Corriere della Sera, 19 dicembre 2017
L’ombra di Igor e delle sue pistole sulla fine tragica di Paula e Marc
MADRID Erano «tal para qual», fatti l’uno per l’altra. I loro amici di Cabrils li chiamavano Piua y Putu, che non vuol dire niente, era solo un gioco, una assonanza fonetica per sottolineare quanto i due giovani fidanzati fossero uniti. All’alba del 24 agosto di quest’anno Paula Mas e Marc Hernandez caricano i bagagli e un kayak sulla Opel Zafira del padre di lei.
Il viaggio si annuncia lungo. La destinazione finale è la palude di Susqueda, una riserva naturale di acquitrini e stagni che si estende per cinquecento ettari intorno al corso del Rio Ter. Alle nove del mattino i due ragazzi, avevano 21 e 23 anni, vengono ripresi dalla telecamere di un Bancomat in un paesino ai bordi dell’oasi. Quel fermo immagine è anche l’ultimo segno della loro esistenza. I corpi di Paula e Marc riemergono lo scorso 26 settembre dal fondo della palude. Il ragazzo ha una pallottola nel cuore. Paula ha la mano destra trapassata, come se avesse cercato di proteggersi. A ucciderla è stato un colpo di pistola alla testa. Entrambi i corpi sono stati legati con delle funi alle quali erano appese delle pietre.
Dal quotidiano online El Espanol dello scorso 2 ottobre: «I due giovani sono stati ritrovati in una zona poco raccomandabile, perché di difficile accesso, dove ci sono molte case abbandonate, spesso occupate da persone in fuga dalla giustizia che cercano un rifugio sicuro. Forse hanno pagato con la vita l’incontro casuale con una persona cattiva e pericolosa».
C’è tutto e non c’è nulla. C’è la palude, come lo scorso aprile nell’oasi ecologica di Portomaggiore, ci sono le case abbandonate e soprattutto ci sarebbe Norbert Feher, che senza alcun dubbio è una persona cattiva e pericolosa. L’assassino non ha ancora un nome. Non c’è neppure una pista privilegiata. La procura di Girona, che procede sul duplice omicidio nella palude, ha chiesto formalmente al giudice di Alcaniz che domenica mattina ha interrogato l’ex militare serbo di poterlo sentire sul caso. Come possibili motivi di interesse ha citato «da notizia di stampa» l’eventuale compatibilità del calibro della pistola che ha ucciso i fidanzati di Cabrils con quella usata per uccidere la guardia ecologica Valerio Verri. La Guardi Civil si mostra scettica, la magistratura di Girona sembra crederci, non solo per una evidente similitudine tra la palude di Susqueda e l’habitat italiano dove si nascondeva Feher.
L’unica cosa certa della sua lunga latitanza è Valencia. L’uomo accusato di aver ucciso almeno cinque persone tra Italia e Spagna ha raccontato di aver trascorso gran parte dei suoi ultimi tre mesi nei dintorni della terza città di Spagna, dove, parole sue, «ha trafficato» per un po’ di tempo, prima di trasferirsi alla fine di novembre sull’altipiano di Aragona.
Al giudice ha detto che due delle quattro pistole che aveva con sé vengono dall’Italia. Con buona probabilità sono quelle rubate lo scorso 30 marzo a una guardia giurata di Consandolo e all’agente provinciale Marco Ravaglia, ferito nell’agguato dell’8 aprile dove è morto Verri. Tra gli oggetti ritrovati sul pick-up guidato da Feher c’erano anche le manette, le cinture con munizioni e i giubbotti d’ordinanza dei due agenti appena uccisi. La Guardia Civil ipotizza che li potesse usare per camuffarsi. Ma forse quei furti sono soltanto un effetto collaterale dello stato di ebbrezza dell’assassino serbo. I carabinieri italiani venuti fin qui torneranno oggi in Italia. Hanno depositato le richieste di poter accedere ai dati del cellulare e del tablet di Feher. Ma ci vorrà del tempo. Comanda il giudice istruttore, che tiene tutto sotto chiave, compreso il verbale dell’interrogatorio di domenica. E l’Italia non sembra essere una sua priorità.