Dieci anni di Repubblica, 19 novembre 1977
Bandiere egiziane sul King David
Due bandiere egiziane sventolano da stasera sul King David, l’albergo che domani ospiterà Anuar Sadat, il primo capo di Stato arabo a mettere piede sul suolo della nazione ebraica. Al tramonto, dal fondo valle, nella vecchia Gerusalemme, migliaia di uomini e donne le osservavano in silenzio. Ebrei, musulmani, cristiani volevano controllare di persona. «Allora è vero, arriva sul serio». Un gruppo di giovani israeliani si è messo a ballare per la gioia e a loro si sono uniti i poliziotti, bloccando per qualche minuto il traffico caotico. Nella laica Tel Aviv e nella mercantile Haifa, come nella religiosa Gerusalemme, i sindaci hanno appeso fuori dai municipi grandi striscioni in cui si augura il benvenuto a Sadat in arabo e in israeliano. E l’entusiasmo cresce, cancella gli ultimi resti di incredulità, via via che radio e televisione precisano il programma della visita del Presidente egiziano.
Sadat, che in gioventù collaborò come nazionalista con i tedeschi, visiterà il sacrario dedicato agli ebrei morti nei campi di sterminio nazisti. Sadat, che sognava di sconfiggere l’esercito di Tel Aviv, deporrà una corona di fiori davanti al monumento del soldato ignoto. Sadat, l’antisionista, parlerà in arabo davanti al parlamento che ha come simbolo il candelabro di Sion. Sadat, all’ombra della bandiera israeliana, pregherà nella moschea di Al Aqsa, la stessa in cui ventisei anni fa fu ucciso re Abdaliah di Giordania, che come lui aveva deciso di porre fine al conflitto con Israele.
Con una visita spettacolare possono crollare in poche ore trent’anni di odio, senza che nessun problema politico e territoriale sia stato risolto? Con un’iniziativa audace un leader arabo può superare decenni di rifiuti?
I giornali di Gerusalemme e di Tel Aviv se lo chiedono, ma per ora rendono omaggio al «coraggio» di Sadat ed esaltano «il solo leader arabo che sia stato capace di cogliere di sorpresa Israele». La prima volta fu il 6 ottobre ’73, quando lanciò le sue truppe nella guerra del Kippur. La seconda alcuni giorni or sono quando ha annunciato che si sarebbe recato a Gerusalemme, proprio mentre l’Islam ha lo sguardo rivolto verso la Mecca, dove re Khaled d’Arabia assisterà al pellegrinaggio annuale. È una trappola, hanno pensato in un primo tempo a Tel Aviv. Adesso si dice: è una sfida.
Chi arriva in Israele in queste ore, dopo aver seguito la vicenda arabo-israeliana per parecchi lustri, stenta a credere ai propri occhi. La televisione trasmette e ritrasmette con dovizia l’arrivo a Tel Aviv del primo aereo egiziano di linea. Si è posato stamattina, e appena lo sportello si è spalancato una folla di 400 persone, funzionari e impiegati dell’aeroporto, si è precipitata verso la scaletta trattenuta a stento dalla polizia. Tutti volevano toccare i primi rappresentanti ufficiali di Sadat, diplomatici e poliziotti, venuti a studiare il protocollo della visita che si inizia domani. Niente abbracci, ma vigorose strette di mano ed emozionati «benvenuti in Israele». Il capo del cerimoniale egiziano, Saad Nasser, è diventato uno dei personaggi più popolari del paese.
Quelle immagini, trasmesse e ritrasmesse, si alternano a quelle di una cameriera ebrea dell’hotel «King David» che piange e si dichiara felice di poter servire nei prossimi giorni il presidente Sadat. Subito dopo compaiono sul video gli studenti che hanno chiesto e ottenuto in tutte le aule dei televisori, per seguire passo per passo gli spostamenti del capo dello Stato egiziano. E i redattori del giornale. «Maariv» hanno compilato un titolo in arabo e in ebraico: «Benvenuto Sadat».
Stasera decine di giornalisti provenienti dai paesi arabi, in gran parte dall’Egitto, cenano nella vecchia Gerusalemme fra il rullio dei tamburi delle comunità musulmane e cristiane. Abbracci e lacrime.
Nessuno parla di politica, osa inoltrarsi in analisi, predire il futuro, neppure quello immediato. «Lunedì sera, dopo la partenza di Sadat, si vedrà quel che è rimasto della sua spettacolare iniziativa».