Corriere della Sera, 21 novembre 1955
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Il Patto di Baghdad a difesa dell’Occidente e il fastidio di Mosca
Questa mattina nella sala del Trono del Palazzo delle Rose, che per i grandi tappeti di seta ed oro appesi alle pareti ricorda gli antichi splendori orientali, è stata inaugurata a Baghdad la conferenza dei Paesi partecipanti alla «Organizzazione per la difesa del Medio, Oriente». Vi partecipano i rappresentanti dei cinque Stati associati, e cioè Harold Macmillan, ministro degli Affari esteri britannico, Adnan Menderes, Primo ministro della Turchia, Xhaudri Mohammed Ali, Primo ministro del Pakistan, Nury Said, Primo ministro dell’Irak ed Hussein Ala, Primo ministro dell’Iran.
Per la conferenza dì Baghdad non è stato predisposto un vero e proprio ordine del giorno, il quale sarà invece redatto dopo la riunione odierna. Si sa tuttavia che durante la conferenza saranno tracciate le grandi direttrici strategiche della difesa del Medio Oriente. che saranno esaminati gli aspetti economici che tale difesa presenta in rapporto alla produzione petrolifera e che sarà nominato un Consiglio permanente, del quale faranno parte una commissione militare ed una commissione economica. Spetterà al Consiglio permanente la sollecita realizzazione dei piani strategici ed economici che questa conferenza stabilirà. Il patto di Baghdad entra con oggi nella fase pratica e non è certo privo di significato il fatto che gli Stati Uniti abbiano inviato a Baghdad degli osservatori di alto rango, quali l’ammiraglio John Cassedy, comandante in capo delle Forze navali dell’Atlantico orientale e del Mediterraneo, accompagnato dal generale di brigata Forrest Carraway. Quale osservatore politico è anche presente Galman, ambasciatore degli Stati Uniti nell’Iran.
La conferenza di Baghdad si presenta dunque sotto due diversi aspetti: un aspetto che chiameremo atlantico ed un aspetto che chiameremo mediorientale. Anche senza tenere conto che il sessanta per cento delle riserve petrolifere dell’Occidente si trova distribuito fra i Paesi legati dal patto di Baghdad (non è probabile che siano le riserve petrolifere a decidere le sorti di una eventuale guerra futura), il carattere atlantico della «Organizzazione per la difesa del Medio Oriente» è prevalentemente determinato dalla posizione geografica dei Paesi che la compongono: Turchia ed Iran hanno una lunga frontiera in comune con la Russia, anche il Pakistan confina con la Russia, sia pure solo col piccolo saliente del Karacorum, ed infine sono nell’Irak gli ultimi contrafforti montagnosi che difendono la vallata del Tigri.
Come abbiamo avuto occasione di notare, il patto di Baghdad può essere considerato la prima linea difensiva disposta dagli Occidentali sugli estremi limiti del Medio Oriente islamico e rappresenta una imprescindibile zona di resistenza. Senonchè in questi ultimi mesi si sono verificati alle spalle del patto di Baghdad, o per meglio esprimerci alle spalle dello schieramento difensivo che nel patto di Baghdad si concretizza, degli avvenimenti che hanno turbato tutto l’equilibrio del Medio Oriente e che pongono in serio pericolo le marginali conquiste politiche ed economiche realizzate dagli uomini dell’Occidente in un secolo di lavoro.
Volere o no, la fornitura di armi dei Paesi satelliti e della Russia all’Egitto ha creato un vuoto minaccioso fra noi ed i nostri alleati che il patto di Baghdad tiene schierati in prima linea. È stato scritto che Gamal Abdel Nasser, anticomunista dichiarato e convinto, non andrà mai oltre quella politica di equidistanza che i suoi frequenti contatti con Nehru, con Tito e con gli uomini asiatici convenuti alla conferenza di Bandung potrebbero avergli suggerito, però in alcuni casi, affinchè certe circostanze si realizzino, bisogna essere in due e non si deve escludere che la Russia faccia i più disperati tentativi per rendere anche la equidistanza il meno equidistante possibile. Sta di fatto che, a parte i rifornimenti militari, la Russia ed i satelliti continuano a darsi un gran daffare per allargare la cerchia delle loro relazioni nel Vicino Oriente. L’ambasciatore sovietico Solod ha avuto anche ieri un colloquio di due ore col vice-Presidente del Consiglio egiziano Gamal Salem per parlare di problemi economici, mentre sono sempre più frequenti i contatti diretti ed indiretti fra le personalità’ del mondo arabo e del mondo sovietico.
Qui al Cairo lo stesso ambasciatore Solod vede più frequentemente del solito l’ambasciatore saudiano Sheikh el Fadil mentre, dopo un lungo colloquio a Teheran fra il re Abdel Aziz ed il capo della missione russa, anche Voroscilov ha inviato un lungo messaggio a quel sovrano. Appare abbastanza chiaro che il blocco orientale continua a sforzarsi per allargare la breccia aperta nel settore arabico e per completare la sua manovra di aggiramento del patto di Baghdad contro il quale perfino la Literaturnaya Gazeta del giorno 19 si è violentemente scagliata.
Alcuni osservatori occidentali prevedono per le prossime settimane qualche avvenimento diplomatico molto significativo in merito alla nuova atmosfera creatasi fra i popoli arabi ed i popoli d’oltre cortina e non si può escludere a priori che qualcosa del genere stia covando; tuttavia si deve considerare con la massima attenzione l’ultima intervista concessa da Gamal Abdel Nasser al corrispondente di una agenzia italiana d’informazioni. In essa appare evidente che il Colpo del Governo egiziano non considera chiuse tutte le porte con la diplomazia occidentale, che il dialogo in merito alle forniture militari potrebbe essere ripreso e che gli impegni assunti dall’Egitto con la Cecoslovacchia sono forse meno gravi e meno profondi di quanto si supponeva. Naturalmente – ha detto Abdel Nasser – l’iniziativa dovrebbe essere degli Occidentali. Ma su questo punto è prudente essere scettici.
Per quanto ci risulta, negli ambienti occidentali del Cairo (mi riferisco agli ambienti veramente qualificati) non solo non è previsto alcun passo del genere, ma si fa strada la tendenza ad attribuire al ventilato patto mediterraneo uno strano e particolare carattere. A quanto sembra, e sempre secondo le fonti che abbiamo citato, questo patto mediterraneo, che ci interessa tanto da vicino, potrebbe assumere due diversi volti: con l’adesione dell’Egitto e della Libia annullerebbe i vantaggi acquisiti nei Paesi arabi dal blocco di oltre cortina e distruggerebbe tutto il lavoro diplomatico che Mosca ha compiuto in questi ultimi mesi; senza l’adesione dell’Egitto e della Libia assumerebbe una fisionomia nettamente antiaraba e chiuderebbe in una specie di morsa Egitto, Siria, Libano, Yemen, Arabia Saudita, cioè tutti quei Paesi che resterebbero per cosi dire bloccati fra il patto di Baghdad da una parte ed il patto mediterraneo dall’altra parte.
Se cosi stessero le cose, ci sembra che non si tenga nella dovuta considerazione il fatto che nel suo secondo volto, cioè con l’esclusione degli egiziani e dei libici, il patto mediterraneo resterebbe circoscritto tra Francia, Spagna ed Italia, tre Paesi che nulla hanno da guadagnare con atteggiamenti di aperta ostilità nei riguardi dei popoli arabi del bacino mediterraneo.