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 2017  dicembre 19 Martedì calendario

«Voglio stare in famiglia», «No, meglio lavorare». A Orio al Serio è il Natale della discordia

A Natale, buona volontà magari sì, pace in terra certamente no. Almeno non all’Oriocenter, il centro commerciale affiancato all’aeroporto di Bergamo, forse il punto d’Italia che assomiglia di più agli States: nelle dimensioni, perché è il più grande di tutto il Paese, e nella deregulation, perché quest’anno ci si lavorerà anche a Natale. Non tutti, per la verità, perché i 280 negozi resteranno chiusi. Saranno invece aperti i bar e i ristoranti, una ventina, strategicamente collocati accanto al cinema inaugurato quest’anno e kolossal pure lui, con 14 sale e lo schermo più grande d’Europa.
La mossa è chiara. Il pubblico arriverà in massa per i cinepanettoni e, dopo i circenses, non si può certo lasciarlo senza panem. Così, il 25 gli esercizi della «Food Court» (all’Oriocenter la lingua ufficiale è l’itagliese) saranno aperti dalle 17 alle 23, e lo stesso il 1° gennaio. Per gli altri, non ci sono santi: tutto aperto, negozi compresi, a santo Stefano, dalle 9 alle 22, e a san Silvestro, dalle 9 alle 19. Del resto, quest’anno non si è tirata giù la serranda né a Pasquetta né a Ferragosto.
Per quanto si sia a Bergamo, dove a non lavorare gli autoctoni si annoiano anche perché non ci sono abituati, c’è chi non gradisce. Specie dopo l’ultima omelia di Bergoglio sulla necessità di santificare le feste, i cattolici e la Curia sono sul piede di guerra, mentre i sindacati l’hanno già dichiarata. Ieri un’assemblea ha proclamato uno sciopero della ristorazione di Oriocenter per il giorno di Natale e uno provinciale della grande distribuzione per il 26, il tutto anticipato da un presidio il 22. «Così le feste son servite...», annuncia battagliera la Triplice il cui socio di maggioranza a Bergamo, vecchia terra bianca, è la Cisl. La replica del Centro si limita a un gelido «no comment».

Fin qui le posizioni ufficiali. Ma, facendo un giretto nella «Food Court» della discordia, si scopre che le posizioni dei diretti interessati sono molto più sfumate. Già c’era stato un indizio: la petizione contro il Natale a bottega fatta circolare dai sindacati ha raccolto solo un migliaio di firme su circa tremila dipendenti. Anche mettendo in conto il timore di eventuali ritorsioni, perché molti dei contratti sono a termine, non è esattamente un’adesione di massa.
Chi proprio non ci sta è Roberta, che fa la cameriera ma non se la sente di servire ai tavoli il 25. «Quel giorno, voglio stare con la mia famiglia, non con i clienti. Così si toglie al Natale il suo valore di festa, e non solo religiosa. Dobbiamo bloccarli subito, altrimenti finirà che l’anno prossimo resteremo aperti tutti i giorni. Io sciopererò, e pazienza se ci saranno ritorsioni. Un ristorante non è un servizio indispensabile come il pronto soccorso o i trasporti. Peraltro, basta informarsi dall’altra parte della strada per scoprire che ci sono anche delle compagnie aeree che il 25 non volano».
Poi ci sono i moderati. Tipo Valentina e Sara, rassegnate all’inevitabile al chiosco dei frullati: «È arrivata la circolare con gli orari, che possiamo farci? Ci saremo. Certo, almeno a Natale una preferirebbe starsene a casa a farsi i fatti suoi. Diciamo che non è una tragedia. Ma una rottura, sì». Pochi metri più in là, alla «Toasteria italiana», cambia il tenore dei commenti, non il risultato. Jessica non ha problemi, «perché nella ristorazione a Natale si è sempre lavorato e poi anche mia figlia lavora qui, quindi staremo insieme comunque», Jennifer invece sì, «perché ho due figli e a Natale vorrei stare tutto il giorno con loro», ma insomma entrambe alla fine lavoreranno.
Infine, ci sono gli entusiasti. Lo Stakanov delle feste si chiama Davide Parigi, responsabile di «Casa Maioli», piadineria: «Per quel turno servono quattro persone. Ci siamo offerti in otto, abbiamo dovuto tirare a sorte». E chi ha perso? «Lavorerà a Capodanno. Ci pagano il 120% della giornata, è un buon affare. Petizione, astensione dal lavoro? Io di certo non firmo né sciopero». Ma non le dispiace rinunciare alla festa, alla famiglia, alla casa dolce casa? «Senta, io vengo da una famiglia allargata, a Natale a Sarnico saremo una quarantina e i parenti inizieranno ad arrivare fin dal mattino, per i preparativi. Tutto sommato, a metà pomeriggio non mi dispiace tagliare la corda e con una motivazione inattaccabile. Tanto più che la fidanzata è impegnata nel ristorante di fianco, quando avremo finito ceneremo insieme». Ma il Papa... «Anche noi santifichiamo la festa: lavorando».