Corriere della Sera, 30 agosto 2017
Tags : Anno 1901. Personaggi maschili. Russia. Letteratura
Cechov stregato dall’attrice
Finalmente riesco a scriverti mio caro, amato e lontano, e così vicino, Anton mio! Dove tu sia adesso, io non lo so. Da molto tempo aspettavo il giorno in cui mi fosse possibile scriverti». Tutto si potrebbe pensare di queste poche righe tranne che il destinatario della lettera sia morto. Infatti, la moglie di Anton Cechov, Olga Knipper, continua: «Oggi sono arrivata a Mosca, sono stata sulla tua tomba...». È il 19 agosto 1904 e lo scrittore se n’è andato da un mese e mezzo: l’ennesimo attacco di tisi lo ha stroncato a Badenweiler, un paesino della Foresta Nera, dove è andato con Olga per trovare sollievo alla tubercolosi che l’ha tormentato per anni. È stata lei a raccontare nel suo diario le ultime ore di Anton Pavlovič, gli affanni, la nausea, la breve ripresa, l’ultima iniezione di canfora, l’ultimo bicchiere di champagne, l’ultima frase, in tedesco: «Ich sterbe», io muoio, la farfalla notturna che batteva contro le pareti della stanza. Il 20 agosto, un’altra lettera rivolta a lui: «Buon giorno, caro! Arrivo adesso da casa di tuo fratello Ivan...».
È stato un amore difficile, il loro. E breve. Si sono conosciuti quando lo scrittore era al culmine della gloria, dopo il ritorno trionfale del «Gabbiano» sulle scene del pionieristico Teatro d’Arte a Mosca, seguito al clamoroso (e doloroso) tonfo di due anni prima a Pietroburgo. Era il 17 dicembre 1898, Cechov non poté partecipare alla sua apoteosi perché si trovava a Jalta, dove i medici gli avevano consigliato di far riposare i polmoni, con le amorevoli cure della madre e della sorella. Era lì, come in esilio o in carcere nella sua «Dacia bianca» di Crimea (diceva di sentirsi «Dreyfus all’isola del Diavolo»), malinconico, ma al riparo dal crudele inverno moscovita. Non aveva ancora quarant’anni e già si preparava a morire, convinto che non sarebbe sopravvissuto alla fine del secolo: e proprio mentre si preparava a morire arrivò l’attrice Olga.
Nella primavera del 1900 fu raggiunto a Jalta dalla compagnia del Teatro: il regista Stanislavskij disse che Cechov «sembrava una casa che avesse trascorso l’inverno con le imposte inchiodate, le porte chiuse». Le porte si aprirono quando il suo sguardo incrociò la figura giovane ed elegante della Knipper, che nel «Gabbiano» recitava la parte della protagonista, Arkadina. Ventotto anni, figlia di un ingegnere e di una pianista, pianista a sua volta, cantante e attrice colta e poliglotta, grazie al suo talento e alla sua intelligenza coprì i ruoli più prestigiosi del teatro russo contemporaneo. La sorella di Cechov, Maša, l’aveva ammirata recitare, ne era diventata amica e ironicamente aveva consigliato ad Anton, nonostante la gelosia, di farle la corte. Non poteva immaginare che qualche anno dopo il fratello l’avrebbe presa alla lettera.
Prima si scrivono: «Non dimentichi lo scrittore, non mi dimentichi. Altrimenti mi annegherò o mi sposerò con un millepiedi». Poi si incontrano rapidamente a Mosca e per un breve viaggio insieme nel Caucaso. Quando torna a Jalta lo scrittore rimane a casa e pensa a lei: Olga è una donna indipendente, occupata dal lavoro, cui non rinuncerebbe mai. Ma scrive ad Anton: «Com’è assurdo che tu sia senza di me e io senza di te». Osserva Augusta Böbel Dokukina, che anni fa ha curato il carteggio per l’edizione italiana del Melangolo: «Le ore e i minuti misurarono sempre il tempo dell’incontro, le settimane e i mesi quello della separazione». Le nozze verranno, un po’ clandestinamente, il 25 maggio 1901, alla presenza di soli quattro testimoni, seguite da un viaggio sui fiumi Volga e Kama. Cechov non era tipo da matrimonio. Da giovane disse a un amico che avrebbe potuto essere un marito meraviglioso solo a condizione di avere una moglie che, come la luna, non comparisse nel suo cielo ogni giorno. Conosceva a menadito, anche per averle raccontate, le incompatibilità tra uomini e donne. Ma a Olga, pur essendo già preparato a morire, si affiderà ciecamente: «Pensaci tu al mio futuro, sii la mia padrona, farò tutto quello che dirai, altrimenti noi non la vivremo la vita, la inghiottiremo soltanto, un cucchiaio da tavola ad ore alterne».
La vivranno insieme (ma a distanza), la vita, soltanto per quattro anni: scanditi dai colpi di tosse di lui e dalle fragilità psicologiche di lei. Il 17 gennaio 1904, Cechov assistette a Mosca alla prima del «Giardino dei ciliegi», l’ultimo suo dramma: alla fine ricevette tutti gli onori che meritava. Stanislavskij ricordò così quella serata che «sapeva di funerale» più che di festa: «Egli, mortalmente pallido, emaciato, stava in piedi sul proscenio senza riuscire a trattenere la tosse, mentre tutti lo festeggiavano con messaggi e con regali, ci si strinse dolorosamente il cuore».
Pochi mesi dopo, Olga avrebbe scritto al suo amore ormai scomparso: «Il teatro, il teatro... Non so più se devo amarlo o piuttosto maledirlo... Tutto è così deliziosamente confuso in questa nostra vita!».