Corriere della Sera, 12 novembre 1955
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Nasser, le armi cecoslovacche e gli errori dell’Occidente
IL CAIRO – Quasi non passa giorno senza che Gamal Abd el-Nasser non conceda un’intervista a qualche giornalista di passaggio. Nei suoi contatti con la stampa mondiale egli è divenuto instancahilc poiché, da quando è scoppiata la bomba delle forniture militari all’Egitto, gli aeroplani che vengono dall’Occidente trasportano forse più giornalisti che passeggeri comuni, è facile immaginare quanto tempo dedichi il Capo del Governo egiziano ai suoi incontri con gli uomini della stampa. È naturale che Gamal Abd el-Nasser, avendo assai buone ragioni da esporre, vi si dedichi col massimo zelo. Si direbbe che Nasser si compiaccia di mettere in evidenza il madornale errore degli occidentali, per quanto assai spesso dalle sue parole traspaia una sorta di irritazione che forse è anche amarezza, un risentimento che è anche intima pena. Non dobbiamo dimenticare che Gamal Abd el-Nasser è sempre stato ed è tuttora anticomunista, che la sua rivoluzione ha tuttora un chiaro carattere mediterraneo e che dopo l’accordo per Suez, i contatti del Capo del Governo egiziano con le potenze occidentali furono costantemente cordiali. Ma queste considerazioni hanno ormai una importanza relativa e ora dobbiamo chiederci innanzi tutto perché mai, proprio in questo momento, Nasser abbia sentito il bisogno di rafforzare il suo esercito.
La risposta è alquanto semplice: a torto o a ragione Nasser si sentiva minacciato e tale stato d’animo era la diretta conseguenza della situazione politica che si era determinata nel Medio Oriente negli ultimi diciotto mesi e che, sia detto incidentalmente, era assai vantaggiosa per gli occidentali.
Il patto di Bagdad fra Irak e Turchia, successivamente esteso alla Persia ed al Pakistan, questo patto che dopo dodici anni di ininterrotti insuccessi diplomatici, costituiva un grosso punto in favore del mondo occidentale, aveva tra l’altro scosso la giù traballante solidarietà mediorientale consacrata dalla Lega araba. In altri termini il patto di Bagdad, la cui enorme importanza è forse sfuggita alla opinione pubblica del nostro mondo, non solo aveva eretto contro la Russia, e proprio in un settore strategicamente vitale, una prima barriera di alleanze che andava dal Caracorum al Bosforo, ma aveva anche sorpreso, disorientato ed anche intimidito quei Paesi arabi, quali il Libano, la Siria, lo Yemen, l’Arabia Saudita e lo stesso Egitto, che sì erano per cosi dire trovati isolati al di qua del patto di Bagdad.
Gli uomini di Israele sarebbero stati davvero stolti se non avessero saputo percepire che la solidarietà araba era stata messa in crisi (proprio dal patto di Bagdad) e che la situazione appariva particolarmente favorevole per saggiare con qualche azione tattica la compattezza dello schieramento egiziano sui confini palestinesi. Avvennero così gli incidenti di Gasa e fu la durezza di quegli scontri a convincere Nasser della necessità di rinnovare l’armamento del suo esercito. Inoltre non si può escludere che a Nasser abbiano fatto premura quegli stessi ufficiali superiori che ai tempi di Faruk avevano dovuto subire l’iniziativa di Israele anche per mancanza di un adeguato armamento.
Nasser si dette dunque a cercare armi e a questo punto la cronaca assume aspetti semplicemente sbalorditivi. Sono successi dei fatti che si stenta ad accettare per veri e per avvenuti. Fermiamo per un attimo la nostra attenzione su questi fatti. Nasser in cerca di armi si rivolge istintivamente alle sorgenti naturali classiche e storiche per l’Egitto. Si rivolge all’Inghilterra, alla Francia e agli Stati Uniti.
