La Verità, 14 luglio 2017
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Il giorno in cui «el parón de casa» dei veneziani si sgretolò a terra
Il 14 luglio resta una triste data per la città di Venezia. In quel giorno del 1902 infatti crollò il campanile di San Marco, una delle torri campanarie più antiche del mondo. Non ci furono vittime, eccezion fatta per il gatto del custode. Tuttavia a sparire quel lunedì fu un pezzo del mondo dell’arte. Erano le 4 del mattino quando il capomastro Luigi Vendrasco si presentò in piazza San Marco: non riusciva a dormire tanto era preoccupato per il campanile che versava in condizioni critiche da ben 4 anni. Un’ora e mezzo più tardi l’architetto Domenico Rupolo effettuò un sopralluogo e alle 9.30 diede l’allarme: furono sgomberate la piazza e le botteghe sotto le Procuratie Nuove. Poco dopo, il crollo: il monumento rovinò a terra in meno di un minuto coprendo il sole e lasciando un cumulo di macerie alto 2 metri. Scrisse l’Avanti! all’indomani della tragedia: «Non è un campanile che cade; è il campanile di San Marco. È qualche cosa dell’anima di tutto un popolo, per cui quello fu segnacolo e bandiera, e faro; che se lo vide sorgere nel cuore della città, testimonio di una multiforme storia di vita e d’arte insieme cogli altri monumenti che lo cinsero da presso». Subito il prefetto di Venezia convocò Pietro Saccardo, primo architetto della fabbriceria di San Marco, per accusarlo di «non aver prontamente informato le autorità sulle gravi lesioni del campanile». Peccato che già nell’agosto del 1901 Saccardo avesse scritto allo stesso prefetto, al sindaco di Venezia e al ministro della Pubblica istruzione denunciando l’urgenza di riprendere subito i lavori al campanile, arrestati nel giugno di quell’anno: «Basta confrontare le due qui unite fotografie (...) per vedere a colpo d’occhio con quale incredibile rapidità in così pochi anni siansi aumentati i guasti. (La fabbriceria) si dichiara sciolta da qualsiasi responsabilità per tutto quello che potesse accadere». Prima di Saccardo, a lanciare l’allarme nel 1892 era stato Luigi Vendrasco, capomastro addetto all’Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti del Veneto. Quando la torre cadde si rifugiò a Strà: «Se sino dal 1892 si fossero eseguiti certi lavori e non se ne fossero eseguiti certi altri; si sarebbe potuto salvarlo anche in questi ultimi giorni, se, in cambio dimetter tante spie sulla ferita che anche gli orbi vedevano, si fosse curata direttamente quella ferita; la causa ultima e determinante dello sfacelo fu il recente taglio alla base per il lavoro alla loggetta del Sansovino».
ANOMALIE «Sono curiose queste anomalie degli uffici di Belle Arti. In alcuni luoghi vi proibiscono di addossare a una parete, sia pure recondita, di un palazzo lontanamente monumentale, il gabbiotto per i commutatori della luce elettrica. A Venezia si lasciava forare il campanile!» (Da un rapporto di Luigi Vendrasco a Guido Baccelli, ministro della Pubblica istruzione, in cui il capomastro spiegava che la stabilità del campanile era compromessa a causa di alcuni lavori alla base dell’edificio nel corso dei quali era stato praticato un foro per installare la cucina economica del custode).
MISURE Oggi la base è un quaper un’altezza di 98,6 metri, di cui 3,68 dell’angelo.
SPERONI I lavori del campanile di Venezia iniziarono sotto al dogado di Pietro Tribuno, tra l’888 e il 911 quando, scrisse Giulio Feroldo nei suoi Annali Veneziani, «principiarono a battersi monete d’argento, allora che la Repubblica cresciuta deliberò di gettar le fondamenta». I veneziani volevano erigere un’opera che fosse seconda in altezza solo alle Piramidi «ma di quelle ben più snello e ardito». Nella Storia veneta di un cronista del Seicento si riportano invece le parole del signor Pietro Marchesi che assisté agli scavi: «Le fondamente del Campanile furono gittate con speroni all’interno, che molto si stendono da tutte le parti, e formano come una stella, acciò da questi resti fermato senza pericolo d’alcuna mossa il sito destinato alla gran fabbrica, obbligato al grosso peso». Il lavoro fu così complesso che ci vollero 35 anni prima di poter sistemare la prima fila di mattoni.
