Il Sole 24 Ore, 19 dicembre 2017
Paradisi fiscali, colpi hacker e blocchi: la storia di Bitfinex, regina dei Bitcoin
Quando nel 2012 Raphael Nicolle trova per caso su Internet un codice sorgente per creare una piattaforma di trading, forse non comprende subito che ha in mano oro. Digitale, ma oro. A quell’epoca ha 26 anni, vive in Francia e passa le giornate sul computer come molti suoi coetanei. Con quel codice sorgente crea Bitfinex, una piattaforma per il trading di criptovalute, quasi per gioco. Un gioco troppo interessante per non essere notato. È così che un italiano, Giancarlo Devasini, lo trova su Internet, lo contatta e diventa suo socio: da quel giorno, costruita su una serie di società nei paradisi fiscali, Bitfinex diventa la più grande piattaforma di trading di criptovalute del mondo. Ancora oggi macina i maggiori volumi di scambio, che fanno di Bitfinex la “cripto-Borsa” numero uno.
Poco importa se si tratti di una piattaforma “misteriosa”, con una struttura societaria che va dalle Isole Vergini a Hong Kong e senza alcun organo di vigilanza che la controlli davvero. Poco importa se sia stata oggetto di attacchi hacker risolti spalmando le perdite sui clienti e risarcendoli in un modo che ha creato non pochi malumori. Poco importa se gli istituti creditizi americani abbiano interrotto le relazioni bancarie e se la Borsa Cme l’abbia esclusa dall’elenco delle piattaforme da cui prendere i prezzi per i futures nati proprio ieri. Poco importa se la Commodity Futures Trading Commission l’abbia multata per «avere offerto transazioni in Bitcoin finanziate illegalmente fuori-Borsa da risparmiatori». Bitfinex resta la “Borsa” di Bitcoin numero uno. Il Sole 24 Ore, intrecciando documenti e testimonianze dirette, è in grado di raccontare la sua incredibile storia. Purtroppo Devasini, contattato al telefono, ha preferito non rilasciare alcun commento o spiegazione. Mentre al telefono di Raphael Nicolle risponde sempre la segreteria telefonica.
La nascita
Tutto inizia in Francia nel 2012 quando il ragazzo francese trova il codice sorgente. Era gratis su Internet – narra chi l’ha conosciuto – perché uno degli informatici che l’avevano creato per ripicca dopo aver litigato con il socio decide di renderlo pubblico. Nicolle, che sulla rete ci vive, lo trova e lo utilizza per creare la prima versione di Bitfinex. Ai tempi la piattaforma si appoggiava alla filiale bancaria sotto casa. Ma funzionava. Fino al giorno in cui Devasini, un italiano che oggi vive tra Milano, una villa in Costa Azzurra e Londra, non gli propone un accordo: se Nicolle gli offre qualcosa come il 40% delle quote societarie, lui avrebbe creato una vera società di trading di criptovalute.
Così è stato. Con tanto di paradisi fiscali, che hanno fatto finire Devasini anche nei recenti Panama Papers. Oggi Bitfinex è controllata da iFinex, società incorporata nelle British Virgin Island con uffici a Taiwan. E per un po’ di tempo si è appoggiata, per gestire l’operatività dei clienti, sui conti di alcune banche di Taiwan: Hwatai Commercial Bank, Kgi Bank, First Commercial Bank e Taishin Bank. I nomi di queste banche sono importanti: perché chiunque voglia comprare Bitcoin attraverso la piattaforma Bitfinex (come avviene per tutte le altre), deve fare un bonifico proprio nel conto presso queste banche. E sono proprio le relazioni con questi conti che alcune banche americane hanno bloccato nei mesi scorsi.
Gli attacchi hacker
Prima del blocco dei conti, a Bitfinex capita una disavventura già nell’estate 2016: alcuni hacker rubano dagli «hot wallet» della piattaforma Bitcoin per un valore di oltre 70 milioni di dollari. Un cifra che farebbe tremare i polsi a chiunque. Ma i vertici di Bitfinex – composti oggi Jan Ludovicus van der Velde, Phil Potter e Devasini – non si scompongono: per coprire il buco, decidono di spalmare la perdita sui depositi di tutti i clienti. In cambio di questo “buco”, Bitflinex crea per i clienti un «token» (che poi diventano due), cioè una valuta ad hoc rappresentativa dei soldi persi. Con la promessa di un rimborso. A questo punto al primo token viene data la possibilità di conversione in azioni iFinex e il secondo diventa scambiabile sulla piattaforma Bitfinex. Ovviamente i prezzi del token scendono. Ma quello che più ha fatto arrabbiare alcuni clienti è la voce che sul mercato ci siano state mani forti del “mondo Bitfinex” a comprare i «token» a prezzi bassi per ridurre i rimborsi. Impossibile sapere se sia andata davvero così: avremmo voluto chiedere a Devasini, ma non è stato disponibile a un confronto.
