estetizzante di G. D’Annunzio del s. nietzschianoil mito razzistico del s. posto alla base del nazismo. 2. Uomo superiore, o che si ritiene superiore agli altri, in usi per lo più iron. o polemici: si ritiene un s.smettila di fare il s., o di atteggiarti a superuomo.


***


CORRIERE DEL MEZZOGIORNO 16/12 –


Più che una Scuola per diventare magistrato, quella gestita dal consigliere di Stato Michele Bellomo - a rischio destituzione dopo la denuncia presentata dal padre di una delle sue studentesse- sembrava la setta di Scientology. Con le ragazze, sottoposte a un regolamento che comprendeva anche un dress code, fatto di minigonne e tacco 12, che si trovavano in uno stato di «prostrazione psicologica»; e che per il timore di vedersi precluso l’accesso in magistratura finivano per accettare tutto quello che veniva loro richiesto. Ha evocato anche il film The Master, parzialmente ispirato alla figura del fondatore di Scientology, il sostituto pg della Cassazione Mario Fresa nell’udienza a porte chiuse davanti alla Sezione disciplinare del Csm che deve decidere se sospendere dalle funzioni e dallo stipendio e collocare fuori dal ruolo della magistratura il pm di Rovigo Davide Nalin, collaboratore di Bellomo. [...]


***


INTERVISTA A BELLOMO. VIRGINIA PICCOLILLO, CORRIERE DELLA SERA 12/12 –

ROMA Consigliere Bellomo, ci spiega perché costringeva le borsiste al dress code con minigonna nera e tacchi? 
«Sono tenuto al silenzio e fino a che non sarà finita non posso difendermi. Sono state scritte cose false. Il magistrato si giudica per quello che fa». 
Che vuol dire? 
«La giustizia è criticatissima e invece vi trovate davanti uno che per 25 anni l’ha svolta in maniera praticamente perfetta. Una volta che io esco dalle aule di giustizia torno una persona libera di esprimere le mie idee. Giudicatemi come uomo».
E il regolamento con vestiti succinti e obbligo di omertà? 
«Ma quale omertà? Voi non ce l’avete il contratto. È tutto trasparente». 
Allora lo mostri. Perché tanto segreto? 
«Esistono delle clausole di riservatezza nel contratto che viene sottoscritto con la società che organizza i corsi. Come negli Stati Uniti». 
Il Corriere però ha letto i suoi articoli. 
«Visto che avete rubato quelle riviste cercate di capire il mio metodo innovativo». 
Che problema c’è a leggere una rivista giuridica? Perché deve essere segreta?
«È riservata agli allievi del corso. Innanzitutto perché hanno pagato, e poi perché è un metodo che li avvantaggia nel superare l’esame». 
È lei a scrivere che una borsista scartata venne ripescata dopo aver indossato a lezione il dress code.
«È una semplificazione. Il mio è un metodo scientifico di intendere la funzione della ragione nelle cose umane. Tutti i geni, anche Einstein, si sono dovuti difendere dagli attacchi di chi non ne conosceva le idee. Non avrei voluto divulgare le mie, ma sono venute fuori. Allora perché non dite che funzionano? Le mie allieve (e i miei allievi) hanno superato il concorso più di quelle di qualunque altro corso. E poi il dress code non è quello che scrivete». 
Ma ci sono le foto.
«Quelli sono eventi. E il dress code non mi è stato contestato, mentre leggo che sono stato condannato per quello. Io non posso e non voglio parlare di quel procedimento di fronte al Consiglio di Stato. Ma se anche volessi, come nel processo di Kafka io, tutt’ora, le accuse non le conosco. Non mi hanno contestato nessuna clausola. Un uomo che ha fatto il pm in realtà complicate come la Sicilia, può essere censurato per un dress code ?» 
Anche per aver raccontato i rapporti sessuali che una borsista aveva con lei e con altri uomini. 
«Bisognerebbe sapere se c’era il consenso».
C’era? 
«Certo. Questa ragazza ha vinto il concorso, durante la pubblicazione della rivista. Non vi fate domande?». 
Alcune ragazze raccontano di altre allieve selezionate per meriti che, una volta diventate borsiste, non parlavano più con nessuno e sembravano entrate in una setta. 
«Non è vero niente. Non è scritto da nessuna parte. Io quando ero pm gli anonimi li cestinavo».
Allora può rassicurare le sue allieve che non denuncerà chi deciderà di parlare? 
«Come posso rassicurarle di una cosa che non esiste?»
Temono che le faccia bocciare al concorso.
«Assurdo. Non ne ho il potere». 
E allora come spiega quanto sta accadendo? 
«Facciamo un esempio: due persone si incontrano, fanno l’amore, il giorno dopo l’uomo dice che è stato bello. La donna lo denuncia. Vogliamo capire come mai?». 
Facciamone un altro: aspiranti attrici facevano un provino da Weinstein e venivano molestate. 
«Non c’entro nulla con quel tipo di cose. Weinstein è un produttore che ti può bloccare la carriera. Io non sono la casta sono uno che ne sta completamente al di fuori e tutto questo ha un peso su ciò che sta accadendo. Ma quando potrò parlare si capirà tutto».


***


BELLOMO RISPONDE: «MI SENTO TRADITO» - REPUBBLICA.IT 19/12 –

ROMA - Dice di "sentirsi tradito e usato" Francesco Bellomo, il magistrato e consigliere di Stato finito sotto accusa dopo le denunce di alcune allieve del suo corso in magistratura.


Per lui quelle ragazze gli "sono state accanto o hanno aderito ai corsi solo per interesse personale e non mosse da veri sentimenti o convinzioni ideali, come invece professavano". Parla così Bellomo ai giornalisti dell’Ansa, dopo che, per indagare i suoi metodi di insegnamento, sono state aperte due inchieste: una a Bari e l’altra a Milano, dove c’è un’altra sede della sua scuola.


"Con talune - continua il consigliere di Stato, che si è rivolto per la difesa al professor Vittorio Manes e all’avvocato Beniamino Migliucci - ho avuto relazioni sentimentali e mai nessuna, sino a quando il rapporto è durato, mi ha eccepito un qualche comportamento sgradito, anzi insistendo perché la relazione acquistasse importanza. Quanto alle altre (un ridottissimo numero di allieve titolari di borsa di studio), esse mi chiedevano di prepararle e guidarle per affrontare al meglio il concorso in magistratura, esprimendo piena e convinta adesione al mio metodo di insegnamento".


Molte di loro, continua il consigliere "non diversamente da tanti altri allievi, hanno anche brillantemente superato le prove di concorso, manifestandomi riconoscenza. Adesso vedo costruita (senza averne peraltro alcuna formale notizia) sui loro racconti un’accusa di estorsione e assisto impotente al tramonto di una carriera a cui nessun rimprovero può essere mosso (e mai è stato mosso)".


Poi una frase dedicata al futuro: "I prossimi anni della mia vita saranno probabilmente destinati a far emergere la verità, sopportandone


il costo morale e materiale. Ma quando ciò accadrà, si saranno prodotti danni irreparabili: nella ’civiltà’ moderna un uomo può essere devastato da false informazioni e giudizi sommari senza avere, in sostanza, alcuna possibilità di difesa".


***


IL POST 15/12 –

Nei prossimi giorni l’Adunanza generale del Consiglio di stato, uno degli organi di autogoverno della magistratura amministrativa, dovrà decidere se destituire uno dei suoi membri, il consigliere di stato Francesco Bellomo, un magistrato accusato di una lunga e bizzarra lista di abusi e molestie dalle studentesse che frequentavano i suoi corsi di formazione. Sarebbe una decisione storica: poche volte nel corso degli ultimi 70 anni il Consiglio di stato ha comminato la sanzione massima nei confronti di uno dei suoi membri. Ma Bellomo rischia molto di più della radiazione dalla magistratura: le procure di Piacenza e Bari hanno aperto indagini che lo riguardano, mentre anche la procura di Milano ha iniziato a interessarsi alla vicenda.

Francesco Bellomo è un magistrato del Consiglio di stato, il supremo organo della giustizia amministrativa, quello a cui ci si appella contro le decisione dei famosi TAR, per intendersi. Bellomo vinse il concorso nel 2005 ed è descritto da alcuni giornali come una sorta di “celebrità” nell’ambiente della magistratura italiana. Il Mattino, in un articolo scritto in sua difesa, lo ha definito “un magistrato tra i più brillanti e autorevoli in Italia” (la sua fama, in ogni caso, doveva essere confinata al suo ambito, visto che gli archivi ANSA non contengono tracce del suo nome antecedenti alle accuse di molestie).

In ogni caso, Bellomo aveva un’altissima opinione di sé. Nel suo curriculum pubblicato sul sito della scuola (da poco eliminato, ma ancora accessibile) scriveva di sé: «[Bellomo] È accreditato […] di un Q.I. = 188 (media umana = 100)». Bellomo si definisce anche «studioso delle discipline a carattere scientifico, nel cui ambito ha conseguito titoli internazionali». In questo campo il suo principale traguardo sarebbe l’applicazione della «teoria della relatività generale nel diritto (il cd. “agente superiore”)»: una teoria che come vedremo sarà al centro di alcune delle accuse di molestie.

Oltre a svolgere il ruolo di magistrato del Consiglio di stato, Bellomo ricevette anche il permesso di tenere corsi privati agli aspiranti magistrati (una pratica molto diffusa all’interno della magistratura e spesso criticata). In poco tempo divenne direttore della scuola di formazione per magistrati in diritto amministrativo “Diritto e scienza”, che organizza corsi a Roma, Milano e Bari. È nel suo ruolo di direttore della scuola che Bellomo avrebbe commesso molestie e abusi. Bellomo è accusato di aver usato le borse di studio assegnate a studenti meritevoli per avvicinarsi alle allieve che riteneva più interessanti.

Una volta selezionate le studentesse, Bellomo mostrava loro un contratto che avrebbero dovuto firmare per accedere alla borsa. Il contratto conteneva alcune condizioni tutto sommato comprensibili – anche se potenzialmente illecite – come la scrittura di articoli per la rivista “Diritto e Scienza”, la partecipazione a studi e convegni, ma anche la promozione dell’immagine della società. È qui cominciano le principali stranezze. Per esempio, in un allegato al contratto veniva specificato l’abbigliamento che le borsiste avrebbero dovuto adottare durante le occasioni formali: una descrizione dettagliata al punto da specificare il tipo di scarpa (con tacchi alti), di trucco, di calze e la lunghezza della gonna (che avrebbe dovuto essere particolarmente corta).

Oltre a queste condizioni ce n’erano altre che sembrano uscite da uno scherzo venuto male. Una clausola del contratto prevedeva che la borsa di studio venisse revocata se il borsista si fosse sposato. Il fidanzamento del o della borsista era consentito solo in seguito all’approvazione personale di Bellomo, che avrebbe dovuto valutare il quoziente intellettivo del potenziale compagno o compagna. Questo ruolo di autorità di Bellomo nei confronti del borsista raggiunge il culmine quando nel contratto si definisce «l’agente superiore» a cui il borsista deve «fedeltà» (l’”agente superiore” è la figura prodotta dalla filosofia di Bellomo, che prevede di mischiare diritto e teoria della relatività). Infine, nel contratto era scritto «i risultati dell’attività di addestramento possono essere oggetto di analisi nella rivista». Il che significava che, in alcuni casi, le relazioni di Bellomo con alcune studentesse e le relazioni di queste con i loro compagni sono state discusse da Bellomo sulla dispensa online a cui avevano accesso gli studenti del suo corso.

Almeno otto studentesse hanno raccontato a giornali e magistrati cosa significassero in pratica queste istruzioni. Rosa Calvi, 28 anni, ha raccontato al Corriere della Serache – dopo essere stata selezionata per ricevere la famosa borsa di studio – Bellomo la incontrò in privato: «Mi chiese subito della mia vita privata: quanti fidanzati avevo avuto e cosa facevano. E poi disse che se decidevo di accettare, avrei dovuto perdere cinque chili entro marzo. Poi mi guardò in viso e mi disse: “Hai le borse sotto gli occhi, con un paio di punturine risolviamo la situazione”». Pochi istanti dopo «provò a baciarmi. In un attimo mi sfiorò le labbra e io lo evitai. Rimasi pietrificata». Nei giorni successivi Bellomo continuò a contattarla, invitandola a un corso a Milano. Per partecipare, però, Calvi avrebbe dovuto affrontare una serie di prove: «Andare in Ferrari con lui ad alta velocità oppure passeggiare in una via di locali e scegliere il migliore. Mi sembrarono delle cose assurde e decisi che era il caso di restare a Roma».

