il Giornale, 19 dicembre 2017
Un’indagine sui metodi del dottor Freud. E i suoi pazienti diventano «testimoni»
La soluzione del problema giunge durante una cena elegante con il consigliere Otto, un burocrate. Celebre per le stoccate con cui trafigge i nemici, il consigliere suscita la curiosità di Freud, che chiede come gli riesca di compiere una tale magia. «Semplicissimo, Herr Freud, per dire chiaro tutto, basta non chiamare niente col suo nome. Il politico è uno che fa capire cosa pensa della Prussia parlando dei mandarini di Cina». «E se accadesse lo stesso anche nei sogni?» si domanda il padre della psicanalisi. Magari «ci parliamo nottetempo di una Prussia cui alludere senza farne il nome?».
A un anno dalla pubblicazione di Qualcosa sui Lehmann, epopea in versi della famiglia di imprenditori e banchieri, Stefano Massini torna nelle librerie con L’interpretatore dei sogni (Mondadori, pagg. 345, euro 19), una grande ricostruzione in forma diaristica della fase di incubazione dell’Interpretazione dei sogni di Freud. Nel celebre saggio, uscito nel 1900, si afferma che la coscienza è un’ingannevole pellicola sotto la quale si nasconde un potentato psichico che parla una lingua straniera i cui geroglifici affiorano nelle dimenticanze più banali, nei chiassosi sintomi delle isteriche ma soprattutto nei sogni. Ascoltando i resoconti che i pazienti danno dei loro incubi, il Freud di Massini sviluppa la convinzione che «La lontananza dei sogni è il loro primo inganno. Il secondo è che siano cose di cui ridere». I nevrotici viennesi che bussano allo studio di Freud esordiscono con affermazioni grottesche – «Io penso di me tutto il male del mondo», «Io sono un nome con due gambe sotto» – quando non tradiscono le sindromi più subdole: «Impropri quei bottoni lasciati aperti sul collo come a dire che lei decide per sé. Decide per sé? Provo sempre un disagio per chi non decide niente e proprio per questo dà a vedere – nei dettagli, solo lì – di reggere saldo il timone». Il romanzo di Massini stupirà chi identifica Freud con il teorico di un’idraulica libidinale un po’ sconcia, lo scomodo dottore austriaco secondo il quale dietro ogni sentimento c’è solo il sesso: nell’Interpretatore dei sogni il modello dominante è Sherlock Holmes, l’enigmistica prevale sul desiderio e quanto allo sporco segretuccio, appare in tutto due o tre volte. Ma il sogno resta un’esperienza totalizzante: anche se è costituito da immagini, «non diciamo ho visto un sogno, diciamo ho fatto un sogno». Per questo i pazienti pregano Freud di non rivelarne il contenuto ai congiunti: «Non ho idea di cosa possa voler dire, ma mio padre non lo sappia per nessuna ragione al mondo». Di volta in volta sinistri, commoventi o atroci, sempre coinvolgenti, i sogni che Freud abilmente interpreta rimandano a un’epoca in cui chiudere gli occhi significava attingere a un ambiguo, innominabile tesoro. In seguito il freudismo – inteso come scuola, non per il contributo dato alla psicologia, che è immenso – è stato spostato in soffitta assieme al marxismo, al quale lo accomuna il dogmatismo, l’epigonismo e la particolarità di funzionare solo in Occidente.
Se il Freud di Massini impiega quattro mesi per decifrare le visioni notturne di un paziente, il nostro tempo ha smesso di interpretare i sogni; e poi anche di sognare.