Il blocco dei conti e Tether
Ma il problema più complesso arriva quando le banche americane iniziano a interrompere le relazioni con Bitfinex, impedendo di fatto l’operatività per i clienti statunitensi. La prima a congelare i rapporti nel marzo 2017 è Wells Fargo, contro cui Bitfinex fa subito causa presso la Us District Court della California. «Questo ci impedisce di continuare il business», scrivono i legali di Bitfinex nell’atto di citazione. Pochi mesi dopo questa causa è stata però ritirata.
Anche perché, nonostante il blocco, il business non si è fermato. Anzi. Innanzitutto Bitfinex ha trovato una nuova banca d’appoggio: la piccola Popolare polacca Spoldzielczy di Skierniewice. Inoltre i vertici di Bitfinex da tempo favoriscono la crescita di una nuova valuta digitale (un nuovo «token») che avevano creato tempo addietro: il Tether. Tra le tante risorse di Bitfinex, infatti, c’è quella di “stampare moneta”. Quasi come fosse una banca centrale. Così i creatori di Bitfinex iniziano a “stampare” virtualmente a piene mani questa nuova moneta che – secondo quanto da loro stessi dichiarato – vale un dollaro ed è scambiabile sulla stessa piattaforma. Se la cantano e se la suonano da soli, ma il mercato sta dietro loro: ad oggi – secondo i dati di Coinmarketcap – in circolazione ci sono infatti Tether per oltre un miliardo di dollari. Chi non riesce ad avere i suoi dollari indietro per il blocco bancario – suggerisce una persona che opera su Bitfinex -, può dunque provare a operare in Tether. Oppure recuperare altre valute.
Opacità e manipolazioni
Questo fiorire di «token», nell’opacità di questa e di molte altre piattaforme, fomenta però i sospetti. Forse infondati. Ma nessuno può saperlo davvero. Se per esempio il mondo Bitfinex stampasse Tether per comprare con questa moneta “virtuale” Bitcoin, facendo salire il prezzo del Bitcoin stesso, nessuno potrebbe davvero scoprirlo. Come nessuno conosce bene l’origine dei saltuari «flash crash» che, talvolta, colpiscono il Bitcoin su Bitfinex: improvvisamente il prezzo crolla e subito dopo risale. Ebbene: se anche in mezzo a questi «flash crash» qualche mano forte dovesse specularci sopra, nessuno potrebbe saperlo. Del resto un’eventuale manipolazione del mercato – ammesso che ci sia mai stata – non sarebbe punibile dalle Autorità di vigilanza: secondo quanto Il Sole 24 Ore ha verificato, dato che le criptovalute non sono veri asset finanziari e sono scambiati su piattaforme molto spesso non regolamentate, di fatto non sono soggette alla normativa sugli abusi di mercato. Insomma: i Bitcoin – ammettono le stesse Autorità di Vigilanza – sono manipolabili impunemente. Questo fomenta sospetti e dietrologie che non fanno bene né al mercato, né alla clientela, né alle piattaforme che diventano oggetto di maldicenze magari infondate.
Margin lending
Intanto Bitfinex continua a crescere. Anche perché è una delle poche in grado di permettere alle persone fisiche non solo di comprare Bitcoin, ma anche di prestare denaro ad altre persone fisiche per acquistare criptovalute. Il «margin lending» (questa attività di credito si chiama così) è così popolare che settimana scorsa risultavano in prestito attraverso Bitfinex ben 737 milioni di dollari: crediti erogati da persone fisiche per permettere ad altre persone fisiche di speculare a leva (con una leva minima però) sui Bitcoin. Il tasso d’interesse in questi giorni era dello 0,08% al giorno: si tratta di circa il 30% su base annua. E chi opera su Bitfinex sostiene che un tempo i tassi erano molto più elevati. Così Bitfinex resta la cripto-Borsa numero uno, sostenuta da quella Bitcoin-mania che non pare arrestarsi. E da quel pizzico di avidità che, direbbe Gordon Gekko, «è giusta»...