13 dicembre 2015
VARI PEZZI SUGLI ACCORDI DI PARIGI SUL CLIMA 13 DICEMBRE 2015 21 dicembre Santevecchi Grandi felicitazioni collettive sono seguite all’accordo tra 195 Paesi riuniti a Parigi per la conferenza sul clima
VARI PEZZI SUGLI ACCORDI DI PARIGI SUL CLIMA 13 DICEMBRE 2015
21 dicembre Santevecchi
Grandi felicitazioni collettive sono seguite all’accordo tra 195 Paesi riuniti a Parigi per la conferenza sul clima. C’è la promessa (implicita) di raggiungere il picco delle emissioni di gas serra tra il 2020 e il 2030 per poi ridurle. Molto lodato l’atteggiamento di collaborazione della superpotenza cinese. Ma intanto Pechino e i suoi 23 milioni di abitanti sono avvolti da polveri fini e fumi industriali che creano l’effetto buio a mezzogiorno. Per la seconda volta in questo mese la capitale della Cina è in allarme rosso: migliaia di cantieri e fabbriche fermi, scuole chiuse, consiglio alla gente di stare il meno possibile all’aperto. Lezioni sospese per l’aria sporca anche a Teheran, dove dicono che l’inquinamento sia causato da automobilisti e motociclisti che hanno rimosso le marmitte catalitiche dai loro mezzi. In Italia ce la prendiamo con la mancanza di pioggia e scopriamo che la città più colpita dalle polveri sottili sarebbe Frosinone. A Parigi c’è stato un accordo per salvare il clima malato di surriscaldamento a partire dal 2020-2030. Ma l’airpocalypse è ora
V ogliamo salvare il pianeta dal global warming sostituendo i combustibili fossili con le energie rinnovabili, ma intanto la Cina in appena dieci anni ha costruito più centrali a carbone dell’intera capacità elettrica carbonifera degli Stati Uniti. E continuerà così fino al 2030. Altrettanto faranno l’India e altri. L’unico modo per incidere davvero sul clima, a oggi, è il nucleare. Investiamo pure in ricerca sulle rinnovabili, ma intanto puntiamo su ciò che è già disponibile: le centrali atomiche di nuova generazione, più sicure e meno costose. I timori sono comprensibili, servono regole, ma non dimentichiamo che i fumi delle centrali a carbone uccidono 13 mila persone l’anno nei soli Stati Uniti mentre la più grande catastrofe nucleare della storia, Chernobyl, ha fatto cinquanta morti. Sembra il ragionamento di un lobbista dell’industria nucleare, ma non lo è, anche perché quel settore è in disarmo: a parlare in questo modo è Peter Thiel, cofondatore di PayPal e primo investitore in Facebook, grande imprenditore
e ascoltato guru della Silicon Valley. L’editoriale che ha pubblicato sul New York Times durante la conferenza Onu sull’ambiente ha fatto molto discutere, anche perché a Parigi si sono sentiti grandi discorsi sulla futura rinuncia ai combustibili fossili (carbone, gas, petrolio) che «bruciano» l’atmosfera, ma alla fine, impegni politici di principio a parte, il risultato principale è stato il lancio di un programma di ricerca pubblico-privato per scoprire nuove tecnologie nelle rinnovabili senza le quali le promesse di Parigi resteranno sulla carta. La strada è lunga: oggi il 32% dell’energia prodotta al mondo viene dal carbone, il 20 dal gas, il 29 dal petrolio e il 5,7 dal nucleare. Le fonti rinnovabili valgono il 10,8. I Paesi avanzati si danno da fare per svilupparle, è vero, ma i giganti affamati di chilowatt, come Cina e India, continuano a puntare sul carbone. Perché trascurare le
PARIGI «Guardo la sala, vedo che la reazione è positiva, non sento obiezioni... L’accordo di Parigi per il clima è accettato», dice Laurent Fa bius poco prima delle 20, nell’ovazione dell’assemblea plenaria, battendo un colpo con lo stesso martello di legno con il quale aveva aperto i lavori 11 giorni fa. «È un piccolo martello ma può fare grandi cose», aggiunge sorridendo il presidente della Cop21 e ministro degli Esteri francese, che al mattino aveva presentato — visibilmente commosso — il testo da approvare. Si tratta di un accordo senza precedenti, che segna un grande successo diplomatico della Francia, il Paese che ha ospitato a Parigi la 21esima conferenza Onu sul clima nonostante gli attacchi terroristici di un mese fa, e che nell’ultimo anno ha intensificato gli sforzi affinché non si ripetesse il disastroso nulla di fatto di Copenaghen 2009. L’approvazione per consensus , senza votazione formale, si è svolta in un’atmosfera talmente entusiasta che Fabius non si è accorto del no del Nicaragua, che ad accordo ormai accetatto ha insistito perché venissero messe agli atti le sue perplessità.
