Dieci anni di Repubblica, 13 ottobre 1977
Dal Pci lettera al vescovo
Chiamandolo «signor vescovo» il segretario del Pci, Enrico Berlinguer, ha risposto alla lettera aperta inviatagli l’anno scorso da Luigi Bettazzi, vescovo di Ivrea. Il leader comunista precisa la natura laica del suo partito, il rapporto che esso persegue con il mondo cattolico, le sue riserve sull’intolleranza ideologica che si manifesta in paesi a regime comunista, il suo impegno a fare spazio alle istituzioni educative ed assistenziali cattoliche. Questa lettera, che sarà pubblicata integralmente nel prossimo numero di Rinascita, è il testo più organico e autorevole che il Pci abbia rivolto ai cattolici dopo la famosa conferenza tenuta a Bergamo nella primavera del 1963 da Palmiro Togliatti.
II tema più grosso, e sul quale Berlinguer si esprime in modo più esplicito che nel passato, è quello della «ispirazione ideale» del Pci. Il vescovo di Ivrea si era detto preoccupato della «vostra ispirazione marxista, che da una parte si collega con il materialismo e l’ateismo e dall’altra si è troppo spesso aperta a dittature e violente, anche anti-religiose».
Berlinguer richiama l’articolo 2 dello statuto del partito, voluto da Togliatti e sancito dal quinto congresso nel 1946: l’iscrizione al Pci è ammessa per quanti accettino «il programma politico del partito», indipendentemente «dalla fede religiosa e dalle convinzioni filosofiche».
È in forza di questa «piena e rigorosa laicità», prosegue Berlinguer, «che abbiamo potuto costruire un partito nuovo, non solo profondamente di classe, ma anche di massa e, anzi, di popolo, non settario, non integralista», nel quale «iscritti, militanti e dirigenti con diverse formazioni e convinzioni ideologiche, culturali, filosofiche, religiose, lavorano insieme giorno per giorno, fraternamente ed egualitariamente».
La conclusione è impegnativa: «In considerazione di ciò, è forse esatto dire che il Pci come tale, e cioè in quanto partito, organizzazione politica, professa esplicitamente l’ideologia marxista, come filosofia materialistica ateistica? Proprio per i chiarimenti sopra dati, risponderei di no».
Questo non vuol dire che il Pci elabori la propria politica «in modo meramente empirico», senza collegamento con il «patrimonio decisivo» che gli deriva «dai maestri del pensiero politico rivoluzionario e dai fondatori del movimento comunista», ma vuol dire che si richiama ad esso come a una «vivente lezione, che non è e non può essere un credo ideologico». In altre parole il marxismo, nel Pci, viene «inteso e utilizzato criticamente come insegnamento, non accettato e letto dogmaticamente, come un testo immutabile».
Anche qui la conclusione è di rilievo: stante questa sua considerazione del marxismo non si può affermare che il Pci «si proponga di imporre, o anche solo di privilegiare, nell’attività politica e nello Stato, una particolare ideologia e l’ateismo».
A riprova di questa affermazione Berlinguer richiama il consenso che il suo partito ha sempre ricevuto da «grandi masse di cittadini che atei non sono», e recentemente da «cattolici professanti e pubblicamente impegnati a restare tali» che hanno accettato «l’invito a entrare come indipendenti nelle nostre liste elettorali e ad essere eletti dai comunisti». Offrendo quella possibilità il Pci ha inteso confermare «non solo il suo rispetto per la religiosità di questi amici, ma ha voluto soprattutto mettere in valore l’apporto che la loro umana e civile esperienza, religiosamente formata, può dare alla comune opera di rinnovamento, sottolineando al tempo stesso la laicità della politica e dell’impegno politico».
Come risulta dalla stessa storia, afferma Berlinguer, «nel Pci esiste ed opera la volontà non solo di costruire e di far vivere qui in Italia un partito laico e democratico, come tale non teista, non ateista e non antiteista; ma di volere anche, per diretta conseguenza, uno stato laico e democratico, anch’esso dunque non teista, non ateista, non antiteista».
A questo punto si inserisce il riferimento ad alcuni paesi dell’Europa dell’est, dove «si è dato vita a Stati in cui, per l’influsso di determinate tradizioni teoriche e per peculiari ragioni e condizioni storiche, si è finito, nella pratica, per cadere in discriminazioni, anche pesanti, sulla base di criteri ideologici». Berlinguer cita, in proposito, il dissenso più volte espresso dal Pci, «in varie sedi, anche internazionali».
Infine l’ultimo punto: Bettazzi gli aveva chiesto di «non osteggiare» le istituzioni assistenziali cattoliche, e Berlinguer nega che il Pci abbia l’intenzione di «trattare da nemiche istituzioni religiose dedite ad opere assistenziali e educative». Semmai, precisa, il disagio di queste ultime deriva dalla necessaria «espansione delle iniziative delle amministrazioni locali». La via per una «appropriata regolamentazione» del settore è indicata in due punti: da parte dello Stato il rispetto per i tempi lunghi necessari alla Chiesa per trasformare la sua «cospicua eredità storica in tali campi», evitando i conflitti che potrebbero derivare da «modi drastici e tempi affrettati»; da parte della Chiesa il riconoscimento della positività del processo in atto, la partecipazione democratica alle nuove forme di intervento gestite dai poteri pubblici e la scelta di «attività rivolte a soddisfare nuove esigenze per la costruzione di una società democratica, libera, più giusta».
Quale eco potrà avere questa iniziativa di Berlinguer? Bettazzi gli scrisse il 6 luglio dell’anno scorso. Nel rispondere il Pci ha scelto bene i tempi. Ha lasciato che maturassero fatti importanti: le aperture del convegno ecclesiale del novembre scorso (ribadite recentemente da padre Sorge) (1), le trattative per l’accordo a sei, quelle per la revisione del Concordato (2). La situazione attuale è più «dialogica» di quella dell’anno scorso. Può favorire, se non una risposta immediata, almeno una considerazione pacata.
Note: (1) Nell’assemblea dei cattolici che s’era tenuta all’Eur dal 1° al 5 novembre 1976, Padre Sorge parlando in conclusione, sveva detto che il convegno aveva «rigettato in modo netto la tentazione dell’integrismo» e rilanciato la dottrina del «pluralismo temperato», secondo il quale «i cattolici possono militare anche in formazioni che si richiamino a ideologie non cristiane, purché sia fatta salva la coerenza con la propria fede». (2) Dopo una prima bozza di Concordato (21 novembre 1976) i negoziatori delle due parti (Gonella, Jemolo e Ago per l’Italia. Casaroli, Silvestrini e Lenere per la Santa Sede) avevano steso una seconda bozza, resa pubblica proprio in quei giorni e intorno alla quale ferveva un’accesa discussione. Uno dei punti più controversi riguardava il destino dell’Ipab, cioè delle 15 mila Opere pie i cui beni, in base a quanto previsto dalla legge 382, sarebbero dovuti passare ai comuni.