Il caso all’apparenza più grave è quello di una studentessa di Piacenza che, con la denuncia presentata dai suoi genitori, ha dato avvio all’intera vicenda. Una giornalista del Corriere della Sera, Virginia Picolillo, ha intervistato il padre della ragazza, che ha preferito restare anonimo. Sua figlia, a quanto emerge dal racconto, ha avuto una relazione con Bellomo, anche se il padre sospetta che sia stata in qualche maniera costretta. Quando però la studentessa ha deciso di terminare la relazione, Bellomo avrebbe iniziato a perseguitarla, pubblicando dettagli intimi della loro relazione sulla rivista web che era accessibile a tutti gli studenti della scuola, sempre raccontati attraverso la bizzarra metafora dell’”agente superiore”. Il padre ha raccontato al Corriere:

«Lui ha denunciato anche me. È la sua tecnica, fa terra bruciata. Ma io devo difendere mia figlia. Lei — spiega — era stata insieme con Bellomo (a questo punto non so quanto volontariamente o per contratto). Com’era successo anche ad altre, lui poi raccontava particolari intimi delle sue relazioni sulla rivista a disposizione degli studenti. Peggio della gogna del web, perché poi i tuoi compagni sanno se hai dormito con questo o l’altro, se sei stata brava, se il tuo fidanzato è un deficiente. Era obbligata al segreto. Sapeva che lui fa causa e le vince tutte e la clausola era da 100mila euro. Quando non voleva più andare è stata denunciata anche lei. Ma una borsa di studio non dovrebbe essere un premio a cui poter rinunciare? Invece lui l’ha fatta cercare dai carabinieri. Noi non sapevamo nulla. La vedevamo deperire. È alta 1,72 era arrivata a 41 chili. Un giorno, all’arrivo dei carabinieri, è svenuta. L’abbiamo dovuta ricoverare. A quel punto ho cominciato a investigare».


A Bellomo attualmente è vietato l’insegnamento ed è stato destituito dalla sua posizione: per diventare definitiva questa decisione ha bisogno del voto dei cento membri dell’Adunanza generale del Consiglio di stato, che dovrebbe avvenire nei prossimi giorni. Secondo l’accusa formulata dal Consiglio, Bellomo avrebbe costretto i suoi borsisti a firmare un contratto che «non rispetta la libertà e la dignità della persona». Con il suo comportamento avrebbe «violato il prestigio della magistratura». Nel frattempo il Consiglio Superiore della Magistratura, l’ordine di autogoverno della magistratura ordinaria, dovrebbe decidere oggi su Davide Nalin, pubblico ministero di Rovigo e accusato di essere un complice di Bellomo, usato spesso come “tramite” per convincere le ragazze più recalcitranti ad accettare il corteggiamento del consigliere. Bellomo si è difeso dalle accuse in un’intervista al Corriere della Sera in cui ha detto, tra le altre cose: «Tutti i geni, anche Einstein, si sono dovuti difendere dagli attacchi di chi non ne conosceva le idee».


***


FILIPPO FACCI, LIBERO 19/12 –

Ora addirittura estorsione. La notizia che il consigliere di Stato Francesco Bellomo risulta indagato a Bari per estorsione (da 7 a 20 anni) rimette su binari molto italiani una vicenda che per un attimo era sembrata da Paese normale: cioè un Paese che, nel caso, anzitutto cacciasse a calci nel sedere un magistrato responsabile di una bizzarra lista di abusi contro delle studentesse che frequentavano i suoi corsi di formazione; un Paese che, poi, spiegasse seriamente all’opinione pubblica come siano stati possibili dei comportamenti del genere in un ambiente come quello del Consiglio di Stato, organo di rilievo costituzionale. Un Paese che ci spiegasse, di passaggio, perché non dovrebbe accadere più. Invece ci tocca scacciare un altro timore: ossia che il Consiglio di Stato, per non finire tutto intero nel mirino dell’opinione pubblica - ancora discretamente incazzata con le caste - scaraventi un singolo e ormai indifendibile soggetto nel fossato dei serpenti, e questo non solo espellendolo com’è giusto (fatto già in sè rarissimo in 70 anni di Consiglio) ma lasciando che divenga anche una clamorosa eccezione che confermi la regola del caos, dunque un capro espiatorio su cui ora possano esercitarsi tutti i censori del caso. A essere molto italiano è questo.

RELAZIONI ON LINE Va da sè che Bellomo ne ha combinate di incredibili, tra il buffonesco e lo stolker. Sappiamo che, alle allieve che ambivano a una borsa di studio, e che lui riteneva più interessanti, mostrava dei contratti che specificavano l’abbigliamento da indossare: certo trucco, certe minigonne, certi tacchi alti e certe calze. C’erano clausole boccaccesche che vietavano i matrimoni e subordinavano al benestare di Bellomo eventuali fidanzamenti, al punto che le relazioni (comprese le tresche personali di Bellomo) potevano essere pubblicamente discusse sulla dispensa online del corso di formazione. 

Lo stesso Bellomo ha ammesso di aver raccontato i rapporti sessuali che una borsista aveva avuto con lui e con altri uomini. In caso di trasgressione di queste clausole, la multa prevista era di 100mila euro. Da qui la prima obiezione perlomeno nostra: posto che un contratto del genere non è solo ridicolo, ma soprattutto non può esistere perché è automaticamente nullo (come lo fu il Codice di comportamento per i candidati dei 5 Stelle alle amministrative di Roma, con penale di 150mila euro) viene da chiedersi quante studentesse possano averlo preso sul serio e, nel caso, quante di costoro voi giudichereste degne di diventare magistrati dotati dell’equilibrio necessario a decidere della vita altrui. Non ci fosse dell’altro di più serio, Bellomo sarebbe quasi da ringraziare: il suo contratto ridicolo e ricattatorio avrebbe potuto permettere una prima scrematura per futuri magistrati, visto che la magistratura, dal fronte psico-attitudinale, di filtri non ne prevede.

UN ALTRO LAVORO

Non fosse chiaro: chi formasse un contratto del genere è meglio che faccia un altro lavoro. Anche perché non stiamo parlando di un contratto per entrare in magistratura, ma di 3000 euro offerti da un corso come tanti altri. Questa considerazione, a parer nostro, non vale meno di quella formulata dal Consiglio di Stato contro Bellomo: aver costretto i borsisti a firmare un contratto che “non rispetta la libertà e la dignità della persona”. Dopodiché Bellomo non era Weinstein, non poteva bloccare una carriera: ma che cosa poteva fare? Il punto è questo. Ci sono racconti di alcune studentesse che prefigurano al minimo (ma anche al massimo) reati come stalking o molestie. Ci sono altre studentesse che con Bellomo ci sono state, e pace. Il caso che potrebbe fare la differenza, e che forse ha fatto scattare l’accusa di estorsione, è quello di una studentessa di Piacenza che prima ha avuto una relazione con Bellomo ma poi ha preferito interromperla: al che il consigliere, dopo aver pubblicato dettagli intimi sulla dispensa online, avrebbe preso a perseguitarla sino a controdenunciare anche il padre della ragazza. Bellomo avrebbe fatto cercare la studentessa addirittura dai Carabinieri, non si sa a quale titolo, e - il racconto è del padre - lei a quel punto avrebbe incominciato a soffrire la persecuzione sino a deperire e finire ricoverata.

PRATICA CELERE È un singolo caso, ma ora si muovono improvvisamente tutti: della vicenda si è interessata appunto la procura di Bari (che si ritiene competente perché una sede dei corsi è anche lì) che ha emesso il primo provvedimento e ha preceduto altre procure come Milano, Roma e Piacenza. Intanto il Consiglio Superiore della Magistratura ha sospeso e collocato fuori ruolo il pm di Rovigo Davide Nalin, collaboratore di Bellomo e accusato di aver fatto da “mediatore” tra Bellomo e una borsista per procurare al collega «indebiti vantaggi», anche di «carattere sessuale». Questa l’accusa. Fu vera estorsione?

 Bellomo andrebbe cacciato in ogni caso, questo pensiamo: ma la chiusura sin troppo celere della sua pratica (i tempi della giustizia sanno essere velocissimi) impedirebbe di capirne di più circa un ambiente, il suo, che evidentemente gli ha consentito di portare avanti comportamenti del genere per anni. Più in generale, ci sarebbe da capire come possano certi cialtroni arrivare al Consiglio di Stato dopo esser stati magistrati ordinari dal 1996 al 2002: si parla persone in grado di fare ben di peggio che negare una borsa di studio con metodi da megalomani sessuali.


***


IL MAGISTRATO DEVE ESSERE UN SUPERUOMO?

LORENZO ZOLI, ROVIGO OGGI 14/12 –

Un caso disciplinare, relativo alla magistratura, sta agitando tutta Italia. Due magistrati, uno dei quali padovano, ma in servizio in Procura a Rovigo, stanno rischiando molto, in termini di possibili sanzioni disciplinari. Per il primo, Francesco Bellomo, il più giovane componente del Consiglio di Stato, massima espressione della giustizia amministrativa, è già stata approvata la decadenza. Manca, ora, il placet dell’adunanza dei consiglieri dell’organo di disciplina. Per il secondo Davide Nalin, 38 anni, sostituto procuratore a Rovigo, domani, venerdì 15 dicembre, il Csm, Consiglio superiore della magistratura, organo di autogoverno e disciplina della magistratura ordinaria, valuterà se accogliere la richiesta di sospensione, cautelare, avanzata dal procuratore generale della Cassazione.

La vicenda si riassume velocemente: una società, chiamata “Diritto e Scienza”, avrebbe organizzato corsi con borsa di studio di preparazione alla magistratura. Non è la più rinomata o frequentata di queste scuole preparatorie. Sarebbe però l’unica, secondo quanto emerso a oggi e riportato dalle cronache nazionali, che avrebbe fatto sottoscrivere contratti molto, molto particolari ai frequentanti: clausole relative al fatto di non essere sposati, mentre fidanzati o fidanzate dei corsisti dovevano sottostare alla “ammissione” del referente, ossia Bellomo. Pare che il criterio fondamentale fosse il quoziente intellettivo.  Per le donne, poi, ci sarebbe stato anche un dress code particolarmente attento alla lunghezza della minigonna.


Pare e condizionali sono d’obbligo. Le carte, complete, sono in mano solo ai due rispettivi organi disciplinari, oltre che, ovviamente, alle parti. La vicenda è venuta alla luce perché una delle giovani aspiranti magistrate, che aveva nel frattempo avviato una relazione con Bellomo, stanca di richieste ritenute “peculiari”, come invio di foto, avrebbe deciso di confidarsi col padre che, sconvolto della situazione, avrebbe presentato un esposto. Nella vicenda, Nalin, il magistrato rodigino, entrerebbe per i contatti avvenuti con la ragazza, alla quale avrebbe telefonato cercando di spiegarle la fondatezza delle richieste di Bellomo. Sin qui, quelli che sarebbero i fatti.


La vicenda ha avuto una eco enorme, con stampa e tv scatenati nel portare alla ribalta quelli che sarebbero i particolari più piccanti della vicenda.  La questione, però, ad avviso di chi scrive non va valutata solo dal punto di vista del sessismo. Perché, quella clausola sul quoziente intellettivo necessario per i fidanzati o le fidanzate non sarebbe un passaggio isolato. Ma appare riconducibile alla esaltazione della figura dell’"agente superiore", una evoluzione del "superuomo" di Nietzsche, alla quale si è dedicata la rivista di "Diritto e Scienza", collegata alla società. Una figura, cioè, quella dell’agente superiore chiamata ad alti compiti, in grado di applicare a ogni ambito della vita umana - amore compreso - criteri razionali e matematici, capace di attingere, se non superare, nei vari ambiti prestazionali, il limite fisico del possibile.


Un numero della rivista, del 2013, al quale hanno collaborato Bellomo e Nalin, è dedicato a questa teorizzazione. Nelle sue varie forme. A questo punto, andando al di là del caso di cronaca concreto, piuttosto che il sessismo, è forse questa la questione importante. Per due versi.


Il primo è semplice: non è una novità sentire parlare di uomini superiori, che debbono preferibilmente accompagnarsi a loro simili, da scegliere, anche in relazioni sentimentali, in base a canoni relativi a intelligenza superiore, ma anche bellezza. Era, ovviamente, ribadiamolo, andando al di là del caso di specie, una delle premesse del nazismo, della teorizzazione della razza superiore. Non finì bene. Come ricordano i nostri nonni.


Il secondo è riassumibile in una domanda: ma allora, per essere un magistrato, uno bravo, si deve essere superuomini? Si deve essere genii? Si devono avere delle eccellenze rare, delle abilità incomparabili, se non all’interno di una schiera di eletti? No. Per carità, no. Per essere magistrati, ad avviso di chi scrive, che magistrato non è, si deve essere uomini. Ed è magari più difficile. Perché l’uomo, tante volte, ha paura, pensa di non essere in grado, è soggetto a tentazioni. Non gli basta, al contrario dell’agente superiore, un’occhiata per capire tutto, per dominare tutto, per piegare la realtà al suo desiderio. Ha dubbi e fragilità. Non dorme la notte. Non perché non ne ha bisogno, ma perché ha paura. Fa fatica a scegliere, fare la cosa giusta non è sempre immediato. Ma l’uomo la fa, nonostante tutto. Disposto a pagarne il prezzo.


