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 2017  dicembre 19 Martedì calendario

Melegatti non fa pace nemmeno a Natale e il salvataggio sfuma

Milano Il boom della campagna dei pandori di Natale e i 10 milioni promessi dal fondo maltese Abalone per produrre le colombe di Pasqua non bastano ancora a riportare il sereno in casa Melegatti. Anzi. L’eterna guerra tra i soci (la dinastia Ronca contro quella dei Turco) rischia di soffocare sul nascere il tentativo di salvare lo storico marchio veronese. Costringendo alla fuga i potenziali investitori e mettendo a rischio il successo del concordato preventivo varato dal tribunale per proteggere l’azienda dai creditori.
Le peripezie dell’ultimo anno culminate con lo stop all’attività per tre mesi, gli stipendi non pagati a settembre e ottobre e la miracolosa riapertura di dicembre – non sono bastate a convincere gli azionisti a seppellire l’ascia di guerra. La prova? Il verbale dell’ultima turbolenta assemblea del 6 novembre convocata per spianare la strada all’amministrazione straordinaria. Ordine del giorno ufficiale: l’ok al bilancio 2016 (chiuso in rosso per 4 milioni) e il via libera alle procedure concorsuali. Due punti cui Emanuele, Francesco ed Elisabetta Turco hanno chiesto però di aggiungerne altrettanti: un’azione di responsabilità contro gli attuali amministratori (in primis la presidente Emanuela Perazzoli) per cattiva gestione e la revoca del loro mandato. L’offensiva è stata accompagnata dalla segnalazione ai revisori di «asserite regolarità contabili» che – abbinate alle incertezze sul futuro della Melegatti – hanno convinto Ey a non firmare il via libera al bilancio.
La relazione di gestione del gruppo per l’ultimo esercizio è la fotografia nero su bianco degli errori del management, costretto a fermare a settembre la produzione malgrado il boom delle vendite di Pasqua (+8%) a causa dei debiti contratti con troppa superficialità. I vertici del gruppo provano ad autoassolversi, dando la colpa del crac ai rialzi dei prezzi di uova e burro che hanno causato «difficoltà di approvvigionamenti e tensioni sui conti bancari».
In realtà, come spiegano i revisori, le cose sono andate al contrario: l’azienda ha speso 6 milioni per costruire il nuovo modernissimo impianto per la produzione di croissant a San Martino Buonalbergo facendosi finanziare dalle banche. Il passo però è stato più lungo della gamba e Melegatti si è ritrovata senza la liquidità necessaria per comprare uova e burro e per pagare gli stipendi. Il corto circuito finanziario è certificato dai fatti fotografati nel fascicolo di bilancio: l’affitto per lo stabilimento di croissant non è mai stato pagato ( e nel luglio 2017 è stato depositato una richiesta di sfratto per morosità). Negli ultimi mesi si è accumulato un arretrato di 3 milioni con Fisco e Inps per il quale è stata chiesta una dilazione. L’indebitamento è lievitato a 18 milioni e a complicare tutto è arrivata una verifica dell’Agenzia delle entrate sui conti 2012- 2015 con tanto di «rilievi verbalizzati» per cui si attendono eventuali avvisi di risarcimento.
Questa drammatica fotografia spiega bene la prudenza del fondo Abalone, impegnato in queste settimane a cercare un accordo con le banche per rifinanziare i debiti. I maltesi, spaventati dalla “Guerra dei Roses” tra i Ronca e i Turco, vorrebbero prendere il controllo azionario per evitare sorprese prima di mettere altri 10 milioni. A dar fiducia ai Commissari del tribunale e ai nuovi investitori è il clamoroso successo delle vendite natalizie, con 1,75 milioni di dolci arrivati in extremis sugli scaffali dei supermercati ( «avremmo potuto venderne molti di più», dice un po’ dispiaciuto Maurizio Tolotto della Fai- Cisl). Ma senza chiarezza tra i soci, il rischio è che la situazioni torni rapidamente ad avvitarsi.