Corriere della Sera, 25 febbraio 1954
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La caduta di Neguib, l’ascesa di Nasser
25 febbraio
Di questi tempi, molti sono i Paesi che fanno la rivoluzione. Ma ognuno la fa a modo suo. Le rivoluzioni non si somigliano e, fra le tante, un posto assolutamente a parte ha la egiziana. Il 23 luglio del 1952, un gruppo di ufficiali insorse contro Faruk e il suo regime, e, tre giorni dopo, costrinse il re ad abdicare e a partire. L’operazione procedette facile e incruenta, fra gli applausi del popolo. A volte, i primi passi delle rivoluzioni sono i più facili. Il re se ne venne in Europa a giocare e a divertirsi, come aveva fatto sempre, e a scrivere le sue memorie. Al Cairo il nuovo Governo, presieduto dal vecchio statista Ali Maher, si mise al lavoro. Un compito immane lo attendeva: c’era tutto da fare. Un proletariato agricolo in condizione di miseria disperata; le classi elevate correttissime; e la lotta con l’Inghilterra, appena pochi mesi prima, era degenerata in violenze e in fatti quasi di guerra.
Neguib non perseguitò gli Inglesi né gli altri stranieri. Certo, non nascose che avrebbe fatto sue le rivendicazioni nazionali per le quali si era battuto il «Wafd», e che, del resto, costituivano il programma obbligato di qualsiasi Governo: Sudan e il Canale. Ma non pretese che gli Inglesi se ne andassero sui due piedi e non minacciò la guerra.
Egli era un militare, Inesperto di Governo e di amministrazione. I suoi compagni erano più giovani e più inesperti di lui, e, in molte cose, rivelarono la loro inesperienza. Credevano alla onnipotenza del Governo. Credevano che si potessero fare, in pochi giorni, cose per le quali occorrevano anni. Ma erano fondamentalmente onesti ed erano animati dalle migliori intenzioni. E Neguib, In materia politica, aveva buon senso per tutti.
Fu annunziato che si sarebbe fatta al più presto una riforma fondiaria. Era tempo. Ma, subito dopo, sembrò che si volesse rinviarla a chi sa quando: si disse che bisognava studiare il problema; si parlò del.pericolo della fretta. Quando diventò evidente che Ali Maher, col pretesto di studiare quel che si era fatto negli altri Paesi, cercava in realtà di non far niente nel suo, gli ufficiali trovarono che il solo insegnamento che si ricavasse dalle esperienze altrui fosse questo: che la peggiore di tutte le riforme è quella che resta sulla carta. Il 7 settembre 1953, Neguib dimise il Governo civile, presieduto da Ali Maher, e assunse la Presidenza del Consiglio dei ministri. La crisi coincise con l’arresto di una cinquantina di personaggi dei vecchi partiti.
il 9 settembre fu pubblicata la legge della riforma fondiaria. Le proprietà soggette a espropriazione erano quelle di estensione superiore al 200 «feddan» – pari a circa 80 ettari – (più 50 «feddan» per ogni figlio, fino a due figli); si sarebbe pagata.la terra a un prezzo pari a dieci volte il reddito; In cinque anni, si sarebbero espropriati da 600 a 700 mila «feddan > (da 240 a 280 mila ettari) e ne avrebbero beneficiato intorno a 150 mila famiglie. Era una riforma moderata. Ma era qualche cosa. Il guaio è che, poi, sono mancati i fondi per attuarla.
Ben presto, l’attività di Neguib e dei suoi collaboratori fu assorbita dalla controversia con l’Inghilterra. Per il Sudan, si arrivò, abbastanza rapidamente, a un accordo sulla base del principio che dovessero essere i Sudanesi a decidere della loro sorte. Le elezioni nel Sudan si fecero dieci mesi dopo, a novembre, e il risultato fu la vittoria clamorosa del partito dell’unità nazionale, che era una coalizione di partiti e di gruppi più o meno favorevoli a una forma di unione con l’Egitto. La stampa inglese considerò l’avvenimento come una disfatta per l’Inghilterra. «The World Today» rettificò: avevano influito elementi personali. Sia come si voglia, il Sudan è virtualmente perduto per l’Inghilterra. Churchill, una volta, schernì il Governo laborista: «Abadan, Sudan, Bevan: il trinomio delle nostre sventure». E proprio a lui è toccato liquidare il Sudan.
Per il Canale, si iniziarono le trattative, si sospesero, si ripresero, si sospesero di nuovo. Fino ad oggi, non si è raggiunto l’accordo; ma si è fatto parecchio cammino. E cosi, Neguib, in meno di due anni, senza violenze, era riuscito a ottenere dagli Inglesi molto di più di quanto il «Wafd» avesse ottenuto in decenni di clamori e di minacce. E, delle due questioni per cui il «Wafd» aveva portato l’Egitto quasi alla guerra con l’Inghilterra, l’una – il Sudan – l’aveva virtualmente risolta, l’altra – il Canale – si avviava a risolverla. A questo punto, è accaduto quello che nessuno – per lo meno all’estero – si aspettava: Neguib si è messo in conflitto con i suoi luogotenenti (o questi si sono messi in conflitto con lui) e si è dimesso. Nasser e i suoi compagni hanno fatto sapere al mondo che Neguib voleva diventare... dittatore, e che il colpo di Stato di due anni fa lo avevano fatto loro: loro avevano mandato via Faruk. Neguib lo avevano aggregato all’ultima ora perché, essendo essi troppo giovani, avevano bisogno di un ufficiale anziano. (Lo aveva detto già lo «Scotsman» del 13 agosto 1952). Peccato che abbiano aspettato due anni per proclamarlo alla radio. E, del resto, non è escluso che, fra qualche giorno, ci tocchi di risentire che Neguib fu del tutto estraneo alla rivoluzione. Ormai, l’uso vuole – e non solo in Russia – che, quando un personaggio importante cade, si «riscriva» la storia. Si dice che Faruk, l’altra notte, quando gli hanno dato la notizia della caduta di Neguib, abbia commentato: «Poveruomo! Speriamo che non gli facciano la pelle». E poi si sarebbe riaddormentato.