Prendiamo il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Certo, non era un magistrato. Ma chi scrive non è un agente superiore, quindi qualche licenza se la prende. "Certe cose non si fanno per coraggio, si fanno solo per guardare più serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei nostri figli", disse. Eccola, la differenza tra superuomo e uomo. Fare certe cose perché si è tanto coraggiosi da non avvertire timore è facile. Lo fanno, con noncuranza e il sorriso sulle labbra, i supereroi dei fumetti, non a caso citati spesso, nell’articolo della rivista. Farle con la paura e la consapevolezza di quel che potrà succedere, ma tirando dritto perché lo si ritiene giusto, è da uomo. Dalla Chiesa lo fece. E lo uccisero. Ma lo fece.


Prendiamo Falcone e Borsellino. Quando pensiamo a loro, quando vediamo le loro foto, pensiamo a superuomini? Li pensiamo intenti a sfidare le leggi della fisica facendo derapare una Bugatti in curva? O li immaginiamo intenti a gestire con maestria una schiera di amanti, applicando alle relazioni sentimentali e sessuali gli schemi logico matematici dell’agente superiore applicati all’amore e al sesso, come pure predica la rivista? No. Vediamo due signori, non particolarmente in forma, non particolarmente simili a divi del cinema, non particolarmente ricchi, ma che ricorderemo per sempre. 


Prendiamo Antonio Di Pietro. Normalissimo lavoratore, poi poliziotto, poi commissario di polizia, poi magistrato. Un superuomo? Lui, che a volte con l’italiano inciampava? Non pare. Ma anche lui ha cambiato il nostro Paese. Non da solo, direte. Chiaro. Col pool di Mani Pulite. Appunto perché non era un superuomo, né un agente superiore. Un Paese, forse può fare a meno di genii e agenti superiori. O anche di supereroi. "Beato il paese che non ha bisogno di eroi", si diceva. E figuriamoci i supereroi allora. Non può fare a meno, però, di magistrati e servitori che abbiano senso dello Stato, onestà, e coraggio. Coraggio da uomo, che vale di più.


Poi, ci sarebbe anche qualcosa da dire sulle donne. Per esempio, che sforzandosi di applicare teorie filosofico-logico-matematiche come quella delle "convergenze geometriche" coniata da Bellomo, ci si perde tutto il gusto, la passione, l’emozione. Ma a questo punto, direbbero i nostri nonni, ci sono cose che, agenti superiori o meno, se non le capisci da solo, nessuno potrà mai spiegartel


***


AFFARITALIANI.IT –

"Ho parlato singolarmente con le mie alunne: dicevo loro di riflettere sul contratto che firmavano. Una volta che si dichiaravano sicure, che avevano compreso i vari articoli, punto per punto, allora le accettavo. Discutevo con loro del contenuto, accettavano e sapevano. Parliamo di persone mature e superiori alla media, in grado di decidere". Ad affermarlo il giudice del Consiglio di Stato, Francesco Bellomo, finito al centro di un caso ed esposto al rischio destituzione per una vicenda di presunte pressioni su iscritte alla scuola per aspiranti magistrati da lui diretta. Bellomo avrebbe obbligato le allieve della sua scuola privata "Diritto e Scienza" a presentarsi ai corsi in minigonna, tacchi, trucco e nubili. Circa le regole di abbigliamento date alle studentesse, il giudice afferma: "Sul dress code bisogna fare una distinzione in base ai luoghi: se lei va in una discoteca o ad una festa c’e’ un abbigliamento, in tribunale un altro tipo di vestiario. Io non ho obbligato nessuno a scegliere: sono state le studentesse. Andate ad intervistare le hostess che hanno una divisa". Quanto al rapporto con le studentesse, il togato risponde: "Una studentessa che si iscrive al mio corso, vuole fare qualcosa di particolare... e’ una sua scelta, non c’entra niente che io sia il loro direttore". "Non ho baciato nessuna studentessa: ho baciato le mie fidanzate". "E se una relazione finisce, sono libero di cominciarne un’altra".

"Io secondo soltanto a Sherlock Holmes"

Sempre sulla rivista Diritto e scienza, Bellomo scriveva di ritenersi "dal punto di vista statistico il miglior investigatore dopo Sherlock Holmes". Bellomo racconta anche di "allieve innamorate di lui" e di amicizie su Facebook che gli davanto fastidio. Arriva a chiedere a una ragazza di cancellare un contatto su Facebook. "La conservazione di quell’amicizia su Facebook era incompatibile con la sua posizione attesa la modestia del soggetto". La invitai quindi a cancellare l’amicizia, facendole presente che non avrebbe mai più dovuto avere rapporti con il soggetto". Ma la ragazza dopo averlo cancellato lo reinserisce di nascosto dopo aver inserito la funzione di privacy "mentre ribadiva le sue dichiarazioni di amore assoluto verso di me". E il tenerglielo nascosto credendo di non essere scoperta sarebbe stato un "ragionamento vagamente offensivo nei confronti di chi è stato il miglior investigatore di Sherlock Holmes". Poi scrive di una ragazza con un "rapporto di 4 anni con un incipit agghiacciante: sesso da minorenne. E mi aveva detto di essere vergine".

Le accuse di versamenti in nero

Oltre al "codice delle minigonne", su Bellomo arrivano anche accuse di aver richiesto versamenti in nero dopo i regolari bonifici, racconta il Fatto Quotidiano. Un’ex allieva ha raccontato: "Le prime file sono riservate alle borsiste, che vestono come da contratto: gonne molto corte, spalle scoperte, tacchi a spillo. Noi corsisti davamo i contanti a una collaboratrice che li infilava subito in una busta, senza restituirci né un foglio, né una fattura".

E INTANTO ESPLODE IL CAOS SULLE SCUOLE DI FORMAZIONE

Dopo la vicenda che vede coinvolto il consigliere di Stato Francesco Bellomo, direttore della scuola privata di formazione per i magistrati ’Scienza e diritto’, il Csm si appresta a compiere approfondimenti sul tema degli istituti che preparano aspiranti magistrati alle prove di concorso. A sollecitare l’apertura di una pratica sull’argomento e’ stato oggi in plenum il togato di Autonomia&Indipendenza Aldo Morgigni, secondo il quale Palazzo dei Marescialli dovrebbe aprire una riflessione "sull’attivita’ formativa, e sulla possibilita’ di offrire in modo gratuito a tanti giovani la formazione". 

Ad avviare il dibattito in plenum sulla questo argomento e’ stato il togato di Area Piergiorgio Morosini: "Il Csm deve fare una sua proposta, muoversi prima che sia troppo tardi". Morosini ha sottolineato che "lo spaccato che emerge desta preoccupazione sulle condizioni di chi si accosta ad un concorso che puo’ inserirlo in un ruolo istituzionale complesso e delicato". Contrapposta la posizione del togato di Magistratura Indipendente Luca Forteleoni: "la vicenda di cui abbiamo avuto notizia - ha detto in plenum - non deve essere strumentalizzata per dare fiato a visioni ideologiche sulla formazione". Il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini, ricordando la "normazione secondaria sugli incarichi extragiudiziali molto rigorosa" ha affermato che "il tema merita un approfondimento generale: oggi ci sono nuovi fenomeni come le lezioni via Internet". Legnini ha ricordato i costi molto alti di queste scuole e la "crescente ingiustizia" perche’ "chi viene da famiglie poco abbienti non puo’ permettersi di frequentare i corsi". Venerdi’ prossimo, in camera di consiglio, la sezione disciplinare del Csm valutera’ la richiesta di sospensione cautelare dalle funzioni e dallo stipendio avanzata dalla Procura generale della Cassazione nei confronti del pm di Rovigo Davide Nalin, collaboratore del consigliere Bellomo presso la scuola ’Diritto e Scienza’. 


***


PIETRANGELO BUTTAFUOCO, IL FOGLIO 19/12 –

Il consigliere di Stato Francesco Bellomo è indagato a Bari per estorsione. Secondo l’accusa pretendeva che le allieve della scuola di formazione si presentassero in assetto tattico. E cioè in minigonna, tacco 12, trucco e auto reggenti, va da sé. Una sorta di bunga-toga se venisse confermato il tutto. Quel che però è ordinario nello straordinario della vicenda è il tic proprio di certi magistrati – Diocenescampi a incapparci – e cioè quel malcelato senso di onnipotenza che deriva loro dal ruolo. C’è – per dire – chi guarda le cosce, e c’è chi s’amminstra i beni confiscati. Per sé e per propria tasca.


***


SIMONE COSIMI, WIRED.IT –

Ci sono storie che si fa fatica a capire da dove vengano, da quali spazi nascosti del cervello (quasi sempre di un uomo) possano aver avuto origine. La vicenda della scuola di preparazione all’esame per magistrati Diritto e scienza, diretta dal consigliere di Stato Francesco Bellomo, quarantenne ex magistrato ordinario originario di Bari, è senza dubbio una di queste.


Tutto ruota intorno al codice di comportamento che veniva fatto sottoscrivere a chi avesse ottenuto una borsa di studio e che ovviamente nulla c’entra con eventuali condotte legate al percorso di preparazione: obbligo di un dress code particolare, fatto di gonne corte, tacchi alti e trucco pesante, ma soprattutto di clausole inquietanti come quella che prevedeva la segretezza e quella che imponeva la valutazione di un eventuale fidanzato all’analisi del fantomatico algoritmo che ne avrebbe giudicato la possibilità o meno di rimanere con la borsista. Sì, è tutto nelle accuse di una ex studentessa che stava per rimetterci la salute dalle vessazioni a cui era stata sottoposta.


Nel dettaglio, le indicazioni per gli abiti femminili prevedevano addirittura tre profili, tutti e tre contraddistinti da gonne molto corte (il più morigerato prevedeva una gonna sopra il ginocchio. Ci sono dettagli assurdi, come l’indicazione “da 1/2 a 2/3 della lunghezza tra giro vita e ginocchio”, tanto per dare l’idea). Poi i colori: nero d’inverno, bianco d’estate. Le calze, d’inverno chiare o velate leggere, senza pizzo o disegni di fantasia, cappotto poco sopra il ginocchio e il piumino, rosso o nero, oppure una giacca di pelle.

Spazio anche alle scarpe, con stivali o calzature non a punta, anche eleganti in vernice, con tacco 8-12 centimetri e non a spillo. Borsa piccola e, infine, trucco calcato o intermedio, con rossetto acceso e “valorizzazione di zigomi e sopracciglia”. Non mancano le indicazioni per lo smalto di colore chiaro o meno oppure french. Poi l’accoppiamento: per eventi mondali o simili il profilo più hard, per corsi, convegni ed eventi burocratici gli altri due. Follia totale.


Obblighi più stringati per i borsisti maschi, con jeans strappati e maglie aderenti dal primo profilo fino ai pantaloni classici e alla giacca all’utimo. Ah, le scarpe solo Nike oppure Hogan. Firme da prediligere Armani, Dolce & Gabbana e Versace.

Da quanto riporta oggi Repubblica, l’altro punto chiave era il fantomatico esame che gli eventuali partner di queste ragazze, il cui unico obiettivo era prepararsi al meglio per il durissimo esame di magistratura, avrebbero dovuto sostenere. In realtà, a guardarla da lontano, nient’altro che un modo per isolare le partecipanti e portarle a riconsiderare del tutto la loro vita. E, nei casi di maggiore resistenza, a metterle alla berlina sull’omonima rivista del corso, a minacciare trattamenti sanitari obbligatori o a passare attraverso la mediazione del proprio assistente, pure lui sotto inchiesta, tale Davide Nalin, magistrato di Rovigo per il quale il Csm ha chiesto la sospensione delle funzioni e dello stipendio. Per Bellomo, che intanto è stato destituito dall’insegnamento, c’è in ballo anche la rimozione dalla magistratura.

L’inchiesta è nata quando il 28 dicembre dell’anno scorso una ragazza che partecipava alla scuola di formazione è finita in ospedale. Pare avesse avuto anche una relazione con il consigliere di Stato. Il padre ha in seguito firmato un esposto presentato alla procura di Piacenza, trasmesso poi al Consiglio di Stato che a sua volta ha passato alla procura di Roma i propri atti d’indagine disciplinare.