FARO In origine il campanile di San Marco aveva la funzione di faro. Poi venne usato come sostegno per le gabbie di coloro che venivano sottoposti alla pubblica tortura.
FULMINI La torre fu poi rimaneggiata nel XII e nel XIV secolo, prima d’essere compromessa da un terremoto nel 1511. Ma i danni più ingenti li fecero i fulmini che creparono muri, squarciarono la struttura e fecero crollare la cima fin quando, nel 1776, il campanile non venne dotato di un parafulmine.
GALILEO Nel 1609 Galileo Galilei fece una dimostrazione del cannocchiale proprio dal campanile di San Marco.
LEONE Quando il Leone di San Marco veniva rappresentato su pitture o sculture mentre reggeva una spada, significava che Venezia stava affrontando un periodo di guerra. Oggi in piazza San Marco si possono ammirare ancora 13 leoni.
OPERE Le sculture il leone di San Marco e Venezia vennero poste sulle facce dell’attico in occasione del restauro post terremoto. Per la stessa occasione fu realizzata la cuspide in bronzo, per rendere la torre visibile dal mare, e nella cerimonia di inaugurazione del 6 luglio 1913 fu collocata anche la statua in legno dell’Arcangelo Gabriele che verrà sostituita nel 1822 con una nuova statua realizzata da Luigi Zandomeneghi . Nel 1820 il fonditore Domenico Canciani Dalla Venezia fuse un nuovo concerto composto da 5 campane, con i resti delle vecchie.
CAMPANE La campana Maleficio annunciava le sentenze capitali; la Marangona segnava l’orario di lavoro dei carpentieri; la mezzana suonava a mezzogiorno; la Pregadi annunciava le riunione ai senatori; la Trottera serviva per non fare arrivare tardi i nobili di Venezia convocati a Palazzo Ducale. La Marangona, la campana più grande, fu la sola su tutte che non fu distrutta dal crollo del 1902.
ROVINE Tra le rovine del Campanile, a pochi giorni dal crollo, rinvennero, invece, le statue di Jacopo Sansovino, quella raffigurante Mercurio con un braccio destro rotto e senza quattro dita della mano destra, la Pace, decapitata e senza il braccio destro e La Pallade rimasta senza scudo e senza punta dell’elmo.
MATÒN Alle 15.30 del 22 luglio del 1902 partì dal molo prospiciente la Zecca il primo barcone a fondo apribile con le macerie del campanile di San Marco per essere scaricate in mare. In una cronaca dell’epoca si leggeva: «Un grosso mattone, dei più antichi, su cui è scolpita la data 14 luglio 1902, contornato da verdi rami d’alloro, verrà gettato in mare insieme ai rottami. Le macerie vengono portate a 5 miglia dalla punta estrema della diga del Lido. Pareva di assistere a un trasporto funebre». Il mattone inciso è stato gettato in mare da una bambina di nome Gigeta salita sul barcone con Giacomo Boni, un funzionario pubblico. Durante il viaggio di ritorno Boni si accorge che Gigeta tiene il pugno chiuso: dal cumolo di macerie la bambina aveva sottratto «un tochetìn de matòn del campaniél».
PARÓN «El parón de casa», il padrone di casa, così lo chiamano amichevolmente i veneziani.
SUPERBA Sabato 25 aprile 1903, nel giorno della festa del perdono di San Marco, fu posta la prima pietra del nuovo campanile. Il manico della cazzuola usata per la posa fu ricavato da un tronco della palafitta delle antiche fondamenta. Nel discorso del sindaco Filippo Grimani per 6 volte ritorna il motto «com’era e dov’era», ormai proverbiale. Scrisse Luca Beltrami in Settantadue giorni (1903): «Qualcuno asserì che la cerimonia della prima pietra non ebbe a sollevare un entusiasmo sincero di popolo: e tale fu la mia impressione. A ogni modo, il risultato fu raggiunto: gli alberghi rigurgitarono di forestieri, mentre, attraverso alle suggestive informazioni dei reporter, non mancò l’entusiasmo negli articoli d’oltralpe, dal titolo: “A manifestation of the superb spirit of Venice”».