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 1977  settembre 14 Mercoledì calendario

«Berlinguer è un destrista»

Abbiamo intervistato a Bruxelles Felix Guattari, mentre stava per ripartire per Trieste dove partecipa ai lavori del convegno della «nuova psichiatria». Guattari, che è uno degli esponenti più in vista della cultura francese ed europea di estrema sinistra, è anche uno dei firmatari del manifesto contro la repressione in Italia e parteciperà in posizione preminente al convegno che su questo tema si terrà a Bologna dal 23 al 25 settembre. Tre giorni fa ha indirizzato al sindaco di Bologna, Zangheri, una lettera aperta nella quale appoggiava le richieste del movimento degli autonomi e addossava al Pci di Bologna le responsabilità di eventuali incidenti che dovessero verificarsi nel corso del convegno.
Le tesi che Guattari espone in quest’ampia intervista sono molto chiare e molto discutibili. Riservandoci di tornarvi in sede di commento, offriamo intanto ai lettori questo contributo che riteniamo importante per conoscere e giudicare idee e fatti che costituiscono ormai una parte rilevante della lotta politica e del confronto culturale, in Italia e in Europa e che potrebbero dare luogo ad imprevedibili sviluppi...
Perché un convegno contro la repressione in Italia mentre, ad esempio, in Francia un giovane nordafricano è stato ghigliottinato qualche giorno fa e gli avvocati tedeschi impegnati in processi politici denunciano le condizioni disumane delle carceri del loro paese?
«L’incontro ha preso lo spunto dalla repressione. È uno spunto serio, è una cosa grave, ma quello che è molto più importante per noi è studiare le nuove forme di lotta, le nuove forme di creazione e d’intervento delle masse emerse in Italia. Penso a delle forme così originali come gli interventi qualitativi sul lavoro, le autoriduzioni, le autonomie operaie, un certo tipo di rapporto fra il militantismo nelle fabbriche e il lavoro politico generale. Se c’era da fare solo un incontro sulla repressione avremmo avuto degli esempi in Francia e in Germania almeno comparabili, se non più gravi. Ma noi ci poniamo in un contesto positivo di costruzione e non solo negativo, di protesta. È anche vero però che per gli intellettuali francesi l’aspetto della repressione è importante perché in fondo è questa una delle cose che si possono domandare a degli intellettuali. Per esempio, noi chiederemo di visitare i carcerati che sono a Bologna. Noi domanderemo al giudice Catalanotti di poter parlare con i detenuti delle loro condizioni di detenzione. Insomma noi andiamo a Bologna per informarci, per prendere conoscenza diretta della «ricchezza» della situazione italiana».
Perché proprio Bologna? Si rende conto che l’opinione pubblica italiana tende a vedere in questa scelta delle intenzioni puramente e semplicemente anticomuniste?
«Molto sinceramente credo che vi sia molta malafede in chi fa un’affermazione di questo tipo. L’accusa di anticomunismo che ci viene rivolta è una vera e propria manipolazione dell’informazione. In ogni occasione ho ripetuto che non si tratta assolutamente di un’operazione di squadrismo anticomunista. Al contrario, quello che troviamo drammatico è il distacco fra le masse influenzate dal partito comunista e tutta questa gioventù, le correnti che non sono d’accordo con la politica del compromesso storico. Io penso ad un altro tipo di rapporto fra le masse comuniste e l’insieme di queste correnti emarginate, di estrema sinistra, per ricreare un clima completamente differente in Italia e penso in particolare che il problema della violenza, il problema del terrorismo, non si porrebbe assolutamente più nello stesso contesto se ci fosse non dico una fusione e nemmeno un accordo, ma se si accettasse l’evidenza che non si farà niente di serio in Italia, nel senso della trasformazione della società, se queste diverse componenti che sono i comunisti, i socialisti, gli studenti, i disoccupati, i giovani lavoratori, i lavoratori del Sud, i movimenti femministi, non si collocano in una specie di arco. Non l’arco costituzionale, ma un arco popolare, un arco rivoluzionario. Perciò io credo che il partito comunista italiano per numerose ragioni ha scelto male i suoi alleati. Ha preso i suoi alleati fra gente che non ha assolutamente l’intenzione di trasformare la società, compromessa nei peggiori scandali. Così il Pci sta allontanandosi dalle forze vive del paese. Dire queste cose non è anticomunismo. È vero, io faccio molte critiche al marxismo, come d’altra parte molti comunisti, ma resto fondamentalmente comunista. Ma c’è di peggio. La gente che ci fa queste accuse sa benissimo che Gilles Deleuze ed io abbiamo avuto una polemica assai dura con coloro che si è convenuto di chiamare i nuovi filosofi. Oggi, sistematicamente, nella stampa italiana mi si colloca fra i nuovi filosofi mentre io non sono filosofo e non sono soprattutto un nuovo filosofo. Io penso che i nuovi filosofi sono degli anticomunisti reazionari e fra di loro ci sono dei tipi che sono dei veri arrivisti, dei personaggi insopportabili e comunque gente con la quale non ho assolutamente nulla da spartire. E si continua a dire che io sono un nuovo filosofo e che l’incontro di Bologna è in un certo senso sotto il loro patrocinio. Io vedo in tutto questo dei procedimenti di anti-informazione completamente intollerabili». (1).