“Lui ha denunciato anche me. È la sua tecnica, fa terra bruciata – ha spiegato il padre al Corriere – ma io devo difendere mia figlia. Lei era stata insieme con Bellomo (a questo punto non so quanto volontariamente o per contratto). Com’era successo anche ad altre, lui poi raccontava particolari intimi delle sue relazioni sulla rivista a disposizione degli studenti. Peggio della gogna del web, perché poi i tuoi compagni sanno se hai dormito con questo o l’altro, se sei stata brava, se il tuo fidanzato è un deficiente. Era obbligata al segreto. Sapeva che lui fa causa e le vince tutte e la clausola era da 100mila euro. Quando non voleva più andare è stata denunciata anche lei. Ma una borsa di studio non dovrebbe essere un premio a cui poter rinunciare? Invece lui l’ha fatta cercare dai carabinieri. Noi non sapevamo nulla. La vedevamo deperire. È alta 1,72 era arrivata a 41 chili. Un giorno, all’arrivo dei carabinieri, è svenuta. L’abbiamo dovuta ricoverare. A quel punto ho cominciato a investigare”.

La storia si ripeterebbe con una seconda studentessa, con cui invece si materializza con più durezza l’altro aspetto vessatorio: “Bellomo invitò ciascuna borsista ad assegnare punteggi all’attuale o all’ex fidanzato – riporta Repubblica in edicola – era lui a stabilire se si potesse continuare a frequentarli e a rivedere i punteggi”. Per come esce dalle testimonianze Diritto e scienza somiglia a un harem a misura del dominus, più che una scuola giuridica. Ne dà un ottimo ritratto un articolo pubblicato su La Verità domenica 10 dicembre.

Insomma, una vicenda oscura che tocca da vicino i massimi vertici della giustizia amministrativa italiana. Che, per fortuna, sembrano aver reagito. Il Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa ha infatti accusato il direttore della scuola di aver “violato il prestigio della magistratura” e lo ha fatto presentando quattro addebiti principali riassunti in un documento pubblicato due giorni fa dal Fatto Quotidiano. Ne decide dunque la destituzione perché quel codice “non rispetta la libertà e la dignità della persona“.

“Non posso raccontare i fatti – si difende Bellomo – perché sono tenuto al silenzio, ma non sono come li hanno descritti. Anche se lo fossero però sarebbe solo una vicenda di costume”.

“Anche se lo fossero sarebbero una vicenda di costume”. Quando, al netto di ogni procedimento giudiziario, le persone si commentano da sole.


***


AGI.IT 9/12–


Avrebbero obbligato le allieve a presentarsi ai corsi con un rigido dress code - minigonna e tacchi a spillo - e avrebbero preteso che non fossero sposate, sottoponendo test di valutazione dei partner in caso di fidanzamento per decidere se assegnare loro una borsa di studio di "fascia A" o "fascia B".

Non solo. Ci sarebbe stato poi anche il vincolo di riservatezza assoluto e altre limitazioni. Per esempio "il direttore scientifico poteva - scrive il Fatto - esporre in pubblico la vita personale della borsista inadempiente, durante le lezioni e negli articoli". Queste le accuse costate al Consigliere di Stato Francesco Bellomo, direttore della scuola per aspiranti magistrati "Diritto e Scienza", e al pubblico ministero di Rovigo, Davide Nalin, suo stretto collaboratore, una procedura cautelare al Csm che potrebbe costare loro la sospensione delle funzioni e dello stipendio. Accuse che provengono dal padre di un’allieva, la quale avrebbe intrattenuto una relazione con Bellomo, e che l’interessato respinge. 


La denuncia da cui tutto è partito

"Chi lo conosce sa che respinge al mittente ogni richiesta di intervista, forte del rispetto dovuto al Consiglio di Stato, il massimo organo della giustizia amministrativa nel quale è inserito da anni. Eccolo il giudice Francesco Bellomo, pugliese di nascita, romano d’adozione, finito al centro di un procedimento disciplinare dinanzi all’organo di presidenza del Consiglio di Stato per una storia che, se non fosse una cosa seria, sarebbe degna di entrare in una sorta di B movie anni ’80" scrive il Mattino, "ma su cosa si sono riuniti i membri dell’organo di autogoverno della giustizia amministrativa? Si parte da una lagnanza firmata dal padre di una ex allieva del giudice Bellomo, in uno degli affollati corsi di formazione in diritto amministrativo tenuti dal giudice per conto della società ’Diritto e scienza’. Una lagnanza, uno sfogo di un genitore, che non ha mai ritenuto opportuno firmare una denuncia penale, ma che punta l’indice contro l’attività di docente del magistrato".


Un bizzarro contratto per i borsisti

Dopo le indagini, leggiamo sul Giornale, il Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa ha approvato la destituzione di Bellomo perché il contratto per i borsisti "non rispetta la libertà e la dignità della persona". Ora si attende l’adunanza dei consiglieri per ratificare (o meno) la decisione. Il Consiglio accusa il direttore della scuola di aver "violato il prestigio della magistratura" e lo fa presentando quattro addebiti principali, riassunti in un documento finale che il Fatto riporta oggi in edicola.


"Risulta che era il consigliere Bellomo a sottoporre a colloquio gli aspiranti a tale borsa di studio e a selezionarli - si legge - L’ accesso alle borse di studio comportava per i borsisti la sottoscrizione di un vero e proprio contratto. Il contratto prevede numerosi impegni nell’interesse della società, tra cui la scrittura di articoli per la rivista Diritto e Scienza, la partecipazione a studi e convegni, la promozione dell’immagine della società".


Ma non solo. "È emerso - si legge nel documento - che conteneva una clausola limitativa relativa a matrimonio e fidanzamento: decadenza in caso di matrimonio; fidanzamento consentito solo se il/la fidanzato/a risultasse avere un quoziente intellettuale pari o superiore a un certo standard. 


Competeva al consigliere stabilire se i fidanzati o fidanzate dei o delle borsiste superassero il quoziente minimo necessario per essere fidanzati e/o ammessi/e (ciò appare particolarmente significativo). È stato poi dichiarato che, allegato a tale contratto, vi fosse un documento contenente il cosiddetto dress code, che prevede diversi tipi di abbigliamento dei borsisti a seconda delle occasioni. Per l’abbigliamento femminile si fa anche menzione alla diversa lunghezza della gonna, del tipo di calze e del tipo di trucco". In un caso, inoltre, Bellomo avrebbe chiesto ad una borsista, intenzionata a lasciare il fidanzato per ottenere la borsa di studio di fascia A, di "sottoscrivere un contratto con il quale si impegnava a corrispondergli 100mila euro se non avesse tenuto fede a questa decisione".


Bellomo: "Anche se fosse vero, sarebbe una vicenda di costume"

"Non posso raccontare i fatti, perché sono tenuto al silenzio, ma non sono come li hanno descritti. Anche se lo fossero però sarebbe solo una vicenda di costume", spiega al CorriereBellomo, "datemi la possibilità di contro-esaminare chi mi accusa e usciranno dall’aula piangendo per le menzogne che hanno detto". 


Ma il padre della ragazza non lo teme. "Lui ha denunciato anche me. È la sua tecnica, fa terra bruciata. Ma io devo difendere mia figlia., spiega al quotidiano, "lei era stata insieme con Bellomo (a questo punto non so quanto volontariamente o per contratto). Com’era successo anche ad altre, lui poi raccontava particolari intimi delle sue relazioni sulla rivista a disposizione degli studenti".


"Peggio della gogna del web", prosegue l’uomo, "perché poi i tuoi compagni sanno se hai dormito con questo o l’altro, se sei stata brava, se il tuo fidanzato è un deficiente. Era obbligata al segreto. Sapeva che lui fa causa e le vince tutte e la clausola era da 100mila euro. Quando non voleva più andare è stata denunciata anche lei. Ma una borsa di studio non dovrebbe essere un premio a cui poter rinunciare? Invece lui l’ha fatta cercare dai carabinieri. Noi non sapevamo nulla. La vedevamo deperire. È alta 1,72 era arrivata a 41 chili. Un giorno, all’arrivo dei carabinieri, è svenuta. L’abbiamo dovuta ricoverare. A quel punto ho cominciato a investigare".


***


DOMENICO CACOPARDO, ITALIAOGGI 13/12 –


La questione è ben più grave e trascende l’eventuale sexual harassment del consigliere di stato Francesco Bellomo, giacché riguarda il complesso mondo dei corsi di preparazione ai concorsi pubblici. 

L’attività che svolgono all’interno di questi corsi magistrati ordinari, amministrativi, contabili e avvocati dello stato si presta a illazioni e sospetti. 

Dobbiamo anche rilevare che si tratta di un’attività lucrosa per coloro che la svolgono, ancora più lucrosa in relazione alla percentuale di successi di candidati provenienti da ogni corso. C’è una specie di borsino al riguardo che poi spinge gli aspiranti ad affollare quelle organizzazioni che ottengono i migliori risultati (che possono, quindi, aumentare i prezzi di iscrizione e frequenza).

Non sempre, però, tutto è chiaro. Basta, per esempio, che in un qualsiasi concorso venga dettato uno di quei temi cosiddetti preferenziali (nel senso che casualmente fanno riferimento a una sottospecie di tesi giuridica di cui siano portatori gli insegnanti di un determinato corso di preparazione) perché l’intera procedura sia sostanzialmente viziata e, se l’irregolarità (che potrebbe in astratto configurare ipotesi di reato) venisse rilevata, diffondere il sospetto su tutti coloro che per un verso o l’altro sono coinvolti nel procedimento, si tratti di preparazione di candidati che di gestione vera e propria.

Poiché la moglie di Cesare non deve essere nemmeno sfiorata dal sospetto, l’unica soluzione, dopo un’indagine approfondita (senza preconcetti assolutori o colpevolisti) del Csm e del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, dovrebbe definirsi un codice di comportamento che, mentre non vieta i contratti di insegnamento universitario, vieti tutti gli altri soprattutto se i soggetti proponenti sono soggetti privati che operano con lo scopo di lucro.

La vicenda Bellomo, così, potrebbe assumere il senso di un’occasione per approfondire e per fare, se necessario, pulizia. 

Giacché (e qui lo diciamo serenamente) preparare i candidati ai concorsi, soprattutto in magistratura, non è mestiere per magistrati.

Essi, lasciandosi ingaggiare a questo scopo possono concretizzare un enorme conflitto di interessi, di cui tutto l’ordine giudiziario pagherebbe il prezzo.


