Corriere della Sera, 21 agosto 1953
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Come mai Mossadeq ha perso e lo Scià ha vinto
II piccolo uomo che voleva fare il Gandhi era già finito da un pezzo. In Occidente, dove le cose dell’Oriente muovono l’interesse della gente soltanto quando diventano clamorosamente drammatiche, si poteva continuare a credere che Mossadeq fosse un uomo ancora forte. Era ancora lo stesso piccolo uomo caparbio, ma non era più un uomo forte. La forza lui l’aveva conservata a lungo, più a lungo di quanto fosse possibile pensare conoscendo le condizioni a cui aveva ridotto la Persia; ma la rassegnazione alle sofferenze, l’abitudine alle privazioni, il fatalismo islamico dei persiani collaboravano a lasciarlo durare, a tenerlo su.
Inoltre, la sua durata aveva una ragione iconica. Lui aveva messo a capo della polizia e dell’esercito uomini suoi; la fortuna di quegli uomini era legata alla fortuna di Mossadeq. Perciò loro gli obbedivanio; e i gregari obbedivano passivamente ai capi. La polizia persiana è composta di gente mal pagata che per vivere deve sfruttare privatamente il. pezzo più o meno grande del proprio potere; la massima aspirazione di ciascuno di loro è quella di conservarsi il posto.
L’elemento dell’esercito che poteva dare disturbi a Mossadeq era la divisione della guardia, composta di soldati scelti e comandati da uomini fedelissimi allo Scià. Mossadeq aveva sciolto la divisione della guardia e disperso qua c là i suoi capi. Le giornate storiche della Persia sono fatte di poca gente, bene armata e decisa a tutto, su un piccolo tratto di strada davanti al palazzo del Magilis o Parlamento. Usualmente, basta l’intervento dei tre o quattrocento accoltellatori di mestiere, i cosiddetti ciaghukesc, a persuadere i deputali a tenere in piedi un Governo. Le Provincie della Persia sono assenti quando Teheran decide; le loro popolazioni, tutt’al più, sanno quello che è successo quando non c’è più tempo di intervenire e fare qualche cosa di diverso. La Persia è un Paese alto, aspro, sprovvisto di strade e di mezzi di comunicazione rapida, con popolazioni sparpagliate, ignoranti, indolenti e abbrutite dalla miseria e dall’oppio. Non c’è nessuna possibilità di un’azione collettiva nazionale; perciò, su quel breve tratto di strada di Teheran si decide quello che la Persia vuole o non vuole, farà o non farà.
Le mille famiglie possidenti della Persia, alle quali appartiene ancora la famiglia di Mossadeq, avevano incoraggiato e sostenuto Mossadeq a nazionalizzare il petrolio e a spossessare gli Inglesi. Loro pensavano che le entrate del petrolio nazionalizzato avrebbero fatto dimenticare l’urgenza della riforma agraria. Circa il quaranta per cento delle terre persiane appartiene alla Corona; il resto alle mille famiglie. Lo Scià, uomo.di idee moderne e di spirito veramente umanitario, voleva distribuire le terre della Corona ai contadini; fra innumerevoli difficoltà aveva già cominciato a farlo. La distribuzione delle terre della Corona avrebbe automaticamente trascinato con sè quella delle terre dei grandi possidenti, i quali non lo desideravano affatto. Se la Persia riusciva a guadagnare dal petrolio quello che ci guadagnavano gli Inglesi, la distribuzione delle terre ai contadini non sarebbe stata più urgente, l’avrebbero rimandata a chissà quando
Ma la nazionalizzazione del petrolio è stata un disastro, ha fatto la Persia anche più povera di quello che era; così le mille famiglie si sono messe contro Mossadeq. Il bazar, ossia la classe dei mercanti ha sempre avuto uiia grande importanza e ingerenza nella politica interna persiana. Il suo condottiero è l’ayatollah Kasciani, il capo religioso degli sciiti persiani, ossia di quasi tutti i Persiani, i quali appunto sono musulmani sciiti. È una classe conservatrice, antimodernista e bigotta. Essa sperava che i proventi del petrolio. rimanendo in Persia, avrebbero aumentato la ricchezza di tutti, e quindi la prosperità dei loro affari. Invece, il disastro del petrolio ha prodotto soltanto altra povertà; da due anni e più gli affari del bazar vanno malissimo. Infatti, nel febbraio scorso, l’ayatollah Kasciani, che ha la sua base politica nel bazar, si è messo apertamente contro Mossadeq.