Il patto entrerà in vigore a partire del 2020, e prevede che il riscaldamento climatico venga contenuto «ben al di sotto dei 2 gradi centigradi» rispetto all’era preindustriale, con sforzi perché «non superi la soglia di 1,5°». «È un accordo storico, niente sarà più come prima. I 195 Paesi imboccano la strada irreversibile di un’economia sostenibile, è una specie di piano industriale del Pianeta per i prossimi 85 anni — dice il ministro dell’Ambiente italiano Gian Luca Galletti —. L’Italia si è battuta come e più degli alleati europei perché venisse citato l’obiettivo di 1,5° e ci siamo riusciti. È il cuore dell’accordo, perché se rispetteremo quella soglia tutti i Paesi del mondo si salveranno». L’accordo — giuridicamente vincolante, ha sottolineato Fabius — prevede che nella seconda metà del secolo si arrivi al traguardo di «zero emissioni nette», cioè che i gas a effetto serra emessi siano non superiori a quelli assorbiti da foreste e oceani. Ogni cinque anni verrà controllata l’applicazione degli impegni presi, in modo differenziato tra i Paesi del Nord (responsabili della gran parte del riscaldamento climatico) e Paesi del Sud (che temono di frenare troppo il loro sviluppo). Le resistenze dell’India e degli altri Paesi emergenti sono state superate grazie anche a finanziamenti pari ad almeno 100 miliardi di dollari l’anno a partire dal 2020. Le organizzazioni ambientaliste riconoscono l’importanza di un’intesa che pone le basi del passaggio dalle energie fossili (carbone, gas, petrolio) a quelle pulite, ma ci sono comunque punti discutibili, riassunti dallo stesso Nicolas Hulot inviato speciale del presidente Hollande: il taglio delle emissioni sarà volontario, la prima revisione è prevista solo nel 2025, manca il riferimento a una carbon tax , e i termini del passaggio alle energie rinnovabili sono vaghi.
Stefano Montefiori 13 dicembre
Danilo Taino
Centonovantacinque nazioni che non sono mai d’accordo, che in alcuni casi si farebbero la guerra, hanno trovato un terreno comune sui cambiamenti climatici. Di fronte a un rischio che riguarda tutti, tutti si mobilitano. Come nei film in cui un meteorite rischia di distruggere la Terra. Esaltante. Ma il risultato è buono? La Conferenza di Parigi non poteva fallire: too-big-to-fail, i politici ci avevano investito troppo, a partire da Obama e Hollande. A occhi asciutti, però, i risultati preoccupano. In teoria, sono tre filoni: mantenere il riscaldamento globale ben sotto i due gradi centigradi; abbandonare in prospettiva l’energia da fonti fossili; verificare ogni cinque anni se gli impegni presi sono stati mantenuti e se bastano. Sul primo punto, già si sa che gli impegni comunicati da 186 Paesi non ci faranno restare nei due gradi, molti scienziati dicono che si arriverebbe a 2,7. Quindi, si passa al terzo punto: si vedrà dal 2020. Sul secondo — uscire dalla carbon economy — c’è invece un dubbio enorme. È possibile farlo con il barile di petrolio sotto i 50 dollari? Con il greggio
È possibile farlo con il barile di petrolio sotto i 50 dollari? Con il greggio ben sopra i cento dollari, era già difficile convincere chi deve investire a scegliere le fonti rinnovabili. Soprattutto nei Paesi poveri: per portare l’elettricità a 20 milioni di africani con energie pulite, ai prezzi del barile del 2014 servivano 13 miliardi di dollari; con lo stesso denaro, ma con energia generata dal gas, la si portava a 60 milioni di persone in più. C’è un’enorme questione di costi, la quale fa pensare che raggiungere gli obiettivi di Parigi non è scontato: e ce n’è una di benefici, cioè di moralità. In posit