***


E BELLOMO ORDINAVA ALLE ALLIEVE: “IN GINOCCHIO E CHIEDI PERDONO” – 


« Venerdì sera, quando entro in stanza, ti metti in ginocchio e mi dici: “Ti chiedo perdono, non lo farò mai più”. Non è il significato della sottomissione, ma della solennità. Come le forme rituali » . Siamo nel 2016, e così Francesco Bellomo scrive a una sua studentessa- fidanzata, oggi pm in una città italiana. Sette anni prima, a un’altra allieva, nel frattempo divenuta poliziotta, che voleva lasciarlo, accadde di peggio. Bellomo la chiamava a casa e quando, una volta, rispose la madre al telefono le disse: «Vi rovino tutti… farete una brutta fine » . Una tattica buona sin dal 2006 quando, a un’altra frequentatrice dei corsi della scuola post laurea “ Diritto e scienza” disse: « Metto un’ipoteca sulla tua vita » . Chiosa la ragazza: «Con quell’espressione lui mi diceva che io sarei dovuta diventare sua schiava».
Cinque verbali al Csm
Bellomo da 10 anni è un habitué della minaccia sulle studentesse. Ne fanno fede cinque verbali che la procura di Piacenza ha inviato al Csm per il caso Nalin. Citati da Mario Fresa, il sostituto pg in veste di accusatore. Pagine sconvolgenti, la fotocopia di quanto ha denunciato il padre dell’ultima ragazza finita nella rete di Bellomo. Non ha affatto “ dormito” la procura di Piacenza, tutt’altro. Ma per l’estrema delicatezza del caso da un anno lavora nell’ombra. Riservatissimo il procuratore Salvatore Cappelleri. Muti i due pm – Roberto Fontana ed Emilio Pisante – che hanno condotto gli interrogatori, ma hanno poi dovuto inviare le carte in Cassazione e quindi al Csm.
L’accusa di lesioni dolose
Non sono reati da poco quelli per cui Piacenza indaga Bellomo. Stalking, per le ripetute pressioni sulle ragazze, e lesioni dolose, per averne spinta una in pericolo di vita. Una tattica sempre uguale. Promessa di una borsa di studio, seduzione, pesante ingresso nella vita privata, minacce, denunce. Ecco il racconto della pm, di cui Repubblica, pur conoscendo il nome, rispetta volutamente la privacy: « Nel 2013 è iniziata la relazione con lui. Mi esponeva le sue teorie sull’agente superiore, tale da tradursi in una limitazione della libertà della sua interlocutrice. I rimproveri? Aver atteso di rispondere fino al terzo squillo, aver messo una foto non gradita sul profilo, essere andata dall’estetista in un periodo in cui non dovevamo incontrarci a breve. Nel febbraio 2016 ha iniziato a minacciarmi dicendo che avrebbe pubblicato sulla rivista articoli su di me, vicende della mia privata, rovinandomela. Decisi di bloccare il contatto sul telefono, come quello di Nalin e di Andrea Irno Consalvo, avvocato di Bari, per evitare che mi chiamassero per conto di lui. Mi telefonò l’avvocato Pietro Garofalo contestandomi di essere inadempiente rispetto al contratto con “ Diritto e scienza”. Dopo un mese ricevetti un atto di citazione».
La poliziotta sotto assedio
Nuovo corso, nuova storia. Nel 2011 tocca a una giovane laureata oggi in polizia. «Bellomo mi chiese di uscire. Fin dall’inizio ebbi la sensazione che vi era qualcosa di anomalo in lui. Si mostrò subito morboso, con domande sulle mie precedenti storie. Mi chiedeva devozione assoluta. Se accennavo a un distacco reagiva in modo molto plateale e aggressivo. Avevo prenotato un viaggio in Portogallo. Mi chiamò e volle vedermi nel bar sotto casa. Mi disse di non partire e che avrebbe fatto in modo di far emettere un divieto di espatrio. Gli feci presente che un provvedimento del genere non era possibile, mi ribatte “per me lo fanno” e che mi poteva denunciare per violazione di domicilio. Fece una telefonata a un certo Renato dicendogli che lo avrebbe raggiunto presso il suo ufficio alla procura di Bari. Mi disse che si trattava del pm Renato Nitti che lui conosceva bene e si fece accompagnare lì. Io rinunciai a partire » . La testimonianza prosegue. «Era il superamento di ogni limite, e trovai la forza di troncare a fine 2011. Nel cellulare trovavo telefonate sue, di Nalin, di Consalvo. Fui costretta a cambiar numero. A novembre arrivarono i carabinieri a casa, mi aveva denunciato per abbandono di incapace. Chiamava casa mia e minacciò mia madre “vi rovino tutti…”. Lo denunciai per stalking e calunnia, registrai le telefonate depositandole alla sezione di pg della procura di Bari».
Terrore della sua malvagità
Parla una giovane donna che ora è gip di tribunale. « Ho conosciuto Bellomo nel 2004. Lavoravo già in uno studio legale. Si rivelò abilissimo nell’indurmi a confidargli debolezze e storie passate per poi ferirmi, umiliarmi, ricattarmi » . Com’era? « Violento e aggressivo, voleva totale asservimento, mai avrei dovuto disobbedirgli, né fare alcunché senza il suo permesso. Una sera che a Bari mi allontanai da lui per vedere il mare, cominciò a inveire, mi disse che andavo punita » . È il calvario: « Ero molto spaventata. Mi umiliò, disse che non avrei superato il concorso, che non ero una gran bellezza, per cui mi faceva un favore a stare con me, che lui era sceso nei suoi parametri estetici. In momenti di rabbia m’inviava foto di belle ragazze dicendo che erano sue ex. Mi disse che avevano un quoziente intellettivo 90/100 e che io mi attestavo su 120 e comunque il suo era 180.Mi segregò in casa per tre giorni. Mi disse che sarebbe stato in grado di farmi del male. Mi resi conto che teneva sotto controllo le sue ex fidanzate. Era aggiornatissimo su di loro. Teneva al telefono mia madre dicendo che nella mia vita c’erano esperienza che mi avevano segnato negativamente e danneggiato psicologicamente per cui avrei avuto bisogno di lui al mio fianco. Mi chiamò Consalvo. Minacciò un procedimento penale. Mi rivolsi al suo amico Gianrico Carofiglio allora in servizio a Bari che mi consigliò di rivolgermi a un penalista. Bellomo minacciava di far emergere in un processo vicende della mia vita. Mi disse che avrebbe messo “un’ipoteca sulla mia vita”. Lo denunciai. Con una citazione mi chiese un milione di euro».
E la storia finisce sulla rivista
Ennesima relazione che finisce su “Diritto e scienza”. «Bellomo induceva soggezione. Era fuori dal comune. Mi impose di cancellare gli amici sul profilo Fb. Pretendeva che rispondessi subito al cellulare. Se non lo facevo si arrabbiava. Cominciò a pubblicare articoli in cui parlava di me e della nostra relazione sulla rivista. Minacciò che se non gli avessi più risposto avrebbe pubblicato dettagli intimi, cosa che poi fece. Indicò 7 reati che avrei commesso. A gennaio 2016 minacciò di denunciarmi. Avviò una campagna denigratoria. Coinvolse i partecipanti al corso in una raccolta a tappeto di informazioni e immagini su di me. Promise premi, consistenti in un’iscrizione gratuita. A luglio 2016, a ridosso delle prove scritte del concorso, mi chiese di vederci. Mi scrisse che mi avrebbe raggiunto allo Sheraton. Non so come abbia potuto avere questa informazione».
***
LIANA MILELLA, LA REPUBBLICA 15/12 –
«Non mi chiami Bellomo. Io sono il consigliere Bellomo » . Primo agosto 2017, al Consiglio di Stato Francesco Bellomo siede davanti alla commissione che deve decidere il suo destino. Più che un interrogatorio è una battaglia, come dimostrano le 143 pagine di trascrizione. In cui Giuseppe Conte, docente di diritto privato a Firenze e componente del consiglio di presidenza dei giudici amministrativi, si scontra con Bellomo. Il quale, pretendendo da ciascuno 250mila euro, ha poi citato lui, la collega Concetta Plantamura, le due studentesse che lo accusano e il padre che lo denuncia davanti al tribunale civile di Bari, rinunciando solo in caso di immediata ritrattazione. Mossa che mette in forte difficoltà le ragazze disoccupate.
Inchiesta “allucinante”
Bellomo attacca. « È fantascienza che un magistrato con una carriera impeccabile venga messo sotto procedimento disciplinare e si debba parlare delle foto intime che gli mandava la fidanzata, lo trovo allucinante». «La commissione è in imbarazzo… » dice Conte. Bellomo: « Se si fosse imbarazzata non avrebbe permesso l’ingresso di questi particolari che riguardano una relazione personale. Lei (la studentessa che l’ha denunciato, ndr) ha detto alcune falsità sulle foto che le avrei chiesto. Perché parlare di gelosia? Non conosco questo sentimento. Qui non c’è solo un’ipotesi di azione disciplinare, c’è la mia dignità in gioco, non voglio passare per un uomo geloso, non è così».
La tabella dei fidanzati
« Lei dice che sono stato invasivo nella sua vita personale… Ah no, devo chiarire le faccende della tabella sulle sue attività sessuali e della foto intima, lì c’è pure Nalin. Il fatto è così. Analisi del passato, errori e come correggerli. Mi dice: “Sai Francesco, ti devo dire che ad alcune persone ho mandato foto”. Ah, vabbè, pure questa, “perché lo hai fatto?”, “ bla, bla, bla”. Mostro disappunto, lei dice “ riguarda il passato, capisco di aver sbagliato” ». Conte: «C’è una commistione tra relazione personale e contratto » . La ragazza dice che Bellomo gli ha chiesto di compilare la tabella dei fidanzati e di inviargli foto intime. Nalin ha fatto da mediatore.
L’addestramento
Dice Conte: «L’addestramento verteva su aspetti personali? » . Bellomo: «Qui stiamo parlando di un’analisi teorica che spazia da come scrivi i temi, come ti esprimi in italiano, che tipo di comprensione hai del mondo, come agisci sul piano personale » . Conte: « Lei distingueva i due piani?». Bellomo: «Riuscivo a distinguere, forse la dottoressa… non distingueva » . Conte: «E come faceva?». Bellomo: «Io argomento logicamente ogni aspetto, ma un conto è se parliamo, ci baciamo, ci abbracciamo… » . Conte: « Un conto se parliamo di diritto… » . Bellomo: « Ci rinuncio. Lei non capisce o fa finta di non capire. Confido che ci saranno persone più acute che capiranno la distinzione ».
Il contratto
Esordisce Bellomo: « È un interrogatorio, fatemi delle domande » . Conte: « Non dica alla commissione come deve funzionare». Si scontrano subito, Bellomo pronto a ripetere cento volte che non parla di atti, come i contratti con le studentesse che non sono nel processo: « Ho fatto il pm, non mi sarei mai permesso di fare una domanda su presupposti non dimostrati » . Conte: « Parli dei contratti » . Lui: «Sono molto ansioso di leggerli, ma vedo fogli di carta che leggo per la prima volta, potrebbe averli scritti chiunque. Non sono firmati. I contratti sono cambiati dieci volte negli anni». Conte: «Imponeva la minigonna alle borsiste?». Bellomo: « Nel capo di imputazione di questo non si parla » . Conte: « La clausola del fidanzato?». Bellomo: «Il contratto è una cosa, le relazioni sentimentali un’altra. Lei vuole farmi passare per un soggetto che effettua pressioni sui borsisti. Sono affermazioni gravi».
Biglietti e vacanze
L’esposto del padre contro Bellomo? È « una farneticazione, gliel’ha scritto un avvocato, e so anche chi, nessuno di voi gli chiede dove ha preso i documenti» . Conte: « È il padre di una figlia» . Bellomo: «E che significa? È un giurista? ». Conte: «Solo lei è il giurista qui dentro» . Bellomo: « Io sto parlando di abuso di potere e penso di dimostrarlo» Quando gli chiedono dei biglietti pagati dalla scuola per le ragazze in vacanza con lui replica: « Obiettivamente godo di una stima altissima e c’è una grandissima fiducia nei miei confronti».
***
L’ASPIRANTE MAGISTRATA: «COSI’ BELLOMO MI MINACCIAVA» –
«Il consigliere Bellomo mi ha rivolto anche minacce dirette. C’è stato un periodo in cui aveva iniziato a trattare anche al corso e a parlare con me di autotutela. Prefigurava la possibilità che anche il mio caso sarebbe finito sulla rivista». Ecco il drammatico interrogatorio della studentessa che teme di finire, come le sue colleghe, su “Diritto e scienza”, la rivista della scuola.
La clausola del fidanzato
« Ho iniziato a frequentare il corso nel 2014- 2015 a pagamento. Non avevo fatto domanda per la borsa di studio in quanto alcune clausola, come l’obbligo di segretezza, avevano destato in me perplessità. Avevo letto il caso di una collega che era stata sottoposta a due prove, un giro in macchina a velocità elevata e una passeggiata in una zona urbana connotata da microcriminalità ». La studentessa descrive Bellomo « docente di tutte e tre le materie, diritto civile, penale, amministrativo, l’impressione è che lui facesse tutto » . È il factotum di “ Diritto e scienza”. «Ho espresso perplessità sul dress code obbligatorio. Sulla clausola del fidanzato non sollevai obiezioni perché non ero fidanzata. Bellomo mi ha detto che potevo mantenere rapporti amichevoli con lui, studente dello stesso corso, facendomi capire che non raggiungeva il punteggio algoritmico sufficiente per poter avere una relazione sentimentale».
Le lacrime al ristorante
«Siamo andati a cena. Mi ha chiesto l’elenco dei miei ex. Ne è nata una discussione perché non gli avevo detto di aver avuto un incontro intimo con il mio ex. Bellomo si è alterato, io ho pianto. Quella sera, con un bacio, è iniziata la nostra relazione. Mi ha detto che era una grande opportunità per me e che se le cose non fossero andate bene ognuno sarebbe tornato alla sua vita ». La relazione diventa morbosa. « Mi chiese di non avere più contatti con il mio ex. Dopo un contatto con lui Bellomo si è arrabbiato dicendomi “pacta sunt servanda”».
La rottura e gli attacchi di panico
Nell’aprile 2016 cominciano gli «screzi». Entra in scena il «mediatore » Nalin. «Quando mi fu detto che avrei dovuto parlare di cose intime con lui ho avuto un attacco di panico. Bellomo mi dice che stava chiudendo il numero della rivista che si era occupata del caso di un’altra ragazza e che c’era spazio anche per me. Protestai perché c’era il nome dell’interessata». La rivista era pubblica, ma poi lo fu «solo tramite codici e password». Bellomo « dice che i miei comportamenti fanno parte del medesimo disegno criminoso. Mi contesta il reato di truffa. Minaccia il trattamento sanitario obbligatorio e lo sputtanamento sulla rivista».
Le pressioni sull’Arma
Gli ufficiali dell’Arma applicano una vecchia norma e bussano più volta a casa della ragazza. Ma scrivono al procuratore di Piacenza Cappelleri: « In modo autoritario e in più occasioni Bellomo ha detto che la procedura doveva proseguire nel modo più assoluto e che non sarebbero più stati tollerati ritardi e/o omissioni. Ha anche prospettato una serie di accorgimenti per raggiungere lo scopo di notificare l’invito a comparire, contattare i vicini, i parenti, i familiari sulle utente a noi note».
La seconda ragazza
La storia si ripete con un’altra studentessa. «Bellomo invitò ciascuna borsista ad assegnare punteggi all’attuale o all’ex fidanzato. Era lui a stabilire se si potesse continuare a frequentarli e a rivedere i punteggi. Gli raccontai poco della mia privata perché mi resi conto che era solito commentarli con altre. Mi riprese perché avevo risposto solo il giorno dopo a un suo sms. Per il mio tenerlo a distanza mi disse che se avessi voluto crescere sul piano professionale avrei dovuto seguire le regole, fidandomi di lui. Attivai sul cellulare il “ rifiuto di chiamata” per le continue insistenze a riprendere il rapporto personale. Uscì un articolo sulla rivista e mi riconobbi nella descrizione. Il mio nome era richiamato in una mail in terza persona».
La difesa del mediatore
È una sequela di niet l’interrogatorio del pm Nalin, in stretti rapporti con Bellomo. «Ero solo il coordinatore della rivista. Sapevo che lì sarebbero state analizzate vicende personali con metodo scientifico. Ai corsisti era richiesta un’immagine ordinata, pulita, di bellezza globalmente intesa. Non ero a conoscenza di clausole su gonne corte. Mi sono offerto come mediatore quando i rapporti tra una studentessa e Bellomo sono divenuti tesi, Era convinta che Bellomo fosse l’uomo della sua vita ed era preoccupata per la situazione».
***
LIANA MILELLA, LA REPUBBLICA 18/12 –

