Dieci anni di Repubblica, 17 novembre 1977
Gli assassini nell’androne
Questa volta i terroristi hanno alzato il tiro, hanno colpito per uccidere. Dalle 14 di oggi, Carlo Casalegno, 61 anni, da nove vice direttore del quotidiano La Stampa lotta contro la morte in un lettino dell’ospedale Le Molinette. Venti minuti prima, un commando di brigatisti rossi gli ha sparato alla testa, rivendicando subito dopo con una telefonata all’Ansa la paternità dell’attentato.
Sono passati esattamente otto giorni dall’attentato contro il dirigente Fiat, Piero Osella (1), e già Torino è chiamata a misurarsi nuovamente con il terrorismo. Un terrorismo che non sembra dar tregua a questa città, che continua a tessere gelidamente la sua sanguinosa tela, calibrando i colpi e andando quasi sempre a segno. Ieri alle gambe di politici, giornalisti dirigenti industriali: oggi al volto di un personaggio di primo piano del giornalismo.
Le sequenze dell’avventura terroristica, che vede a Torino lo scenario preferito, si susseguono con frequenza sempre più impressionante: una cadenza quasi settimanale. Gli attentati si ripetono, imprevedibili.
Alcuni si assomigliano nella dinamica: questa di Casalegno richiama alla memoria l’esecuzione del presidente dell’Ordine degli avvocati di Torino, Fulvio Croce (2). Quest’ultimo morì all’istante, Casalegno resiste, ma le sue condizioni sono gravissime. All’ospedale, i medici gli hanno riscontrato una tachicardia che rende estremamente difficile ogni intervento: per fortuna non sembra che l’operazione chirurgica sia indispensabile, non avendo i proiettili provocato l’irreparabile.
La cronaca. Carlo Casalegno esce di casa, in corso Re Umberto 54, nella tarda mattinata: deve andare dal dentista. Poi si reca, come ogni giorno, alla riunione dei capiservizio del suo giornale a conclusione della quale il direttore Arrigo Levi gli chiede se ha bisogno di essere scortato (il nome di Casalegno è stato trovato nello schedario di un covo di brigatisti e da quel giorno viene quasi costantemente scortato). Il vice direttore della Stampa rientra invece a casa da solo, a bordo della sua 125.
Parcheggia l’auto sul controviale di corso Re Umberto, nel centro di Torino, e si avvia lentamente verso l’ingresso del palazzo umbertino dove l’attendono i killers. Racconta Marianna Brun, 26 anni, custode del palazzo: «Verso le 13.45 ero in cucina, quando ho sentito rumori nell’androne; ho pensato fossero i bambini di ritorno dalla scuola. Poi ho sentito tre spari, seguiti da un quarto. Sono uscita e ho visto il professore per terra, il volto sfigurato».
«Nella caduta – prosegue il racconto – forse ha tentato di reggersi a un trespolo in ferro battuto che regge l’insegna di una compagnia immobiliare i cui uffici sono al primo piano, ma gli è rovinato addosso. L’ho chiamato, mi ha guardato senza rispondermi». La Brun chiede aiuto, poi corre al terzo piano ad avvertire la signora Dedy, moglie di Casalegno, che si precipita in cortile con la cameriera. Lo spettacolo è terrificante. Dedy Casalegno si getta sul marito e lo chiama con voce rotta dai singhiozzi. Passano dieci terribili minuti e arriva l’ambulanza che porta il ferito alle Molinette.
La dinamica dell’attentato questa volta affiora confusa dalle testimonianze. La custode dello stabile dice d’aver visto soltanto un uomo in pantaloni scuri, allontanarsi e una 500 grigia partire di gran carriera. «Due gambe, che non dicono nulla». Carmela Costa, 29 anni, impiegata in una compagnia investigativa che ha sede al primo piano del palazzo, ha sentito gli spari, ma non ha fatto in tempo a vedere i terroristi.
Questi però si fanno vivi subito dopo. La consueta telefonata agli uffici torinesi dell’Ansa arriva puntuale alle 14. Una voce giovanile, forse un ragazzo, senza alcuna inflessione dialettale, dice: «Qui le Brigate Rosse, abbiamo giustiziato Carlo Casalegno, servo dello Stato». Un crack del telefono e il redattore dell’Ansa chiede che sia ripetuta l’ultima parte del breve messaggio, ma la risposta è secca: «Ha capito benissimo». Poi la comunicazione viene interrotta.
Sul commando si sa poco; è certo che questa volta non hanno sparato per ferire, ma per uccidere. A sparare pare siano stati in due. I proiettili sono d’una 38 special e di una automatica 7,65; è stato usato anche il silenziatore. Forse un terzo complice ha aspettato in macchina i due incaricati dell’esecuzione. Si parla di un’Alfetta vista allontanarsi a forte velocità. Ma sono ipotesi, le indagini finora non sono approdate a nulla di concreto.
Carlo Casalegno viene portato all’ospedale e sottoposto ai primi esami. Quattro proiettili lo hanno raggiunto alla mascella (due), alla gola, alla tempia; uno soltanto è fuoriuscito. All’ospedale il professore Aldo Fasano ed altri primari scoprono che il ferito presenta una tachicardia che rende difficile un eventuale intervento e propongono l’applicazione di un monitor al cuore.
Nel giro di pochi minuti all’ospedale piombano decine di persone: il direttori della Stampa, Arrigo Levi, il direttori di Stampa sera, Ennio Caretto, il direttore di Tuttolibri, Lorenzo Mondo; l’amministratone delegato della Stampa, avvocato Cuttica, i dirigenti della Fiat Cesare Romiti e Luca Montezemolo; il sindaco di Torino, Novelli, il presidente della Provincia, Salvetti, esponenti del Pci, della Dc, del Psi; giornalisti torinesi e amici di Casalegno; nel pomeriggio anche Maurizio Puddu, ferito quest’estate alle gambe dalle Brigate Rosse, si reca alle Molinette a trovare Casalegno.
La signora Dedy è sconvolta, distrutta dalla disperazione. L’accompagna il figlio Andrea. Entrambi rispondono con mezze frasi ai cronisti, sono frastornati e atterriti. Dal lettino del pronto soccorso Casalegno li guarda, ma non riesce ad articolare neppure un monosillabo. Respira a fatica, ma senza l’aiuto della macchina. I medici dicono che forse ce la farà, ma è chiaro che la prognosi è riservata. Si aspetta fino alle 1.30 poi il ferito viene portato in rianimazione.
In serata si ripete il rituale di sempre. Piovono i comunicati, la solidarietà, i giudizi di condanna. Torino sembra avere esaurito le parole adeguate a questi tipi di delitti. I sindacati si riuniscono e proclamano un’ora di sciopero generale per domani con assemblea in tutte le fabbriche. I partiti si trovano poco dopo le 18 per organizzare l’ennesima manifestazione di solidarietà e di protesta.
Note: (1) Piero Osella, dirigente della Mirafiori. Le Brigate Rosse gli avevano sparato alle gambe il 10 novembre. (2) Fulvio Croce era stato assassinato dalle Br il 28 aprile, pochi giorni prima che cominciasse il processo a Renato Curcio e agli altri capi brigatisti.