Dieci anni di Repubblica, 18 ottobre 1977
«Ci rallegriamo» risponde il Papa
A cinque giorni della pubblicazione della lettera di Berlinguer è giunta la risposta più autorevole: non dalla «Civiltà cattolica», non dai vescovi italiani, ma addirittura dalla Segreteria di Stato. A nessuna altra fonte può essere infatti attribuito il lungo articolo non firmato, pubblicato ieri in prima pagina dall’Osservatore romano con il titolo «Partito comunista e cattolici in Italia». Una risposta parziale, in quanto prende in esame soltanto la principale tra le questioni affrontate da Berlinguer, quella della «ispirazione ideale» del partito, ovvero del suo rapporto con il marxismo. Ma, in questi limiti, una risposta indubbiamente positiva, che accetta il dialogo aperto dal segretario comunista e non chiude la strada a nessuno dei suoi possibili sviluppi. Una risposta che può essere così riassunta: se il Pci superasse «realmente» (cioè «nella teoria e nella prassi») la «pregiudiziale ideologica marxista-leninista», l’incontro di ordine pratico tra cattolici e comunisti, oggi reso automaticamente impossibile dalla permanenza di tale pregiudiziale, si porrebbe in termini nuovi.
Il passo dell’articolo che meglio esprime, nel tono e nel contenuto, la sostanza di questa risposta quasi ufficiale (la forma con cui appare la fa ritenere approvata dallo stesso Paolo VI) è il seguente: «Nessuno potrebbe più di noi sinceramente rallegrarsi se un grande partito di massa, così ricco di forze e di fermenti come il Pci, riuscisse realmente a superare, nella teoria e nella prassi, la pregiudiziale ideologica marxista-leninista, materialistica ed atea ed a spogliarsi di quelle caratteristiche totalizzanti ed egemoniche che lo hanno fatto considerare fuori dai partiti genuinamente democratici, sia pure a connotazione laica».
Per un simile superamento, prosegue l’articolo, «una lunga e non facile opera di chiarificazione a livello dottrinale e di rassicurazione sul piano della prassi resta in ogni caso, ancora da fare». È possibile tale opera? Alcuni, dice il testo, «cattolici e non cattolici», la ritengono impossibile: «Noi», prosegue citando la lettera di Berlinguer, «non vorremmo scoraggiare nessuna sincera volontà, convinti anche noi che si tratta di problemi la cui soluzione positiva (ove possibile, aggiungiamo ed auguriamo) è molto importante per l’avvenire della società e dell’Italia».
Un altro passo importante, in cui indirettamente si ammette che l’opera di chiarificazione potrebbe portare a un diverso atteggiamento della Chiesa, è il seguente: «Nel frattempo i cattolici non possono dimenticare o trascurare il chiaro insegnamento della Chiesa circa la incompatibilità della professione cristiana con l’accettazione dei presupposti dottrinali del marxismo: incompatibilità che viene, del resto, confermata dallo sforzo che il Pci sta, non senza interno travaglio, compiendo per escludere l’esigenza di simile accettazione da parte di chi voglia militare e agire nel partito, ben comprendendo che il mantenere un’esigenza del genere comporta automaticamente l’impossibilità per un cattolico (che voglia restare tale, non solo a parole) di iscriversi nelle file comuniste».
Oltre al riconoscimento dello «sforzo» in atto nel Pci (mai i comunisti nostrani erano stati trattati con tanto riguardo) in questo testo è da sottolineare che la «incompatibilità» viene ristretta all’accettazione dei «presupposti dottrinali del marxismo», e non estesa, come spesso capita in pronunciamenti pure autorevoli, all’organizzazione e agli obiettivi politici del Partito Comunista.
Una interpretazione estensiva della incompatibilità era stata data l’altro ieri dal cardinale Benelli, che addirittura aveva trovato inaccettabile per i cattolici la 382, sconfessando in tal modo lo stesso operato della Dc. «Finalmente nei giorni scorsi ci è stato parlato in modo chiarissimo», aveva detto Benelli, con evidente riferimento alla lettera di Berlinguer, «ci è stato detto che cosa esattamente si cela dietro la legge 382: c’è un’idea collettivista e totalitaria. Come si può pretendere che i cristiani diano il loro consenso a un provvedimento che è espressione di un piano che va direttamente contro i princìpi cristiani?».
L’articolo dell’Osservatore non entra in merito alla 382. Fa un accenno alle «esperienze negative e preoccupanti in corso nella stessa Italia, o in alcune delle sue regioni», e precisa che toccherà alla Cei «prendere una posizione meditata e responsabile soprattutto per quel che riguarda i risvolti concreti e più specificamente italiani della iniziativa comunista».
Tuttavia le due prese di posizione sono in contrasto nell’intenzione che le muove, se non nella lettera. Per Benelli oltre alla constatazione della inconciliabilità ideologica non si può andare: «Non dobbiamo ingannarci a vicenda, né possiamo ingannare gli altri con un vago e tanto strapazzato dialogo». Per l’Osservatore invece la questione dell’evoluzione ideologica del Pci è del massimo interesse. Non per nulla tutta la parte centrale dell’intervento è dedicata alla questione dell’articolo 5 dello statuto del Pci (1), «la cui portata», si dice, «è tale che recentemente, proprio da parte comunista e nell’intento di rispondere a più che giustificate preoccupazioni di parte cattolica, ne è stata ipotizzata o addirittura prevista una prossima abolizione».
Note: (1) L’articolo 5 dello statuto del Pci, così come era stato fissato dal XIV Congresso del partito (Roma, 18-23 marzo 1975), riguardava «i doveri dei militanti». La parte contestata era contenuta nel comma b: «(il militante deve) accrescere continuamente la propria conoscenza della linea politica del partito e la propria capacità per realizzarla, leggere, sostenere e diffondere il giornale e le pubblicazioni del partito; acquisire e approfondire – salve restando le disposizioni dell’art. 2 (dove era sancito che l’iscrizione al partito era possibile indipendentemente dalla razza, dalla fede religiosa e dalle convinzioni filosofiche – n.d.r.) – la conoscenza del marxismo-leninismo ed applicarne gli insegnamenti nella soluzione delle questioni concrete». Nel XV congresso del 1979, i doveri dei militanti vennero elencati all’articolo 7 dello Statuto. Il comma contestato (contrassegnato stavolta dalla lettera c) fu completamente riscritto.