Un anno fa il caso Bellomo per la prima volta in Consiglio di Stato: ma si decise di soprassedere

Di che cosa stiamo parlando

Continua a far discutere il caso Bellomo, il consigliere di Stato che rischia la destituzione per aver ripetutamente fatto pressioni sessiste sulle allieve del corso post laurea "Diritto e scienza", di cui era direttore regolarmente autorizzato dallo stesso Consiglio di Stato. Bellomo, denunciato nel dicembre dell’anno scorso dal padre di una studentessa, è tuttora al suo posto e questa settimana ha partecipato alle udienze della terza sezione del Consiglio

ROMA

Già un anno fa, al Consiglio di Stato, c’era chi aveva segnalato l’anomalia delle numerose foto delle studentesse in minigonna che campeggiavano sul sito di "Diritto e scienza". Era il 16 dicembre, e durante una seduta del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa (Cpga) che avrebbe dovuto decidere se rinnovare a Francesco Bellomo il via libera a dirigere ancora la scuola, la consigliera Concetta Plantamura, giudice del Tar di Milano, chiese ai colleghi se quelle foto non costituissero un’evidente anomalia su cui indagare. Il Consiglio si limitò a decidere un approfondimento in commissione. Soltanto dieci giorni dopo sarebbe giunta a Roma la drammatica denuncia del padre della ragazza perseguitata dallo stesso Bellomo.

A svelare il contenuto riservato di quella riunione del Cpga è lo stesso Bellomo, nell’atto di citazione civile da 250mila euro presentato a Bari il 13 settembre 2017 contro la consigliera "nemica" Plantamura e contro Giuseppe Conte, componente laico dello stesso Cpga che il primo agosto ha condotto il suo interrogatorio e più volte si è scontrato con lui. Un fatto è certo, ed è lui a svelarlo: Bellomo godeva, e gode tuttora, di significativi appoggi e simpatie all’interno del Consiglio di Stato. Allora come oggi c’è chi è pronto a offrirgli un’ancora di salvezza. Sicuramente è sua amica un altro giudice del Tar, questa volta di Bari, la stessa città di Bellomo, che un anno fa, e ancora tre giorni fa, ha preso le sue difese. Giuseppina Adamo, mercoledì scorso, durante la riunione del Cpga, ha proposto che fossero denunciati tutti i giornalisti che, in questi giorni, a suo dire, stanno pubblicando atti riservati del Consiglio. La proposta è stata respinta.

Ma che aveva fatto la stessa Adamo un anno fa? Ce lo racconta Bellomo nell’atto di citazione. Lui si presenta così: « Plurivincitore del concorso in magistratura ordinaria appena laureato, dopo aver svolto le funzioni di pm e ( all’età di 27 anni) di sostituto procuratore generale, conseguendo risultati di valore assoluto » . Oggi egli è « uno dei magistrati con il più elevato livello di produttività del Consiglio di Stato, tanto da depositare tutti i provvedimenti in tempo reale, anche su casi complessi ». Tutto è stato «sconvolto» — sono parole sue — « dalla caccia alle streghe mossa da un palese intento persecutorio».

Come pezza d’appoggio di quella che definisce una « macchinazione » cosa cita Bellomo? Proprio i dubbi della collega Plantamura sulle foto in minigonna. E chi glielo racconta? La consigliera Adamo, la stessa che oggi, a scandalo scoppiato, continua a essere dalla sua parte. Scrive Bellomo: « La macchinazione ha avuto successo grazie alla vis persecutoria di Conte e Plantamura, che aveva manifestato la sua avversione ancora prima del procedimento disciplinare. All’inizio di gennaio 2017 ricevo una telefonata di Giuseppina Adamo, presidente di sezione del Tar di Puglia e componente del Cpga, la quale m’informa che una collega si era dichiarata scandalizzata per avere visto, nell’album fotografico, immagini di eventi mondani con ragazze avvenenti ( per inciso, molte delle persone ritratte hanno brillantemente superato il concorso in magistratura ordinaria o amministrativa). La presidente Adamo, precisando di ritenere il fatto privo di connotati negativi e astrattamente irrilevanti al fine dell’autorizzazione, mi suggerì tuttavia di valutare l’opportunità di chiedere a "Diritto e scienza" di eliminare l’album. Risposi che non intendevo assecondare un capriccio moralistico solo perché espresso da un componente del Cpga. La presidente Adamo convenne su tali valutazioni » . Le foto sono tuttora lì, Bellomo è al suo posto, la procura di Piacenza ha " dormito" per un anno sulla denuncia del padre, e chissà quando si voterà la sua destituzione e quanti la riterranno giusta visti gli amici che ha.


***


UN GIUDICE DA RIMUOVERE AL PIÙ PRESTO – LIANA MILELLA, LA REPUBBLICA 11/12  –

Dicembre 2016, dicembre 2017. La giustizia disciplinare del Consiglio di Stato è decisamente troppo lenta. Per decidere il destino di Francesco Bellomo dodici mesi sono un’infinità. Il 27 dicembre di un anno fa la drammatica denuncia del padre di una delle studentesse che frequentavano la scuola "Diritto e scienza" e che vedeva sua figlia ridotta a uno scheletro di 42 chili per le pressioni di un magistrato che mescolava vita privata e presunte lezioni di diritto. L’appello del padre, a ridosso di Natale, con la figlia finita dallo psichiatra, suonava disperato: «Mi chiedo come sia possibile che un padre, affidando sua figlia a una scuola per la preparazione giuridica di futuri magistrati diretta da un consigliere di Stato, possa ritrovarsi in una simile situazione. Mi chiedo se addirittura i futuri magistrati possano essere in futuro ricattati, ricattabili o comunque condizionabili nell’esercizio delle loro funzioni. Mi chiedo se l’immagine del Consiglio di Stato sia compatibile con un contratto-borsa di studio dove si chiede "fedeltà assoluta" a una persona e si coartano scelte personalissime e diritti inviolabili della persona, dove uomini e donne sono classificati in esseri superiori e inferiori». Questo padre — che ha salvato sua figlia in extremis da un uomo di diritto che consegnava questionari sui fidanzati delle studentesse ed esigeva che ne descrivessero le prestazioni — un anno fa aveva fatto una richiesta semplice: «Vi chiedo, con il massimo rispetto, se un alto magistrato, che appartiene a un organo così illustre della Repubblica italiana, possa accanirsi così nei confronti di una giovane ragazza in evidente stato di inferiorità».

Interrogativi che scuotono la coscienza. Perché il protagonista della storia non è un incolto, tutt’altro. Chi l’ha conosciuto in tribunale a Bari, dove è stato pm, lo descrive come dotato di un’intelligenza superiore. Lui stesso, nel suo curriculum, con un superomismo che stupisce, tiene a documentare il suo tasso intellettivo.

Eppure proprio lui pubblicava sulla rivista "Diritto e scienza" i suoi carteggi intimi con le studentesse. Le "sputtanava" se non gli obbedivano.

Ora. Com’è possibile che l’attuale vertice del Consiglio di Stato, i colleghi di Bellomo, non avvertano il disonore che sta calando sulla stessa istituzione per il troppo tempo necessario a punire Bellomo? Un anno è passato, ma non basta. Perché il 27 ottobre, quando finalmente il consiglio disciplinare ha votato, ecco la sorpresa. Sette voti per la destituzione di Bellomo. Quattro contro, due astenuti. Poiché le astensioni valgono come voto contrario, significa che la partita è finita 7 a 6. Bellomo ha anche citato civilmente due colleghi, che hanno dovuto astenersi. L’attuale Consiglio sta per scadere. Già eletti i nuovi togati. A breve la scelta del Parlamento sui laici. Se la decisione non fosse presa subito, accadrebbe che un nuovo Consiglio, che non ha ascoltato i protagonisti, dovrebbe decidere solo sulle carte. Poi ci vorrà il voto dell’Adunanza plenaria, cioè dei cento consiglieri di Stato, di cui pochi avranno letto il corposo dossier. Nel frattempo, nell’indifferenza del Consiglio di Stato, Bellomo continua a scrivere sentenze, a essere il direttore della scuola e della rivista, a tenere lezioni. Decisamente troppo. A meno che non si stia dalla parte di Bellomo che ha speculato sull’ansia di giovani laureate vogliose di conquistare la toga il più in fretta possibile, anche a costo della sottomissione e del silenzio.


***


MARCO FRANCHI, IL FATTO QUOTIDIANO 10/12 –

Il Consiglio di Stato ha aperto un’istruttoria dopo l’esposto di un padre di un’allieva, “vittima” del sistema Bellomo, ex magistrato ordinario, consigliere di Palazzo Spada e soprattutto dominus dei corsi di formazione per magistrati della società “Diritto e scienza”. Le regole – anzi i “contratti” – di “Diritto e scienza” prevedono per le borsiste obbligo di minigonna in determinate situazioni, valutazioni sugli standard dei fidanzati (alcuni quindi sono stati lasciati… ) e norme sui matrimoni. Il tutto – secondo il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa – ha rappresentato una violazione del “prestigio della magistratura”. Bellomo dunque è stato proposto per la destituzione. Ecco una breve antologia del sistema-Bellomo.



Le regole, i fidanzati e la teoria di Darwin

Il codice di condotta di Bellomo è stringente: “Il borsista è vincolato alla fedeltà nei confronti del direttore”; “La scelta del partner (del borsista, ndr), applicando i dettami della teoria della selezione naturale, deve cadere sul soggetto che presenta le caratteristiche più vantaggiose. La preferenza deve essere dunque accordata al soggetto più dotato geneticamente”. E ancora: “La negazione dei criteri scientifici porta come inevitabile conseguenza che l’operatore orienti le proprie scelte verso il modello rispettivamente del fidanzato sfigato e della donna oggetto”. Una delle studentesse racconta: “C’era anche una clausola riguardante la scelta del fidanzato. Le borsiste avrebbero dovuto assegnare un punteggio algoritmico al loro fidanzato e confrontarlo con il punteggio assegnato da Bellomo. Se i due punteggi non coincidevano, prevaleva quello assegnato dal consigliere Bellomo”. Anche perché il borsista – sempre secondo il codice – “non potrà mantenere o avviare relazioni intime con soggetti che non raggiungano il punteggio di 80/100 se appartenente alla prima fascia, di 75/100 se appartenente alla seconda fascia. Il borsista decade automaticamente non appena contrae matrimonio”.


Che eleganza questo “dress code”

Il punto 4 del codice prevede, inoltre che “il borsista deve attenersi al dress code in calce e, comunque, deve curare la propria immagine anche dal punto di vista dinamico (gesti, conversazione, movimenti), onde assicurarne il più possibile l’armonia, l’eleganza, la superiore trasgressività”.


