La Lettura, 4 giugno 2017
Sono un po’ Assiri questi americani. Intervista a Mario Liverani
La Mesopotamia arcaica e il mondo globalizzato di oggi hanno ben poco in comune: tremila anni di distanza non sono uno scherzo. Eppure, sostiene lo storico Mario Liverani nel libro Assiria (Laterza), lo spirito imperialista di allora e quello del nostro tempo presentano motivi analoghi, «a cominciare dall’idea di una missione universale, volta a portare l’intera umanità sotto il controllo di un unico centro propulsore».
L’Assiria aveva dunque ambizioni di dominio globale simili a quelle mostrate dagli Stati Uniti?
«Ai tempi degli Assiri il mondo conosciuto era molto circoscritto, comprendeva la valle del Tigri e dell’Eufrate, le montagne intorno e poco altro. Perciò il loro impero giunse più vicino di altri successivi, compreso quello romano, a realizzare il sogno di un regno “universale”, tanto che per breve tempo sottomise anche l’Egitto. All’epoca si poteva pensare di conquistare il mondo con l’espansione territoriale, usando le armi, mentre oggi, in un contesto caratterizzato da una pluralità di potenze (agli Usa si oppongono Russia e Cina), ci si affida agli strumenti del commercio e della finanza: solo così si può esercitare un’egemonia estesa sull’intero pianeta. Ma non per questo gli eserciti sono diventati irrilevanti, come dimostra il formidabile apparato militare di cui dispongono gli Stati Uniti».
Il sovrano assiro, come lei sottolinea, si dichiara investito del mandato divino di civilizzare le genti attigue.
«Si tratta di un elemento centrale dell’ideologia imperiale, che troviamo anche nelle esperienze successive fino a quelle odierne. La potenza espansionista giustifica la sua aggressività, dettata in sostanza dal perseguimento di interessi materiali, con il compito di portare a popoli arretrati beni che non posseggono: una forma di governo migliore, la vera fede religiosa, un tenore di vita più elevato, istituti giuridici più moderni».
Lei traccia un parallelo fra il progetto di «esportare la democrazia» del presidente americano George W. Bush e l’«esportazione del dispotismo» praticata dagli Assiri.
«Esportare la democrazia è un controsenso, anche a prescindere dal sottofondo commerciale di questa espressione infelice. La democrazia si basa sull’autodeterminazione, non può essere imposta dall’esterno. In questo gli Assiri erano ben più coerenti, perché invece esportavano un sistema di governo dispotico, fondato sull’idea di completare la creazione assoggettando tutti i popoli a una regalità che concepivano come unica, derivante da un’investitura divina».
Il disegno americano non intendeva però costringere altre nazioni ad adottare istituzioni democratiche. Presupponeva che, abbattuti i dittatori che le opprimevano, esse avrebbero scelto spontaneamente la libertà.
«Il guaio è che l’aspirazione universale alla democrazia di tipo occidentale è una costruzione ideologica. I popoli liberati, se li si fa decidere con il voto, possono benissimo scegliere altri modelli politici, anche di carattere dispotico. A noi sembra ovvio che la persona umana si realizzi nella libertà individuale, ma la realtà è diversa: miliardi di abitanti del nostro pianeta restano legati a una visione sacrale o assolutistica del potere».
Ma gli Assiri, pur rivendicando un mandato divino, non pretendono che le genti sottomesse rinneghino i loro dei. In questo sono piuttosto moderni.
«Siamo nell’ambito di una cultura politeista, per cui ai popoli conquistati vengono imposti solo obblighi religiosi cerimoniali, di natura essenzialmente politica. Gli Assiri, al contrario di quanto avverrà per gli imperi mossi dall’intento di convertire gli infedeli anche a forza, non impongono la loro religione, pretendono solo che si riconosca il loro Dio nazionale Assur come superiore a tutti gli altri. È un atteggiamento tollerante che verrà seguito anche dai Persiani, dai Macedoni e dai Romani, poi abbandonato con l’ascesa dei grandi culti monoteistici, quindi recuperato dal laicismo contemporaneo, soprattutto dall’impero britannico».
Lei definisce gli Assiri «impero prototipo». C’è dunque reale continuità tra quel regno antico e le potenze di oggi?
«Vedo una catena di trasmissione che va dagli Assiri ai Persiani, passa per Alessandro Magno, giunge a Roma e da qui si spinge fino alla modernità. In ogni passaggio ci sono forti cambiamenti perché le condizioni storiche mutano radicalmente: l’espansione non avviene più per terra, ma per via marina; nessuna potenza ha un monopolio, ma diversi Stati agiscono in competizione tra loro; diventa decisiva la superiorità tecnologica; sul piano economico si cercano nuovi mercati più che sudditi da tassare. Eppure certe costanti ideologiche si ritrovano a distanza di millenni. E non sono una semplice copertura, sono un fattore essenziale dell’espansione imperiale».
Tra l’altro l’Assiria importava verso il centro dell’impero genti aliene, come l’Occidente di oggi.
«Sì, nelle pratiche assire troviamo anche il germe di ciò che avverrà con l’impero britannico, propenso a utilizzare come truppe e manodopera individui delle nazioni conquistate».
Però ci sono anche grandi imperi, come la Cina, che non ebbero alcun contatto storico con l’Assiria.
«Qui constatiamo quella che si può chiamare somiglianza tipologica. L’idea che l’imperatore abbia ricevuto un mandato del cielo avvicina l’impero cinese a quello assiro, benché non ci sia stato interscambio culturale tra le due potenze».
Comunque lei distingue tra l’ideologia «imperialista» dell’Assiria e quella «imperiale» della Cina.
«Gli Assiri hanno un visione dinamica, volta alla costruzione dell’impero: sanno che esistono altre popolazioni intorno a loro e vogliono espandersi per portare ordine nella periferia dove, a loro avviso, regna il caos. In Cina mi pare prevalga invece un’ideologia di gestione dei possedimenti acquisiti: i dominatori si interessano poco al resto del mondo e si ritengono soddisfatti di governare la parte del pianeta che hanno a cuore».
L’attenzione al resto del mondo e la tendenza a denigrare coloro che rifiutano la loro egemonia sono altri elementi di analogia tra l’Assiria e gli Stati Uniti di oggi?
«Anche se questi paragoni presentano grossi limiti, senza dubbio l’ideologia imperiale americana ha un carattere dinamico. E non c’è dubbio che chi resiste viene colpevolizzato, basti pensare all’uso di formule come “impero del male” o “asse del male”. Bisogna aggiungere però che gli Stati Uniti, al contrario dell’Assiria, non si presentano apertamente come un impero. Pensi alla saga di Guerre stellari, chiaramente ispirata alla guerra fredda: i buoni sono una confederazione di popoli liberi e simboleggiano l’Occidente; dall’altra parte c’è un cupo impero militarista che richiama il blocco sovietico. Uno straordinario esempio di come si esercita il potere culturale».