Il Sole 24 Ore, 19 dicembre 2017
Piastrelle, rivoluzione «grande lastra». Il nuovo trend cambia il prodotto e il polo della ceramica cerca altri spazi produttivi
C’è la grande lastra, la nuova protagonista della scena architettonica che va rubando ruoli e funzioni agli altri materiali, dietro al quarto anno consecutivo di crescita dell’industria ceramica italiana e all’exploit degli investimenti in innovazione che, complici gli incentivi del Piano Impresa 4.0, sfioreranno la cifra record del 10% del fatturato (picco storico come quello del 1995 legato all’effetto della Tremonti), mezzo miliardo di euro a spanne. E anche se lo sprint del 2016 e dei primi mesi del 2017 è andato rallentando, tra edilizia nazionale che arranca e scenario internazionale più ombroso, il settore – 150 industrie per 19mila addetti – si prepara a chiudere un bilancio in crescita di altri due punti e mezzo, con circa 425 milioni di metri quadrati di piastrelle prodotti e venduti e 5,5 miliardi di euro di fatturato, per l’80% legato all’export.
E alle porte c’è un altro biennio 2018-2019 positivo, soprattutto oltreconfine: se in Italia Prometeia conferma un trend del +1,5% annuo, all’estero la domanda mondiale marcerà almeno al doppio, passando dai 13,2 miliardi di mq di questo 2017 a 14 miliardi nel 2019,con accelerazioni oltre il 5% in Europa Orientale e Paesi del Golfo e garantendo al made in Italy una domanda aggiuntiva di almeno altri 23 milioni di mq. Tanto che per la prima volta emerge un problema di carenza di spazi industriali lungo i 19 chilometri di tile valley che unisce Maranello a Scandiano, dove si concentrano 90 aziende e l’80% della produzione italiana di piastrelle.
Sono questi i temi emersi ieri a Sassuolo in occasione dell’assemblea di fine anno di Confindustria Ceramica. «Tra debolezza del dollaro, rincaro del petrolio, scelte protezionistiche, il contesto globale è lievemente peggiorato, ma non al punto da minare la nostra competitività e la nostra leadership mondiale per valore delle esportazioni. I dazi antidumping appena rinnovati dall’Ue sull’import cinese ci garantiscono altri cinque anni di fair trade (anche se restiamo perplessi sull’applicabilità delle nuove norme che bypassano la questione del riconoscimento di “economia di mercato”), fondamentali per valorizzare il nostro enorme sforzo in investimenti, che stanno ulteriormente accelerando dopo l’apice del 2016, quando avevano superato quota 400 milioni di euro e il 7,5% dei ricavi complessivi», spiega Vittorio Borelli, presidente di Confindustria Ceramica.
«Ma non è la Cina oggi il competitor più temibile dei ceramisti italiani bensì l’India, secondo produttore mondiale e quarto player per export (dopo Cina, Spagna e Italia), che rischia a breve di sorpassarci se non riusciremo a mantenere un incremento medio dei prezzi del 3% l’anno», avverte Giuseppe Schirone, economista Prometeia, descrivendo uno scenario globale dove la distribuzione della domanda si fa più uniforme, i tradizionali mercati di sbocco del made in Italy (Usa e Ue, che valgono i due terzi del nostro export) rallentano, mentre crescono le potenzialità in Paesi come Estonia e Israele.
Il 2017 consolida dunque i brillanti risultati 2016 della ceramica italiana, con il quinto anno consecutivo di crescita per l’export (+2,6%), il quarto di fila per la produzione (+2,3%) e il secondo di ripresa anche per il mercato interno (+1,5%).
«Il vero ostacolo alla competitività futura è annidato in patria– sottolinea Borelli – perché il nostro nemico numero uno è la burocrazia barocca, che in questa fase di forti investimenti per ridisegnare ed efficientare le fabbriche ci blocca 5-7 anni in una pletora di enti inutili e di carte, quando negli Stati Uniti passano 12 mesi dall’autorizzazione del cantiere all’accensione delle macchine».
Il tema della delocalizzazione produttiva fuori dal distretto torna attuale di fronte alla carenza di aree industriali e logistiche adeguate ai nuovi, mastodontici impianti per le grandi lastre, che richiedono metrature tre volte quelli tradizionali.
«Chi vuole partire da zero con un nuovo stabilimento o un magazzino industriale, qui non trova più spazi. Chi sta investendo, penso ai due nuovi impianti di Florim o a quello di Marazzi o al sito di System Logistics in costruzione a Fiorano, aveva già terreni di proprietà. Sono molti i capannoni in disuso sotto i 3mila metri quadrati, ma non sono utilizzabili per le grandi linee», commenta Claudio Pistoni, sindaco di Sassuolo, la città-distretto dove la ceramica dà lavoro a 15mila occupati e dove, dopo aver toccato quest’anno il minimo di ammortizzatori sociali da un decennio, si sta tornando anche ad assumere.
La 30esima edizione dell’analisi dei bilanci del settore ceramico domestico condotta da Bper Banca e presentata ieri a Sassuolo conferma la ritrovata salute del distretto: l’80% delle prime 60 realtà industriali (coprono il 72% del fatturato complessivo) ha chiuso il bilancio 2016 in utile (era il 50% quattro anni prima) con un utile medio più alto; il fatturato è tornato per la maggior parte delle aziende sopra ai livelli pre crisi e l’Ebitda medio ha raggiunto il 14%.