La “dottrina” del lavoro e il lodo iraniano

Proprio riguardo al dress code la difesa di Bellomo – sostenuta dal consigliere Birritteri nell’udienza del consiglio di presidenza della giustizia amministrativa che poi deciderà di rimuovere il magistrato – cita: “Pietro Ichino nel suo trattato del 2003, affronta proprio il problema del dress code e dice: ‘Accade che il datore di lavoro chieda al prestatore il rispetto di disposizioni circa l’abbigliamento o l’aspetto personale’. È chiaro che l’obbligo del prestatore di lavoro è perfettamente identico all’obbligo contrattualmente assunto da un borsista. (…) ‘Questo vale anche per la pattuizione dell’obbligo di portare abiti moderatamente-sexy, quando la particolarità dell’abito non sconfini nell’indecenza. Minigonne e camicie attillate – sempre la citazione di Ichino della difesa di Bellomo – non possono considerarsi di per sé lesive della dignità della persona’.” Ma la difesa di Bellomo va oltre: “Viviamo brutti tempi, mi preoccuperei più che delle minigonne delle giuste preoccupazioni delle hostess dell’Air France. Sapete perché hanno protestato? Perché la compagnia ha ripreso i voli per Teheran e non hanno apprezzato le hostess. La circolare interna della compagnia ha richiesto loro l’obbligo di indossare pantaloni, una giacca lunga e di coprire la testa e i capelli con un velo al momento dell’uscita dell’aereo. Preoccupazioni esattamente opposte. Ora dico: forse dovremmo preoccuparci di più di chi ci vuole mettere il burqa e il velo in testa anziché contestare un dress code”.


La gogna sulla rivista scientifica

Diritto e scienza è anche una pubblicazione curata dallo stesso magistrato ed è oggetto anche essa dell’incolpazione nei confronti di Bellomo. Ha ospitato contenuti difficilmente ascrivibili alla “scienza” giuridica. In particolare vi sono riportate le vicende personali di una borsista – indicata con nome e cognome – come gli incontri con un suo fidanzato, i luoghi dove avvenivano questi incontri, anche di natura sessuale, le descrizioni e tutta una serie di particolari intimi in evidente violazione della privacy. Sugli accadimenti della vita personale di questa donna si scatena poi una sorta di “caccia all’uomo”, nella quale vari lettori della rivista intervengono per commentare le scelte e i fatti personalissimi della borsista. Alla quale dedica risposte lo stesso Bellomo, scientificamente s’intende: “È vero, lei ha evidenti limiti che l’addestramento non ha risolto, ma dell’immensa quantità di donne che ho avuto, peraltro di elevata qualità media, lei è stata una delle poche, se non l’unica, a non avermi fatto sentire solo. Se perderla è il prezzo che pago per le pubblicazioni, è alto. Mi consolo con l’utilità didattica che hanno avuto. Lo sviluppo palesato dagli allievi, costretti ad applicare categorie scientifiche ad una storia di vita, è stato eccezionale”.


La scienza dell’amore: una e-mail

Sempre nel rispetto della scienza giuridica, così Bellomo presenta un numero della sua rivista del 2013: “Il 30 agosto ricevetti una e-mail. ‘Se è vero tutto quello che mi hai detto, noi dobbiamo stare insieme. (…) Dovremmo stare insieme, oggettivamente. I sentimenti possono mutare (…), ma la realtà non cambia. Seguire la via razionale non è stato uno sbaglio’.‘Seguire la via razionale non è stato uno sbaglio…’. Per convincermi aveva impiegato la teoria delle ‘convergenze geometriche’, che io stesso avevo elaborato come versione moderna del mito platonico dell’anima gemella”. Però gli amanti – nel mondo reale – falliscono. La donna cambia idea, adduce “un episodio – scrive Bellomo – a suo giudizio gravissimo di cui ero stato responsabile, aggiungendo: ‘Non facciamoci altro male. Ti auguro ogni bene’”. Bellomo rimugina: “‘I sentimenti possono mutare (…), ma la realtà non cambia’. In un mese aveva cambiato idea su una cosa che non ammette mutamenti. E che lei stessa aveva definito immutabile”. I lettori di Diritto e scienza avranno capito di chi si tratta? Avranno indovinato chi ha infranto il codice?


***


CAROFIGLIO: «FUI INVITATO A UN SUO CORSO E NON CI ANDAI PIU’» – MASCALI, IL FATTO QUOTIDIANO 15/12 –

Gianrico Carofiglio è stato magistrato dal 1986 al 2013. Dopo l’esperienza parlamentare con il Pd ha deciso di lasciare la toga e dedicarsi principalmente alla scrittura. Il suo ultimo libro Le tre del mattino è tra i romanzi italiani più venduti, ma noi lo cerchiamo per tutt’altro motivo: il caso del consigliere di Stato Francesco Bellomo, ex magistrato ordinario di Bari, che rischia la radiazione per presunti ricatti, anche di stampo sessuale, alle studentesse della sua scuola privata che prepara al concorso per entrare in magistratura. E la sezione disciplinare del Csm oggi decide se sospendere funzione e stipendio a David Nalin, magistrato di Rovigo, presunto “complice”.

Carofiglio, lei è stato magistrato a Bari, come pochi altri conosce quella realtà, come contestualizzerebbe il caso Bellomo?

Se la metà dei fatti di cui parlano i giornali è vera, c’è molto poco da discutere e contestualizzare. Bisogna solo adottare presto i necessari provvedimenti.

Forse lei non lo sa, ma nella sua difesa davanti all’organo disciplinare amministrativo, Bellomo l’ha citata come un modello. Facendo un inciso su convegni giuridici frequentati dai suoi studenti, ha detto: “Carofiglio mio maestro”. Che effetto le fa?

In effetti apprendo ora da lei questa cosa bizzarra. Bellomo deve difendersi da accuse così gravi che, se fossero fondate, renderebbero inevitabile la destituzione. In questa situazione non capisco cosa c’entri che altri magistrati abbiano partecipato a convegni giuridici da lui organizzati. Ciò detto: oltre dieci anni fa ho tenuto una lezione di procedura penale a un convegno organizzato da Bellomo. Il contesto non mi convinse e in seguito ho educatamente declinato altri analoghi inviti.

Cosa non la convinceva?

La situazione complessiva non mi ha fatto sentire a mio agio. E non mi faccia aggiungere altro.

Le scuole private che devono preparare al concorso per entrare in magistratura sono prive di una normativa che le regolamenti con l’alto rischio di soci occulti, magari magistrati ordinari che hanno il divieto di essere docenti di questi corsi. Lei è stato magistrato e parlamentare, non si è mai posto questo problema?

Ripetutamente. C’è un problema serio in questo ambito e sarebbe molto sano se il legislatore se ne facesse carico, con una disciplina che valorizzasse le buone professionalità rimuovendo le molte zone opache e gli abusi. Fra l’altro, attualmente, come ha detto lei, i magistrati ordinari hanno un divieto assoluto di tenere lezioni in questi corsi, mentre lo stesso divieto non esiste per i magistrati amministrativi. Questa diversità di disciplina – chiunque lo capisce – non va bene.

Il presidente dell’Anm Eugenio Albamonte dice che queste scuole, essendo costose, se le possono permettere solo studenti che hanno alle spalle famiglie agiate. C’è una discriminazione sociale?

Sì, anche se il problema è più vasto. La formazione pubblica – università e scuole di specializzazione – nel mondo del diritto è, con rare eccezioni, di qualità non eccelsa. Come in molti ambiti, le carenze del pubblico sono la premessa per la dilatazione del privato e per la moltiplicazione delle disuguaglianze.

Sarebbe d’accordo se si vietassero le scuole private?

No. Ci vuole però, come dicevo, una disciplina seria che eviti gli abusi, i fenomeni di malcostume, la confusione dei ruoli.

C’è anche il problema – sostengono gli addetti ai lavori – della scarsa qualità dei corsi obbligatori all’università per accedere al concorso e degli stage presso uffici giudiziari. Qual è secondo lei la via d’uscita?

La formazione pubblica dei giuristi va riformata e in particolare le scuole di specializzazione universitarie sono del tutto inutili.

Negli ultimi due mesi si sono susseguiti inchieste e arresti per fatti gravi che hanno coinvolto magistrati. È ovvio che ci sono sempre state toghe inquisite, ma la sensazione è che di questi tempi siano aumentate. Anche la magistratura è in serio deficit di etica?

Credo che sia una sensazione, determinata dall’impatto mediatico di fatti oggettivamente riprovevoli e gravi. Ci sono sempre stati casi di malcostume e di corruzione, anche fra i magistrati ma la qualità etica media della magistratura rimane buona, per fortuna.

Da ex magistrato mi dà un titolo sul momento che sta vivendo la magistratura?

“Emergenza cronica”. Purtroppo.

E da ex politico me ne dà uno sulla legge elettorale con la quale andremo a votare?

Parafraserei il titolo di un libro di Gorkij: Storia di un uomo inutile.


***


I DOVERI IN PIU’ DEI GIUDICI - GIAN ANTONIO STELLA, CORRIERE DELLA SERA 12/12 – 


«Soldato Jacovacci, ti sarà el più anzian ma ti xé anca el più mona», dice un sottufficiale nel film «La grande guerra» ad Alberto Sordi, appena promosso caporale e già sbronzo di potere. E così verrebbe da rispondere al giudice Francesco Bellomo che, prima di far sparire il materiale più imbarazzante dal web, si vantava anche d’avere «un quoziente intellettivo di 188 (media umana 100)» e d’aver avuto «un’immensa quantità di donne». Peraltro, aggiungeva il gentleman, «di elevata qualità media». Lasciano senza fiato le vanterie da galletto del consigliere di Stato finito in questi giorni sulle prime pagine per le «regole» dettate alle giovani laureate in giurisprudenza che per entrare in magistratura si erano iscritte al suo corso di formazione alla scuola «Diritto e scienza». Basti leggere il diario delle «conquiste» da sciupafemmine sbandierate sulla rivista «scientifica» della scuola e rivelate da Virginia Piccolillo: «Ci incontriamo prima della lezione sul piano dove alloggio e lei mi abbraccia e bacia ripetutamente… Sono stato anni in Sicilia quindi non posso attribuire la veemenza della fanciulla al temperamento della specie femminile locale». Finezze da caserma che mai si sarebbe permesso neppure il mitico «Zanza», storico maschio alfa dei bagnini riminesi. Ma il punto, ovvio, non è questo. Né le fanfaronate ulteriori inserite nei «contratti» da questa specie di Capitan Sputasaette in toga. 

C ome, per citare il Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa che lo vuole destituire, «una clausola limitativa relativa a matrimonio e fidanzamento». Per capirci: «applicando i dettami della teoria della selezione naturale» la scelta dei fidanzati «deve cadere sul soggetto che presenta le caratteristiche più vantaggiose. La preferenza deve essere dunque accordata al soggetto più dotato geneticamente». 

Il punto è: come ha fatto un «maestro» di tal fatta a entrare a Palazzo Spada, la sede di quel Consiglio di Stato che fornisce al governo e alle regioni i pareri sulle regolarità e la legittimità dei vari atti amministrativi e ha l’ultima parola sulle sentenze, spesso delicatissime, dei vari Tar? Fosse anche tecnicamente un genio, la preparazione «scientifica», da sola, può bastare? O un giudice davvero all’altezza dei compiti che gli sono stati affidati, come suggerisce il buon senso, deve essere dotato anche di sobrietà, misura, consapevolezza del ruolo ricoperto? 

In ogni cesta, ovvio, può esserci una mela ammaccata. O addirittura marcia. Si pensi al giudice Diego Curtò, che per non farsi trovare con le mani nel sacco gettò i soldi della corruzione in un cassonetto. O al collega Nicola Russo, consigliere di Stato, condannato con rito abbreviato in primo grado a poco più di un anno per prostituzione minorile. O ancora a quell’altra «toga», Claudio Nucci, che in primo grado di anni ne ha presi quindici per pedofilia anche per certe intercettazioni: «Ho portato 50 euro a un fidanzatino. Non posso dirti quanti anni ha sennò mi mettono in galera». E via così.

Capita. In tutti i mestieri. Proprio per la delicatezza del compito loro assegnato, però, ai magistrati che devono giudicare gli altri viene chiesto di essere più solleciti nel raccogliere le denunce, più zelanti nell’esaminarle, più severi non solo nel giudicare i reati ma nel pesare l’opportunità di certi comportamenti. Lo sono stati? Sempre? O hanno preferito spesso non calcare la mano o addirittura nascondere la polvere sotto il tappeto come è successo troppe volte nei confronti di chi per anni grondava di arbitrati e ricchissimi incarichi esterni e ci scherzava su dicendo che «la legge è la moglie, gli incarichi l’amante»?

Può darsi che scrivere in un «contratto» che «il borsista deve attenersi al “dress code” in calce e, comunque, deve curare la propria immagine anche dal punto di vista dinamico (gesti, conversazione, movimenti), onde assicurarne il più possibile l’armonia, l’eleganza, la superiore trasgressività» non sia un reato. E che non lo sia neppure, in situazioni e lavori e luoghi diversi, suggerire le minigonne e i tacchi a spillo. 