Soprattutto nei Paesi poveri: per portare l’elettricità a 20 milioni di africani con energie pulite, ai prezzi del barile del 2014 servivano 13 miliardi di dollari; con lo stesso denaro, ma con energia generata dal gas, la si portava a 60 milioni di persone in più. C’è un’enorme questione di costi, la quale fa pensare che raggiungere gli obiettivi di Parigi non è scontato: e ce n’è una di benefici, cioè di moralità. In positivo, durante la Conferenza una serie di grandi città hanno preso impegni, soprattutto per il risparmio energetico, e una serie di filantropi, Bill Gates in testa, si sono impegnati a investire per sviluppare tecnologie pulite più efficienti e meno costose. Per il resto, costi stratosferici e parecchia propaganda
•••••••••••••
I l punto nodale del riscaldamento della Terra e del conseguente cambiamento climatico riguarda le emissioni di gas serra nell’atmosfera, soprattutto l’anidride carbonica. L’obiettivo da raggiungere per il 2030 è quello di conte nere a 40 miliardi di tonnella te le quantità generate dall’attività umana soprattutto da parte dei trasporti e della generazione di energia. Oggi ne produciamo 35,7 miliardi e se continuiamo con questo ritmo arriveremo nel 2030 a 55 miliardi di tonnellate. L’obiettivo è arduo e richiede misure rapide e incisive nelle tecnologie oltre che nelle leggi che le dovrebbero sostenerle e diffonderle. Il margine del contenimento che ci rimane di quattro miliardi in 15 anni costringe a una vera rivolu zione tecnologica e a uno sforzo significativo nella ricerca.
§§§§§§§§§§§§§§§§
U n altro obiettivo riguarda la protezione degli oceani. L’aumento della temperatura interessa gli strati più profondi dei mari oltre i mille metri di profondità, aumentando pure la loro acidità. Secondo l’Ipcc, l’agenzia ambientale dell’Unesco, gli oceani hanno immagazzinato il 93% del calore prodotto dal genere umano. Le acque più calde impediscono lo sviluppo del plancton e dei pesci antartici, i gasteropodi marini e i molluschi bivalvi non riescono a costruire i loro gusci di carbonato di calcio, i coralli si sbiancano dissolvendosi nell’acqua
§§§§§§§§§§§§§§§§§
L’ aumento della temperatura e l’innalzamento del livello dei mari impongono degli obiettivi di protezione stringenti. Per raggiungerli, i Paesi in via di sviluppo chiedono a quelli ricchi il finanziamento annuale di 100 miliardi di dollari. A Parigi si è stabilito che da parte di queste nazioni i tempi per arrivare a dei risultati possano essere più lunghi. Tra le opere di protezione da varare ci sono quelle sulle zone costiere, come la realizzazione di infrastrutture per ridurre ed evitare l’erosione delle coste e l’invasione delle acque nelle zone più critiche.
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
A ltro obiettivo è la gene razione di nuove tecno logie per realizzare impianti o sistemi che emettano minori quantità di gas serra. Il trasferimento tecnologico dovrebbe essere garantito dai Paesi più ricchi. «Per la prima volta si considera l’adattamen to al clima da parte delle po polazioni», nota Guido Vis conti dell’Università dell’Aqui la. «Per questo si pone l’obiet tivo di cambiare in alcuni territori le coltivazioni agricole con piante più resistenti al mutamento climatico», dice Antonio Navarra, presidente del Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§