Dieci anni di Repubblica, 25 settembre 1977
La brutta figura degli intellettuali
Il sole entra dal lucernario aperto del cinema Odeon a illuminare gli intervenuti al dibattito su «Intellettuali, dissenso e potere». Colpisce, come in ogni altra sede, la sete di parole dei giovani presenti. «Non siamo venuti a Bologna per passeggiare», urlano quelli che non riescono ad entrare. «In piazza, in piazza», scandiscono quelli che, nel corridoio, non riescono a sentire.
Il desiderio di essere presenti al dibattito, di ascoltare, è pari solo alla diffidenza, al terrore di essere fatti fessi da chi la sa più lunga. Così al momenti di teso silenzio per bere le parole di chi parla si susseguono momenti di urla scomposte, ironici applausi, battute.
In piedi su un tavolo, Gianni Scalia del «Cerchio di gesso» (1), parla del dissenso come di un sintomo di una più vasta critica da fare. Parla della contraddizione che oggi esiste tra classe operaia e proletariato. Lo ascoltano attenti. Man mano che la sua analisi si approfondisce, che più frequente si fa l’uso di termini colti, si leva il brusio. L’assemblea ha capito quel che voleva sapere. Ora basta. «Gli intellettuali del dissenso...» dice Scalia. «Il vostro dissenso è merce!» si urla dalla galleria. «Dall’Illuminismo in poi...» dice Scalia. «Questa è una lezione», urla una voce che trova ampi consensi. Giuseppe Di Salvo, del Fuori di Palermo, crede di tener buona la platea con grande uso del termine «cazzo». Ma anche il suo discorso, per quanto elementare, necessita di un riferimento, polemico, a Freud. L’uditorio si scatena in un applauso che dice più di mille fischi la totale riprovazione.
L’assemblea si sente astuta, crede di difendersi dalle reti che tendono gli intellettuali. E cade negli inganni più grossi. Quando il demagogismo urla parole quotidiane, l’assemblea non reagisce. Così Macciocchi, che viene rumorosamente irrisa per un incauto «Ubi sunt leones?», la passa liscia con la storia che l’unico modo, per l’intellettuale, di sporcarsi le mani, e di stringere le mani sporche degli onesti lavoratori.
Guattari è ascoltato con cortesia e disinteresse. Molti nemmeno riconoscono, in quel signore tracagnotto che parla, l’intellettuale francese di cui i giornali hanno pubblicato vecchie fotografie. Con maggiore interesse è seguito Daniel Guillerme, che ha più dimestichezza con il linguaggio politico. Interessa perché spiega con disinvolte semplificazioni le differenze esistenti tra i nuovi filosofi e i firmatari dell’appello per Bologna. Perché dice quanto abbia da imparare la Francia dalla sinistra italiana. E racconta che i padroni non riescono a impiantare centrali nucleari in Bretagna perché ogni volta che ci provano i contadini brettoni si mobilitano e tirano fuori i fucili.
I brettoni coi fucili piacciono moltissimo. Forse questi ragazzi tanto politicizzati non hanno avuto chi gli raccontasse le fiabe, quand’erano bambini. Una carenza grave, se si aggiunge alle carenze della scuola e della cultura nei loro confronti. Soprattutto se si vede questo bisogno spasmodico che hanno, di ascoltare.
Note: (1) Il «Cerchio di gesso» era una rivista culturale fondata da Gianni Scalia a Boloana. Uscì per soli quattro numeri.