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 1956  luglio 26 Giovedì calendario

Chi metterà i soldi per la diga d’Assuan?

In questi ultimi tempi – intendo dire: in queste  ultime settimane – sembrava che l’Egitto di Nasser si  fosse un poco calmato. La  stampa e la Radio avevano  avuto istruzioni di mettere in sordina i temi aggressivi. Lo stesso Abd Nasser, in una lettera a una bambina ebrea di Nuova York, Debora  Rabinovitz, fece una  dichiarazione chiaramente distensiva. Questa bambina ha otto anni e mezzo e aveva  mandato a Nasser due dollari per i bambini arabi  profughi in Egitto e una breve  letterina: «Vi prego, non fate la guerra a Israele:  sarebbero colpiti i bambini». Nasser le rispose: «Vorrei che mi credessi: l’Egitto non ha intenzioni aggressive  contro chicchessia. La nostra è una missione di pace e di partecipazione a qualsiasi sforzo diretto al bene  dell’umanità e alla pace di tutto il mondo. Gamal Abden – en Nasscr, Primo ministro  d’Egitto». Anche noi vorremmo crederci, commenta Ze’ev  Laqueur, ma non abbiamo più otto anni e mezzo.
Altri gesti fece il Governo di Nasser, evidentemente  allo scopo di ingraziarsi  l’opinione pubblica americana e di persuadere il  Dipartimento di Stato ad aver fiducia nell’Egitto. Fece fare un  secondo giudizio contro una cinquantina di comunisti.  Fece sconfessare dalla stampa il Muftì di Gerusalemme, Haj Amin el-Hussein: «Una  reliquia del passato, per cui,  nelle attuali condizioni, non c’è più posto». Fece riprendere in esame l’opportunità del boicottaggio contro alcune stelle del cinema  americano, che sono sioniste: Susan Hayward, Danny Kaye,  Marilyn Monroe, e altre. Tutte le dittature del  nostro secolo hanno avuto una ideologia: dal comunismo al fascismo. La «Junta» del Cairo non ha che il «  socialismo egiziano», che non si sa che cosa sia. Ma se non ha una ideologia, ha una  pratica: il neutralismo, cioè la politica di profittare del conflitto Est-Ovest per farsi  dare il massimo di aiuti  possibile dall’una parte e dall’altra.
Questa politica, o meglio questo metodo, ha funzionato ottimamente per molto  tempo. Gli Stati Uniti hanno  subito ricatti, uno dietro  l’altro. Foster Dulles prendeva consiglio dal segretario di Stato aggiunto per gli Affari del Vicino e Medio Oriente, George Allen, e  dall’ambasciatore al Cairo, Henry  Byroade. Una delle malattie  infantili della diplomazia è che i diplomatici diventino gli ambasciatori non del Paese che li manda, ma del Paese presso il quale sono  accreditati  e si mettano a  sostenerne le pretese e gli interessi con tale passione e con  tale accanimento, da far  dubitare persino della loro  integrità morale.
Allen era una volta  ambasciatore a Belgrado: e là sposò a fondo la causa di Tito, sostenne accanitamente le pretese della Jugoslavia su Trieste contro di noi, e fece quel capolavoro di  stupidità della politica  jugoslava del Dipartimento di  Stato, della quale ora si  vedono i frutti: l’America ci ha rimesso miliardi di dollari, e Tito è passato dall’altra parte. In riconoscimento  degli alti meriti, che s’era così acquistati, prima fu mandato come ambasciatore in India e, poi, fu nominato  assistente segretario di Stato. Byroadc era un  diplomatico della stessa scuola, e aveva persuaso Dulles che  bisognasse fare, e dare, tutto il possibile pur di evitare che Nasser passasse nel campo comunista. Peccato che non fosse ancora riuscito a far finanziare la diga di Assuan: a quest’ora sarebbe per lo meno segretario di Stato. Perché nella diplomazia  americana, come del resto  anche in qualche diplomazia europea, gli ambasciatori più sbagliano e più fanno  carriera. Foster Dulles, dunque,  accettò completamente le idee e i consigli di questi due  collaboratori, e sostenne, contro la sua amministrazione, che si dovesse dare o regalare a Nasser tutto quello che egli chiedesse o soltanto  desiderasse. E cosi venne fuori il progetto del finanziamento dei lavori della diga di  Assuan.
