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 2017  dicembre 18 Lunedì calendario

Lisette Oropesa: «Per cantare ho perso 40 chili tutti di corsa»

ROMA Nella lirica è decisamente cambiato il vento. Certe iperboliche dame barcollanti in scena a causa di stazze non leggiadre. Certe eroine che nella trama si dichiarano esangui e tuttavia appaiono bloccate dal peso. Certi spassosi controsensi scenici. Certi abbracci tenorili che non coprono la circonferenza della partner.
L’immaginario teatrale odierno ha annientato tutto ciò. Il viaggio antico del melodramma deve adeguarsi a modelli di efficienza e bellezza contemporanei. Valgono il fascino, la tecnica, la determinazione e un’autentica capacità d’impossessarsi del ruolo. L’arco di vittorie ottenute da Lisette Oropesa in questi territori è esemplare: «Ero innamorata del canto, non ho mai desiderato altro», racconta gioiosa al telefono da New York. «Da giovanissima vincevo borse di studio e audizioni: chiaro che la mia voce poteva funzionare bene.
Ma per interpretare molti personaggi, mi dissero, dovrai perdere quaranta chili. Sennò niente Lucia di Lammermoor o Costanza nel Ratto dal serraglio.
Accadeva tredici anni fa. Ho accettato la sfida. Ci ho messo cinque anni a smaltirli».
Come? «Correndo.
Trasformandomi in una runner professionista. Attraversando Central Park. Facendo le grandi Maratone. Costeggiando l’Hudson River e avventurandomi nei boschi.
Camminando in montagna col mio meraviglioso e inseparabile marito Steven. Esplorando Hyde Park se canto al Covent Garden di Londra o il Circo Massimo e Villa Borghese se il lavoro mi conduce a Roma. Ho scelto pure di essere vegana. Ho riscoperto il corpo. È stato come essermi scrollata di dosso un’altra persona. Correndo medito e prendo energia. La corsa mi aiuta a tenere a lungo i fiati e a sentirmi fortissima in palcoscenico».
Nata 34 anni fa a New Orleans da genitori cubani («sono cittadina americana ma sognerei di visitare Cuba, che non conosco, e in famiglia parlavo spagnolo”), Lisette è divenuta un simbolo (campeggia sulle cover di riviste sportive) e a suo modo un portento. Soprano lucente, dal fisico magnetico, ha la voce di un usignolo con tenuta e spessore, arricchita da una gamma di colorature esatte. Ha cantato in oltre cento recite al Metropolitan di New York, il teatro che più l’ha formata, affrontando ruoli come Susanna nelle Nozze di Figaro e Gilda in Rigoletto. È stata Traviata a Philadelphia e ha trionfato da poco a Londra come Lucia di Lammermoor. Si esibisce in Europa e negli Usa con maestri quali Muti, Gatti, Barenboim e Levine. È adorata dai melomani e incensata dal New York Times. Ha un’agenda fitta d’impegni che include tra gli appuntamenti italiani il ROF di Pesaro in estate, la Fenice di Venezia per Traviata e Gilda per l’apertura della prossima stagione dell’Opera di Roma in un nuovo Rigoletto guidato da Gatti.
Aggiunge squillante che «in primavera a Los Angeles, con Leo Nucci, sarò per l’ennesima volta la mia amata Gilda».È la sua figura operistica preferita?
«Sì. L’ho interpretata anche un anno fa a Roma, con Luca Salsi protagonista. Non solo mi piace vocalmente, ma c’è molto del mio vissuto in lei. Ho avuto un padre affetto da distrofia muscolare. La sua fragilità ha influito sulla mania di protezione che esercitava sulle tre figlie. Con noi era possessivo come Rigoletto, e mi ripeteva sempre che dovevo restare pura. Anche lui, come il buffone dell’opera, era un giullare dal cuore triste. Faceva scherzi e battute ma era segnato dalla malattia e dalla nostalgia di Cuba».
Da dove le arriva la vocazione al canto?
«Sono cresciuta a Baton Rouge, in Louisiana, dove vivono ancora mia madre e i nonni materni, che hanno sempre adorato l’opera. Mio nonno aveva una voce stupenda, come mia mamma, che cantava nei cori in chiesa. Ho studiato voce e musica all’università della Louisiana, poi ho partecipato a un concorso al Met di New York e la carriera si è avviata.
Giro nei teatri internazionali con mio marito, che è un “web developer” e mi sostiene molto nel lavoro, e sono felice così. Non progettiamo bambini. Non fa parte del mio destino”.
Lei ha cantato spesso diretta da James Levine: è il suo maestro di riferimento?
«Direi di sì. È colto, gentile, preparatissimo e professionalmente mi ha dato un’infinità di cose».
Cosa pensa degli scandali sessuali che lo hanno coinvolto?
«Mi addolorano profondamente perché lo ammiro».
Si parla molto delle molestie che subiscono le donne, e che infesterebbero anche il mondo della classica. Lei conferma?
«La cosa riguarda pure gli uomini, non solo le donne. Io non ne sono mai stata vittima. Forse perché mio marito mi sta sempre accanto?
Molte cantanti riferiscono episodi pesantissimi, ma senza fare i nomi di chi le avrebbero molestate. Posso dirle che il teatro predispone a certe situazioni dato che provoca intimità: in scena capita di essere baciata o toccata da sconosciuti».