Questi tre Paesi, per quanto firmatari dell’accordo tripartito che avrebbe dovuto garantire l’equilibrio delle forze nel Medio Oriente dopo la nascila di Israele, non oppongono a Nasser un netto rifiuto. Al contrario, accettano in linea di principio di fornire armi all’Egitto, però pongono delle condizioni assai strane. La Francia, tra l’altro, mette come condizione che l’Egitto cessi di appoggiare, specialmente attraverso la radio, gli insorti nord-africani; gli Stati Uniti propongono all’Egitto di sottoscrivere un patta di mutua difesa o qualche altro patto del genere in cambio dei cannoni: l’Inghilterra accoglie l’invito: però entro certi limiti ed infatti, dopo aver spedito qualche aeroplano, sospende gli invii. Ora come le tre Potenze occidentali abbiano potuto supporre che Nasser non avrebbe cercato le armi altrove non si riesce veramente a capire. Un Paese disposto a pagare può trovare difficoltà a ’rifornirsi di uova o di carne congelata, ma non è mai avvenuto da quando gli uomini vivano su questa terra che un Paese non sia riuscito a trovare un mercante di cunnoni. Per trovare altri fornitori Nasser non ha dovuto compiere alcuno sforzo particolare: si è rivolto all’Oriente e l’Oriente gli ha dato le armi senza condizioni e senza la necessità di pagare in valuta pregiata. In tal modo i l’Egitto non solo ha trovato le armi, ma si é anche liberato di quelle ingenti partite di cotone che i mercati tradizionali non avevano potuto assorbire e che in parte determinavano la sua attuale crisi economica. Fra Ir innumerevoli dichiarazioni che Nasser ha fatto in questi giorni ve n’è una che definirei sensazionale e che tuttavia potrebbe essere sfuggita al grande pubblico. Dieci giorni or sono Nasser ha detto al corrispondente del settimanale americano Time: «Non sono i Paesi dell’Est che ci hanno proposto delle armi, siamo noi che abbiamo deciso di comperarìe da loro». È dunque chiaro che gli uomini di oltre cortina non erano ancora urri-arrivati al punto di poter sperare di inserirsi nel sistema politico del Medio Oriente per mezzo di una fornitura di armi. Erano lustri, erano per lo meno dodici anni che l’Oriente tentava di aprire una sia pur piccolissima breccia nel mondo arabo senza riuscirvi. Erano per lo meno venti anni ’che la Russia. entro i cui contini vivono i venti milioni di musulmani, cercava la via del cuore del mondo islamico senza riuscirvi. Erano perfino falliti tutti i suoi tentativi con la Persia, che le è confinante. Poi, improvvisamente, quando gli slessi orientali meno se lo aspettavano, una grande porta e non già una piccola breccia si è aperta innanzi ai loro occhi: e la grande porta dell’Egitto, che un nostro errore ha spalancata ed attraverso la quale già hanno cominciato a passare non solo le armi, ma anche gli uomini e moltissimi uomini e con gli uomini le loro idee e moltissime idee.
Le missioni commerciali dall’Oriente stanno arrirando una sull’altra. Ieri con un solenne cocktail party all’Hotel Semiramis si congedata lu missione economica della Germania orientale, e la settimana prossima avremo la visita dei cecoslovacchi. E che qualcosa è profondamente cambiato per noi si avverte un po’ dovunque: è cambialo il volto dei clienti dei grandi alberghi e sui giornali si legge che l’America è cattiva mentre la Russia é buona, onesta, leale. Ma a parte i sintomi e le manifestazioni marginali che accompagnano la nuova situazione vi è una greve, una massiccia realtà che incombe. Il patto di Bagdad era importantissimo. Come ho detto, esso rappresentava la nostra prima linea difensiva, il nostro schieramento politico avanzato, la nostra grande muraglia diplomatica eretta contro l’Oriente. Bene, in parole povere, questa linea, questo schieramento, questa muraglia è stata letteralmente aggirata e presa alle spalle. Basta osservare una carta geografica e la riuscita della manovra aggirante appare in tutta la sua chiarezza. Ci troviamo già di fronte alle conseguenze secondarie del nostro insuccesso. Infatti, i popoli arabi, che erano rimasti per cosi dire isolati al di qua della linea che correva dal Caracoruni al Bosforo (putto di Bagdad) e che nella morente Lega araba non avevano potuto trovare l’elemento catalizzatore, si vanno riaccostando: l’altro ieri è stato firmato il patio siro-egiziano ed in un futuro non lontano sarà firmato il patto siro – saudiano e poi quello saudo-yemenita. Mosca osserva con particolare compiacimento la costituzione di questi patti bilaterali a catena e certo si tiene pronta a condurre a termine quella operazione che strategicamente si chiama sfruttamento del successo. A questo punto non è possibile sottrarsi ad una grare domanda: come é potuto avvenire tutto questo? L’episodio della fornitura di armi, nonostante le sue conseguenze, deve essere consideralo conte marginale, secondario, incidentale. È un episodio che si é risolto malamente, ma che avrebbe anche potuto concludersi in altro modo. Lasciamolo pure da parte, invece non possiamo trascurare, perché è molto pericolosa, la situazione obiettiva, la situazione vorrei dire storica dalla quale continuano a scaturire gli errori politici che ci compromettono nel Medio Oriente.
Gli è che non sappiamo più parlare il giusto linguaggio. I contatti fra i popoli arabi e l’Occidente sono ormai monopolio di tre sole grandi Potenze: Stati Uniti. Inghilterra e Francia. Sono loro, sono queste tre grandi Potenze, che monopolizzano le relazioni coi popoli arabi, le quali non sanno parlare il giusto linguaggio. Mentre l’Inghilterra tenta di tenersi il più possibile lontana dalle responsabilità collegiali dell’Occidente e forse non si addolora di vedere sbagliare gli americani, la Francia non ha più titolo per erigersi a mediatrice e gli Stati Uniti sono soli. Soli con la loro sconfinata ingenuità e la loro costituzionale inettitudine ad affrontare un problema in termini morali extra-americani. L’Italia non conta più e ora ditemi voi chi rimane, di là dal Mediterraneo, capace di parlare col mondo arabo, gli occhi negli occhi.