Può darsi. Ma è opportuno pretendere questi pedaggi da cascamorto in un istituto privato che si presenta come una «Scuola di Formazione Giuridica Avanzata specializzata nella preparazione al concorso in magistratura ordinaria»? Ed è opportuno che altri magistrati in servizio, come il rodigino Davide Nalin, frequentino i convegni anti-violenza e insieme collaborino senza un cenno di dissenso con una rivista come quella citata dove intere puntate sono state dedicate a sgocciolare veleni, con nome e cognome, su una ragazza via via andata in crisi al punto di ridursi a uno scheletro di quarantuno chili?

«Non posso raccontare i fatti, perché sono tenuto al silenzio, ma non sono come li hanno descritti», ha detto il consigliere di Stato al Corriere, «Anche se lo fossero però sarebbe solo una vicenda di costume». Sic… Ma cosa insegna, un «professore» che dice una frase così insensata, solo commi, codici e codicilli?


***

VIRGINIA PICCOLILLO, CORRIERE DELLA SERA 11/12 –

Si può discutere di diritto rendendo «caso» la vita intima di una donna da cui ci sentiamo traditi? E renderla oggetto di decine di numeri di una rivista giuridica, con nome, cognome, foto, mail. È davvero «Diritto e Scienza», o assomiglia più a una vendetta in chat? Il caso del consigliere di Stato Francesco Bellomo, che secondo l’organo di autogoverno dello stesso Consiglio di Stato non deve più vestire la toga (manca il parere dell’adunanza), solleva nuovi interrogativi. Legati alla rivista del suo corso per aspiranti magistrati, che il Corriere ha avuto modo di sfogliare. Un quesito lo dovrà risolvere anche il Csm, su quel pm anti-violenza sulle donne, Davide Nalin, che alla rivista collaborava senza nulla eccepire. Malgrado della borsista Bellomo raccontasse tutto: «Pochi giorni dopo confessa di essersi innamorata di me. Sono abituato a sentirmelo dire e la mia reazione è sempre di neutralità, perché così sono costruito. Ma questa volta non resto indifferente».

Disamina con i lettori la «mediocrità della vita» di lei. Racconta il punteggio algoritmico che le aveva chiesto di assegnare all’ex fidanzato con cui lei dopo un po’ si rivede. Rivela: «Lei intuisce l’abnormità della sua condotta e cerca di giustificare il perché aveva fatto l’amore...».

La testimone

Di «violenza psicologica» parlano in molte. Dopo la testimonianza al Corriere del padre che ha rivelato il dramma della figlia giunta «al limite del suicidio», un’allieva, «ancora terrorizzata da Bellomo, che sa tutto e vede tutto come l’occhio del Signore degli Anelli» e «ha il potere assoluto per farti passare o bocciare al concorso in magistratura», rivela dal di dentro quel clima. «All’inizio il corso sembrava normale. Poi iniziava la selezione. Lui aveva un gruppo, come una setta. Ti dicevano cose strane». Tipo? «“I borsisti sono una razza superiore perché saranno futuri giudici”. “Chi è contro Bellomo non sarà mai un giudice”, perché lui è potentissimo. E chiedevano: “Se ti invitasse a casa sua ci andresti?”». Poi la prova stile Weinstein: un incontro privato. «C’è chi dopo quella prova non è più tornata al corso — racconta ancora l’aspirante magistrato —. Chi tornava invece non era più uguale a prima. Super-minigonne, total black e non ti rivolgeva più la parola. Bellomo finita la lezione parlava solo con loro. Una ragazza l’abbiamo vista dopo essere diventata borsista baciarsi con lui in pubblico. Tu pensavi, ma che c’entra col diventare giudice? Però molti avevano pagato in anticipo. Altri temevano che non ti facesse passare l’esame».

La rivista

Del tutto anomalo il contenuto della rivista diretta da Bellomo. In un numero racconta l’antefatto di quello che definisce un «caso emblematico»: quando la borsista «supera la prima selezione, ma all’inizio della seconda, dopo un minuto, cade in contraddizione sul regolamento e la dichiaro inidonea». Poi, scrive, «al chiaro scopo di ottenere una seconda chance, lei adotta un look analogo a quello indicato nel dress code allegato al regolamento, non perdendo occasione per mettersi in evidenza. A marzo accetta tutte le condizioni, firmando il contratto di durata annuale». Tra le quali «fedeltà all’Agente Superiore». E il fatto che «i risultati dell’attività di addestramento possono essere oggetto di analisi nella rivista». Lui stesso rivela l’appuntamento una settimana dopo «non in occasione del corso. Lei si organizza tacendo ai genitori le finalità del viaggio». Poi racconta «l’innamoramento» e il presunto «tradimento». E rivela fatti intimi per mesi. «Si succedevano i numeri della rivista — scrive lui stesso — per dimostrare la natura della fanciulla e la falsità della sua rappresentazione avevo messo in campo i massimi sistemi»: algoritmi, teorie sociali. «Aveva detto non avrò mai più contatti con lui. Il “mai” erano stati 6 mesi» scrive. E mette nero su bianco il ricatto: «Avevo prospettato la revoca della borsa di studio qualora lo avesse rivisto». Eppure per il pm Nalin non c’era «nulla di strano».


***


IL FATTO QUOTIDIANO 19/12 –

Tra Carpaneto Piacentino e la strada che corre verso il castello medievale di Gropparello. Inizia qui lo scandalo a luci rosse che ha travolto un magistrato del Consiglio di Stato e un pm di Rovigo, oggi, secondo quanto risulta al Fatto, indagati a Piacenza per minacce e lesioni. È qui, dunque, tra cascine e capannoni industriali, che l’inchiesta su Francesco Bellomo e Davide Nalin prende corpo e sostanza. Qui una delle allieve del corso di formazione per magistrati torna dopo aver subito per mesi le pressioni indebite di Bellomo. Lei che con lui ha intrattenuto una relazione sentimentale poi finita e che, grazie a una borsa di studio, aveva avuto la possibilità di frequentare la scuola dello stesso Bellomo. Il resto è noto. Quel contratto folle fatto firmare alle allieve e del quale mai fu consegnata copia. Le richieste di abbigliamenti particolari e persino limiti a fidanzamenti e matrimoni. E le minacce di una penale da 100 mila euro e di ostacoli alla carriera se non si fosse allineata. Infine le violenze psicologiche.
L’aspirante giudice così racconta tutto al padre, il quale mette insieme due esposti, uno per la Procura di Piacenza e uno per il Consiglio di Stato a Roma. A Piacenza il fascicolo, un anno fa, viene aperto senza ipotesi di reato. A giugno cambia. Le persone iscritte con accuse molto gravi sono lo stesso Bellomo e Davide Nalin che avrebbe fatto da tramite o paciere tra il consigliere e le ragazze.
L’accelerazione, come detto, si è avuta quando la ragazza è riuscita a testimoniare. Fino ad allora, raccontano fonti vicine alla famiglia, il disagio fisico e psicologico erano stati enormi, fino a pensare al suicidio. Qui nel Piacentino pochissimi conoscono i particolari, solo qualche parente. E del resto la lunga mano di Bellomo è arrivata fino a qua. Pressioni sono state fatte addirittura sui carabinieri di Carpeneto. Ufficialmente l’abboccamento è legato a presunte insolvenze sul contratto fatto con la scuola da parte della ragazza. La richiesta di Bellomo di una conciliazione. Il magistrato, addirittura, chiede per la ragazza l’accompagnamento coattivo. Tutto, per fortuna, si blocca quando la notizia arriva alla Procura. Non è finita. Dalla cerchia stretta dei parenti della presunta vittima emerge anche il tentativo di Bellomo di carpire notizie in Procura, inviando, in un caso, una giovane che si è fatta passare per una sua assistente. Tentativo fallito. La Procura di Piacenza, guidata dal dottor Salvatore Cappelleri, prosegue nell’inchiesta. Agli atti c’è una corposa documentazione estrapolata, soprattutto, dall’analisi sui computer. Due consulenze saranno depositate a breve. La situazione resta, però, delicata, perché Bellomo ha reagito denunciando lo stesso padre della ragazza per diversi reati tra cui “l’accesso abusivo a un sistema informatico”.
Intanto la Procura di Bari, nell’inchiesta condotta dal procuratore aggiunto Roberto Rossi, ha iscritto Bellomo nel registro degli indagati con l’accusa di estorsione per i contratti destinati alle borsiste che oltre al dress code prevedevano che vicende personali finissero nella rivista della scuola. Proseguono anche gli accertamenti fiscali, con la Guardia di Finanza che sta analizzando i documenti acquisiti nella sede della società Diritto e Scienza. Ieri è stata ascoltata in Procura come persona informata sui fatti l’ex borsista, oggi avvocato 28enne, Rosa Calvi.
Ha raccontato, come aveva già fatto al Corriere, della richiesta di Bellomo di “perdere peso”, della proposta di “ricorrere a delle punturine” per togliere “le borse sotto gli occhi”, del tentativo di baciarla che lei rifiutò, “lui mi disse che era soltanto un bacio d’affetto”, e dell’addio alla scuola. Non ha fatto il concorso in magistratura, “ero turbata”, ricorda, ma ci riproverà. Perché ha parlato solo adesso? “Nell’immediatezza – ha detto l’avvocato Calvi – ho avuto paura di ripercussioni nella mia carriera. Adesso che la vicenda è nota, ho ritenuto mio dovere morale raccontare quel che conoscevo. Anche per incentivare chi non aveva il coraggio. E infatti sono stata contattata da altre quattro ragazze, che mi hanno ringraziato, perché sanno di non essere sole. Sono stata ascoltata come persona informata sui fatti, non ho depositato alcuna denuncia. Il mio interesse non è denunciare Bellomo, ma far conoscere a tutti la verità”.


***


IL FATTO QUOTIDIANO 19/12 –

Francesco Bellomo bocciato ben due volte come giudice per problemi caratteriali. Probabilmente è proprio per questa stroncatura che l’attuale consigliere di Stato, indagato e con una radiazione in sospeso, lasciò la magistratura ordinaria per intraprendere la carriera di magistrato amministrativo, fino a poche settimane fa segnata da successi professionali e ingenti introiti grazie alla sua scuola “Diritto e Scienza”, che poteva essere frequentata da studentesse aspiranti magistrato e borsiste sole se giuravano fedeltà “all’agente superiore”.
Le bocciature di Bellomo, le uniche, risalgono al 2000-2001. Erano gli anni da pm a Nicosia (Enna) e poi da sostituto procuratore generale a Caltanissetta. L’attuale consigliere di Stato, però, vuole cambiare passo. Vuole diventare giudice. Fa la richiesta e accade quello che proprio non si aspettava: lo stronca il Consiglio giudiziario (il Csm “locale”) di Caltanissetta, con un parere negativo che sembra sorprendentemente coerente con i fatti che stanno emergendo adesso, a distanza di ben 17 anni. E pensare che all’inizio della sua carriera, Bellomo era stato valutato come un “magistrato di grandissimo valore”. Poi nel 2000 arriva lo stop: non può fare il giudice per la sua “arroganza” e perché non è equilibrato. Il parere di Caltanissetta, che Il Fatto ha potuto visionare, sembra un prologo per spiegare come Bellomo arrivi a concepire quel contratto della sua scuola che lede “la dignità delle persone”.
È l’11 maggio del 2000 quando il Consiglio nisseno scrive: “Nel carattere del dottor Bellomo ci sono tratti di arroganza intellettuale e una certa insofferenza alle regole e ai rapporti pseudogerarchici”. Dunque, i componenti di quel Consiglio ritengono Bellomo un magistrato che si sente in qualche modo superiore. Ed effettivamente anni dopo si auto assegna come quoziente intellettivo “181”, praticamente si dà del genio.
Lo stesso Consiglio scrisse: questa arroganza e questa insofferenza alle regole “sono segnali allarmanti che possono denotare scarso equilibrio”. Cioè riteneva pericoloso che Bellomo potesse giudicare altre persone, determinandone la sorte.
L’anno dopo, nel 2001, Bellomo si vede respingere nuovamente la richiesta di diventare giudice anche se il parere negativo riconosceva che aveva cominciato a recepire le osservazioni precedenti. Bellomo, però, lascia la toga di magistrato ordinario per indossare quella di amministrativo. Da consigliere di Stato concepisce un contratto con le aspiranti magistrato che sembra avere le modalità di una setta: clausole su chi frequentare, ordine di silenzio, pena denuncia, dress code. Anni di vessazioni – secondo le ipotesi accusatorie disciplinari e penali – senza che gli organismi di controllo della giustizia amministrativa si siano insospettite. Si sono mossi dopo la disperata denuncia del padre di una studentessa nel dicembre del 2016. Il 10 gennaio l’Adunanza generale (il plenum) deve ratificare, o meno, il massimo della pena, la destituzione, avanzata dal Consiglio di presidenza guidato da Pajno.