Un convegno come il vostro mobilita decine di migliaia di persone e coinvolge direttamente una città e una regione. Che cosa pretendono gli organizzatori della città di Bologna? Che cosa sono disposti a fare e quali garanzie ritengono di poter dare perché siano evitati ad ogni costo degli incidenti?
«Innanzitutto io non sono l’organizzatore dell’incontro di Bologna. Dunque non posso rispondere a nome di coloro che hanno pensato questa iniziativa. Ma credo che la stessa nozione di responsabilità e di organizzatore si debba porre in un contesto completamente differente. Non c’è stato uno stato maggiore né organismi centrali che pianificano gli incontri. Senza dubbio questi incontri saranno pluralisti. Andranno in diverse direzioni. Non c’è la prospettiva di elaborare un programma d’insieme. Detto questo, se non c’è organizzazione e pianificazione del contenuto degli incontri, ci sono dei problemi materiali che si pongono e che implicano un momento di coordinamento. Non spetta a me intervenire in questo campo, ma è evidente che se a Bologna non esistono o non vengono create le condizioni per accogliere queste migliaia o decine di migliaia di giovani, ci saranno delle difficoltà. Spero che i responsabili del comune di Bologna si siano posti questi problemi. Ho preferito dal canto mio esporli in anticipo, nella mia lettera al sindaco Zangheri, ma non sono io a poter dare le risposte né soprattutto posso negoziare con chicchessia su questi problemi. Penso che sia estremamente importante, quasi un test, sapere se una città come Bologna, della quale Zangheri ha detto che è una delle più democratiche del mondo, sia effettivamente in grado di accogliere delle decine di migliaia di persone. Si tratta di sapere come l’amministrazione comunale ritiene di poter concorrere a creare le migliori condizioni».
Come giudica le richieste avanzate dagli organizzatori e apparse all’opinione pubblica piuttosto strane? (2).
«Non si tratta di un congresso tradizionale ma di un incontro di massa. Ci saranno compagnie teatrali, gruppi musicali, forse dei giovani che organizzeranno manifestazioni di arti classiche ed altro ancora. È impossibile calcolare quante persone verranno, perché sarà la forza delle idee che si andrà a verificare. Non si può calcolare, non si può programmare la forza delle idee nelle masse. Ci si è ripetuto per mesi che le idee dei «gauchistes» italiani, degli autonomi di Radio Alice, erano completamente minoritarie. Benissimo, se ci sarà un pugno di emarginati non sarà difficile fargli tenere la loro riunione. Ma se effettivamente delle decine di migliaia di persone e soprattutto di giovani sono sensibili alla problematica di una ridefinizione politica completamente diversa da quella del compromesso storico, da quella della compromissione con la borghesia capitalista, allora si crea una situazione nuova e diventa legittimo che gli organizzatori tentino di prevedere le migliori condizioni, cioè degli spazi differenziati. Bisogna anche considerare che si tratta di giovani disoccupati, che non hanno soldi. Forse – si tratta di una ipotesi perché io non ne so niente – sarebbe preferibile che ci siano degli accordi con il Comune, con i commercianti, perché non si verifichino incidenti come i sistemi di autoriduzione selvaggia o cose di questo tipo. È forse questo il senso delle richieste che sono state fatte».
Può precisare con esattezza le accuse di destrismo che muovete al Pci?
