la Repubblica, 19 dicembre 2017
New York spegne il cinema amato da Roth e DeLillo
NEW YORK È il cinema di Philp Roth, Nathan Englander e Don DeLillo. Anzi era. Perché il Lincoln Plaza Cinemas, multisala d’essai che dal 1981 propone il meglio del cinema mondiale, sarà chiuso. È qui che sono stati presentati al pubblico americano i film di Fellini, Rohmer, Fassbinder, Altman, Kieslowski, Kiarostami e, più recentemente, Paolo Sorrentino. Ed è qui che si sono formate almeno due generazioni di amanti e studiosi del cinema.
Nel pubblico si poteva riconoscere Susan Sontag, che rimaneva a discutere nell’ingresso accanto alla rivendita di popcorn: come hanno continuato a fare fino all’ultimo Philip Roth, Donna Tartt, Nathan Englander e Don DeLillo. Il motivo della chiusura è prettamente economico. La Millstein Properties, società proprietaria dello stabile, non ha rinnovato il contratto di affitto, e a nulla sono valsi i tentativi di trattativa da parte di Don e Toby Talbot, titolari della multisala e in passato anche distributori attraverso la compagnia New Yorker: perché è grazie a questa coppia di intellettuali imprenditori che sono arrivati in America, soltanto per citare gli italiani, i film di Bertolucci, Bellocchio, Olmi e Amelio. Non è un caso che il memoir scritto da Toby Talbot ha la prefazione di Martin Scorsese e le note scritte da Jack Kerouac. Ma c’è qualcosa che rende ancora più inquietante questa chiusura: la multisala si trova a pochi passi dal Lincoln Center, al centro di quello che era, sino a poco tempo fa, un polo culturale di tutta la città. A poco più di cento metri c’era la Tower Records, andata in bancarotta qualche anno fa, e di fronte, la più bella e imponente delle librerie Barnes & Noble, sede privilegiata delle presentazioni dei libri più importanti. I tre piani della Tower Records ospitano ora una catena di rivendita di mobili. Al posto dei cinque piani di libri di Barnes & Noble c’è un outlet di abbigliamento. Attività rispettabilissime: ma che non offrono nulla sul piano della proposta culturale. In una città con poche piazze, insomma, si è così persa una “agorà” di vitale importanza. Non c’è da stupirsi se cominciano dunque a fiorire gli appelli, appassionati quanto probabilmente inutili, per “resistere” alla chiusura del Lincoln Plaza Cinemas, annunciata per gennaio.
Sta per chiudere del resto anche il Landmark, un altro importante cinema d’essai nel Lower East Side: e nonostante l’apertura, in quella zona, del magnifico Metrograph, è una ulteriore dimostrazione dell’impoverimento di proposta artistica in una città che ha visto scomparire istituzioni come il Thalia, il Bleecker Street Cinema, il Metro e il Manhattan Cinema Studio – per non parlare delle sale monumentali come il leggendario Zigfield. È stato lo stesso Talbot a denunciare il cambiamento genetico del settore definendo il mondo del cinema non più “business” ma “casinò”: negli anni Settanta i cinema d’essai in America erano più di seicento e ora superano di poco i venti.
Con una aggravante prettamente americana: lo spazio sempre più ridotto dedicato al “world cinema”, cioè la proposta estranea agli Stati Uniti. Il rischio è sotto gli occhi di tutti: un sostanziale disinteresse per quanto è estraneo alla propria cultura.
Un’insularità in continua crescita in cambio di una ricerca sempre più estenuata del profitto.