Questa politica urtava  contro grossi ostacoli. Il più grosso era costituito dallo stesso Abd en-Nasser, il  quale non perdeva occasione per fare dichiarazioni  anti-americane e anti-occidentali e per minacciare morte e  sterminio a Israele. Strana  politica: domandar denaro, e, nello stesso tempo, cacciare le dita negli occhi a chi lo dovrebbe dare.  Probabilmente Nasser riteneva che si  dovesse fare così, appunto per avere il denaro. E forse non aveva torto. Solo nelle  ultime settimane – si potrebbe anzi dire negli ultimi giorni – come s’è detto al principio, Nasser aveva  cambiato musica: aveva fatto dalla Radio la campagna contro l’America e  l’Occidente e la propaganda per la costituzione dell’Impero  egiziano in Africa. Ma l’aggressività e  l’imperialismo di Nasser non sarebbero bastati a  dissuadere Foster Dulles, se non si fosse costituita in  America una potente coalizione contro l’Egitto: i  democratici del sud, che sono  sempre strenui difensori degli interessi cotonieri; i  rappresentanti della comunità ebraica delle grandi città, il cui peso, alla vigilia  delle elezioni, è molto  importante; e, infine, gli  elementi di destra ostili per  principio a che si diano aiuti a Paesi che si rifiutino di assumere un atteggiamento risolutamente  anticomunista.
La conclusione è stata che, la sera del 19, che i governi americano e inglese hanno comunicato al Cairo che  ritiravano la loro offerta di assistenza finanziaria per i lavori della diga. Nei sette mesi, da quando l’offerta fu fatta – diceva la nota  americana – la situazione è cambiata, e «gli sviluppi non sono stati favorevoli al successo del progetto». E la nota discuteva se l’Egitto  potesse concentrare le sue  risorse economiche in un  programma di costruzione di proporzioni così grandiose. Nè la nota americana né la nota inglese  accennavano a quello che era stato certamente il vero motivo della brusca mossa dei due governi; e cioè la politica, che Nasser aveva fatta per mesi e mesi, di  collaborazione con la Russia.
In sostanza, il  dipartimento di Stato e il Foreign  Office hanno ritenuto che Nasser, in occasione della visita di Scepilov al Cairo, avesse sondato la  possibilità di ottenere l’aiuto  sovietico per il progetto; che i suoi sondaggi avessero  avuto una fredda accoglienza; che la Russia, già  fortemente premuta dai bisogni  interni e dai bisogni della  industrializzazione nei paesi comunisti, non potesse  finanziare il progetto della  diga; che l’aiuto sovietico, spesso annunziato, mai  ufficialmente confermato, fosse un «bluff»; e che fosse venuto il momento di  «chiamare il bluff». Nasser ha subito  intimato: «Potete morire nel  vostro astio; non riuscirete mai a controllarci». È  stata una battuta provvisoria. La risposta vera e propria alla mossa americana la  darà, oggi, giovedì, nel  discorso che farà al Cairo.
Ma la risposta di Nasser conta poco. Quel che conta è la risposta della Russia. Quale sarà questa risposta? Sabato, nel corso d’un  ricevimento all’ambasciata  belga a Mosca, Scepilov ha  fatto dichiarazioni piuttosto vaghe; la diga non è una questione d’importanza  vitale; l’Egitto ha da  pensare all’industrializzazione; eccetera. Se ne è dedotto che I’U.R.S.S. non avesse  l’intenzione di finanziare la diga. Ma poi, sono venuti i  colloqui dell’ambasciatore  Kisselev con Nasser e la stampa egiziana ha annunziato che I’U.R.S.S. finanzierà. Bisognerà aspettare  qualche giorno.
Per ora, si può dire  questo. Il rifiuto americano è un avvenimento politico di enorme importanza:  probabilmente, segnerà una svolta nella politica del Medio Oriente. Ora, non c’è più niente che trattenga Nasser dal cercare di concludere un patto militare con l’Unione Sovietica. I Governi  americano e inglese devono aver considerato la possibilità di questo sviluppo, e devono aver deciso che valesse la pena di correre il rischio. La politica di  «appeasement» nei confronti del  dittatore egiziano ha fatto  fallimento, questo è ammesso da tutti. In compenso  Nasser ha aperto la porta del Medio Oriente all’U. R. S. S. Ora il solo modo di  neutralizzare la zona è di  lasciare che i Soviet finanzino l’opera. Se la  finanzieranno, e se continueranno ad armare l’Egitto, l’America non avrà innanzi a sè  altra via che quella di  rafforzare il patto di Bagdad, armare Israele e cercare di eliminare l’influenza  egiziana in Siria.