«Posso farlo solo in maniera schematica. L’Italia è il paese capitalista, industrializzato, che subisce la crisi mondiale al suo livello più intenso. La crisi è internazionale e chiaramente sarà molto difficile trovare soluzioni solo nel quadro nazionale. Il Pci, da lunga data, ed è tutto a suo merito, ha sviluppato una politica autonoma contro lo pseudo internazionalismo del Comintern, del Cominform, diciamo del controllo di Mosca sul partito. Solo che c’è una difficoltà: oggi ci troviamo un comunismo nazionale ed una crisi mondiale che implicherebbe una vera concertazione internazionale. Il destrismo del Pci è determinato secondo me essenzialmente dal fatto che esso non ha i mezzi per la propria politica e al limite non ha più politica. Personalmente considero che c’è un’incoerenza completa nelle alleanze del Pci. Queste alleanze non portano niente alle masse. Si chiedono dei sacrifici in contropartita di niente. E non portano niente al partito comunista perché anche nella logica parlamentare non si vede dove vuole arrivare il Pci. Io non voglio fare l’apologia del Pcf, contro il quale avrei molte cose da dire, ma in apparenza esso tratta, sulla base di un programma, qualcosa con i socialisti in una prospettiva di potere. Qualcosa di completamente insufficiente ma che porta quanto meno un certo numero di vantaggi visibili alla classe operaia francese. Non vi è niente di equivalente in Italia nell’alleanza del Pci con i partiti dell’arco costituzionale. Le sole misure chiare dell’accordo riguardano la repressione e l’austerità. Allora penso che questa situazione sia in sè la definizione di una politica destrista, opportunista e, al limite, dell’assenza di ogni politica».
Il sindaco comunista di Bologna, Zangheri, ed il Pci si sono dichiarati disposti a discutere con voi. Secondo voi come e con quali modalità potrebbe avvenire questa discussione?
«Se si tratta di discutere di problemi precisi di repressione, io credo che tutto è aperto. Ma se si pensa invece che degli intellettuali francesi possano sostituirsi al movimento italiano, è completamente assurdo. Nell’invito di Zangheri c’era proprio questo rischio. Questo no, Zangheri può discutere con i militanti della sua città senza passare attraverso gli intellettuali francesi. Per Francesco Berardi e i detenuti di Radio Alice noi siamo pronti a discutere a condizione che gli interessati siano lì (3). L’incontro può farsi a Bologna o a Parigi. Ma per i problemi politici generali noi siamo solo una modestissima componente in questa ricerca internazionale di nuove soluzioni, di qualcosa che vada al di là di quello che è stato il movimento comunista. Bisogna andare molto più avanti nella mobilitazione delle masse popolari e cominciare fin da ora a costruire un nuovo metodo di lotta, un nuovo abbozzo di società e una nuova fiducia nelle masse popolari».
Ammesso che a Bologna tutto si svolga pacificamente, a quali condizioni gli organizzatori si direbbero soddisfatti?
«A titolo personale posso dire che sarei molto soddisfatto di questo incontro se si ottenesse la liberazione dei detenuti, soprattutto di quelli che sono stati incarcerati per ragioni strettamente politiche, e se si arrivasse ad un chiarimento sull’insieme dei detenuti politici italiani, di quelli di sinistra in particolare, perché di quelli di destra io non mi preoccupo. Ma anche dei non politici, perché noi non ci fidiamo a priori delle classificazioni di Cossiga. Bisognerebbe arrivare a una qualche forma di amnistia generale. Questa sarebbe una misura fondamentale. In ogni caso, che il partito comunista chieda una amnistia generale. Già questo chiarirebbe la situazione. In secondo luogo, auspico un nuovo clima, una nuova sensibilità. Invece di trattare i «gauchistes» italiani come una categoria al di fuori della politica, dovrebbe esserci una specie di continuità tra le forze di sinistra in Italia e dovrebbero formarsi delle alleanze naturali. Non delle alleanze su accordi programmatici, ma un minimo di solidarietà militante, un minimo di fiducia che potrebbe evitare soluzioni disperate, terroristiche, che io non approvo perché non corrispondono alla situazione attuale dell’Italia. Invece di andare verso la divisione, bisognerebbe andare verso il riavvicinamento delle forze rivoluzionarie in Italia».

Note: (1) Con l’espressione «nuovi filosofi» si indicava un gruppo di pensatori francesi molto in voga in quel momento (tra questi: J. M. Benoist, A. Glucksmann, B.H. Lévy) fortemente polemici contro il marxismo e ogni «ideologia di massa». (2) Delle numerose richieste avanzate dagli organizzatori del convegno, quelle più controverse riguardavano la disponibilità dei parchi di Bologna per dormire, il prezzo politico per i generi di prima necessità e per le trattorie, l’apertura di tutte le mense cittadine e dei self-service convenzionati. (3) Franco Berardi, meglio conosciuto col nome di Bifo, uno dei leader dell’Autonomia, collaboratore della rivista A / traverso e dell’emittente bolognese Radio Alice. La sua attività di pubblicista gli aveva procurato una denuncia per istigazione a delinquere e l’arresto. Nel momento dell’intervista a Guattari Bifo si trovava latitante a Parigi.