La Stampa, 19 dicembre 2017
Dina Powell e Nadia Schadlow, le donne che hanno ridisegnato la strategia dell’America
Le donne non svolgono un ruolo centrale nell’amministrazione Trump, come dimostra il livello dei pochi ministeri che guidano, ma questa impostazione si è invertita sul tema della strategia della sicurezza nazionale. Il documento pubblicato ieri, infatti, è stato scritto da Dina Powell e soprattutto da Nadia Schadlow. È vero che hanno lavorato sulla base delle posizioni prese dal presidente, sotto la guida del consigliere per la Sicurezza nazionale McMaster, e ascoltando i suggerimenti del segretario di Stato Tillerson, quello alla Difesa Mattis, e quello al Tesoro Mnuchin. Però il testo lo ha scritto Schadlow, dialogando soprattutto con Powell.
Dina Habib Powell è nata al Cairo da genitori copti, ed è emigrata negli Usa, a Dallas, quando aveva 4 anni. Ha studiato alla University of Texas, dove era entrata in contatto con i politici repubblicani, fino ad essere assunta nella Casa Bianca di Bush figlio come vice capo del personale, e al dipartimento di Stato. Nel 2007 era passata alla Goldman Sachs come managing director, e da lì Gary Cohn l’ha riportata nell’amministrazione Trump, come vice consigliere per la Sicurezza nazionale. È stata una delle organizzatrici del viaggio del presidente in Arabia Saudita e ha aiutato a ridefinire la linea in Medio Oriente. È allineata con la corrente moderata, ma ha già annunciato che a gennaio lascerà.
Il suo posto verrà preso da Nadia Schadlow, figlia di madre italiana, a sua volta mamma di tre bambini. Nadia si è laureata alla Cornell University specializzandosi negli studi sull’Urss. Poi ha preso un dottorato alla Johns Hopkins Nitze School of Advanced International Studies, guidata prima dall’intellettuale neocon Paul Wolfowitz, e oggi da Vali Nasr. Ha cominciato a lavorare al Department of Army, per poi gestire i rapporti con l’Ucraina al Pentagono. Quindi è passata alla Smith Richardson Foundation per studiare le minacce emergenti contro la sicurezza nazionale. La chiave per capirne filosofia è il suo libro «War and the Art of Governance», in cui sostiene che gli Usa nel mondo commettono sempre lo stesso errore: si concentrano troppo sugli aspetti militari dei loro interventi, e poco su quelli politici. Una delle recensioni più positive che aveva ricevuto era quella dell’allora generale Mattis, che insieme a McMaster è il suo grande protettore alla Casa Bianca. Entrambi militari, ma membri dell’ala moderata nell’amministrazione, e convinti sostenitori dell’importanza di unire il soft power alla forza. Cioè la filosofia che domina la nuova strategia nazionale.