la Repubblica, 18 dicembre 2017
E oggi summit della famiglia divisa, l’ultima lite sulla bandiera sbagliata
MONDOVÌ Il sole non scioglie la neve gelata di Vicoforte. Alla fine della messa delle 11, quella solenne della domenica, si ritrovano sul sagrato i soliti anziani del paese. Tutti parlano del re ma i nostalgici sono pochi. Non si discute del monarca che aprì le porte a Mussolini.
Tiene banco il dibattito più prosaico sul pil reale. Quanto renderanno le salme? «Con queste due tombe potrebbero arrivare anche 500mila turisti in più all’anno», calcola Livio, 66 anni, manutentore in pensione. Piero il «funtané», un tempo responsabile dell’acquedotto comunale, è anche più ottimista: «Ne arriveranno tantissimi. Già adesso siamo pieni di pullman di turisti la domenica. I negozianti diventeranno ricchi».
Considerazioni che stridono con i toni aulici che sceglie, pochi metri più in là, il Presidente del Consiglio dei Senatori del Regno, Aldo Alessandro Mola: «Stiamo per assistere a un momento fondamentale per la memoria dell’Italia». La Storia passa poco prima delle 13 con l’arrivo sulla piazza del furgone della ditta di onoranze funebri Tallone, di Centallo. Il rettore del Santuario, don Meo Bessone, accoglie la bara leggendo il salmo 121: «Nella tua casa, signore, avrò la pace».
Ripercorre l’episodio biblico dell’apparizione di Dio a Mosé: «Di fronte al roveto ardente, Mosè depose i calzari in segno di rispetto. Anche noi dovremmo tutti deporre i calzari di fronte a questa salma in segno di riconciliazione nazionale».
Difficile chiedere riconciliazione se nemmeno i Savoia vanno d’accordo tra di loro. Il trasferimento a Vicoforte e non al Pantheon irrita Vittorio Emanuele e il figlio Emanuele Filiberto. Che anche qui hanno i loro polemici emissari: «Visto? Hanno anche sbagliato la bandiera sulla bara.
Non è quella monarchica, manca la corona», ironizza Gian Nicolino Narducci, segretario di Serge di Jugoslavia. Chi ha sbagliato a mettere la bandiera? Ma gli uomini di Maria Gabriella, naturalmente, i veri organizzatori della mediazione con lo Stato italiano. Oggi a pranzo Maria Gabriella e Vittorio Emanuele dovrebbero trovarsi insieme a Vicoforte. Un summit per appianare le liti dinastiche. È gia anche pronta la mediazione: «Si potrebbe sempre dire che la sistemazione a Vicoforte è provvisoria. Tanto si sa che in Italia le cose provvisorie sono definitive», suggerisce con cinismo Narducci.
Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere Piemonte, spera che le salme restino a lungo in quello che il giovane Emanuele Filiberto ha definito con sprezzo, «un santuario di campagna».
«Battuta fuori luogo – risponde Dardanello – i Savoia hanno sempre voluto venire qua. Spero che le salme reali facciano conoscere ancora di più il nostro meraviglioso territorio».
Intanto hanno reso utile l’aeroporto fantasma di Levaldigi, una media annua di un volo al giorno: «Il fatto che la bara sia atterrata a Levaldigi dimostra che è un infrastruttura indispensabile», risponde piccato il presidente.
Nel primo pomeriggio, quando le note del silenzio fuori ordinanza fanno capire che la cerimonia privata nel santuario è terminata, sbuca dal portone il conte Federico Radicati di Primeglio: Assicura che tutto si è svolto come previsto e annuncia di parlare «a nome dell’intera famiglia».
Qualcuno storce il naso.
L’apertura della cappella arriva alle 14,30. A destra dell’altare riposa Vittorio Emanuele III, a sinistra la consorte. «Curtatone e Montanara», li aveva scherzosamente definiti Amedeo di Aosta per via della bassa statura di lui e dell’origine montenegrina di lei. Battuta che costò al giovane Amedeo l’esilio in Africa. Ma oggi pomeriggio, di fronte alle tombe reali, non si scherza. Compaiono addirittura due monarchici doc, arrivati da Torino. Non vogliono rivelare l’identità: «Sono un professionista, non vorrei compromettermi», dice quello più distinto che sfoggia una cravatta con lo stemma sabaudo. Perché è qui? Ormai l’Italia è una repubblica. «La repubblica è una scelta, la monarchia è una fede».