Tutti quelli che in Persia hanno studiato non vogliono altro che essere impiegati dello Stato. Con una popolazione di forse undici milioni di abitanti, la Persia ha due milioni e mezzo di impiegati pubblici. Ora, essendo finite le entrate del petrolio, le casse dello Stato sono vuote; le tasse in Persia non le paga quasi nessuno. Perciò lo Stato paga i suoi impiegati opni due-tre mesi. C’è da credere che ben pochi amici siano rimasti a Mossadeq nella grande massa di intellettuali-impiegati dello Stato.
Mossadeq ora lavorava quasi unicamente a disfarsi dei suoi nemici. Il più grosso di tutti, quello più difficile da sbaragliare era lo Scià. Lui aveva a poco a poco sottratto allo Scià tutti i poteri, sgretolato tutte le sue difese; e ogni giorno lo faceva vilipendere nei suoi giornali. Ma se Mossadeq poteva governare opprimendo lo Scià, non poteva governare senza lo Scià. Se n’è accorto quando lo Scià è riuscito a sfuggirgli. La fuga era la carta dello Scià; Mossadeq non è riuscito a impedirgli di giocarla. Quelli delle tribù poco o niente capivano quello che Mossadeq faceva contro lo Scià; ma ora hanno capito che lo Scià era dovuto scappare, che non c’era più. E nelle anime semplici dei contadini e dei pastori della Persia lo Scià rappresenta l’antica grandezza persiana; il Trono del Pavone è il simbolo della grandezza passata e dell’unità della Persia
Le tribù ora difficilmente sarebbero rimaste calme. Sarebbe stata la guerra civile; la quale probabilmente avrebbe indotto ad intervenire indirettamente i vecchi patroni delle tribù, cioè gli Inglesi e i Russi.
Mossadeq aveva paura di questo. Nel passato, quando la storia della Persia era in un momento critico, intervenivano le tribù. Le tribù sono costituite da nomadi e seminomadi; obbediscono più ai loro capi che non al Governo di Teheran. La spinta e gli aiuti per l’azione le tribù li ricevevano solitamente dagli Inglesi o dai Russi. Durante questi ventisette mesi di dramma del petrolio nazionalizzato, ma rimasto invenduto, le tribù non si sono mosse. Gl’Inglesi avrebbero potuto incitare la grande tribù dei Bakhtiari, la quale occupa le terre dove sono i pozzi del petrolio che poi scorre, ossia scorreva, alle raffinerie di Abadan. L’imperatrice Soraya è figlia del capo della tribù dei Bakhtiari, che è una tribù di guerrieri a cavallo, celebri nella storia della Persia
Gli Inglesi hanno sempre provveduto di denari i notabili della tribù dei Bakhtiari; hanno educato i loro figli in Inghilterra. Ma far muovere i Bakhtiari poteva creare in Persia una situazione pericolosissima e piena di oscurità; i Russi avrebbero probabilmente mosso le tribù del nord, specialmente i Curdi, tribù di guerrieri bravi quanto i Bakhtiari, e le loro donne anche più degli uomini. Un’azione dei Bakhtiari contro il Governo di Teheran poteva condurre al movimento generale delle tribù, tra le quali esistono antichi odii e spiriti di vendetta; e forse ancora una volta i Russi o i loro amici si sarebbero stabiliti nell’Azerbaijan. Il generale Zahedi, che ora è il Primo ministro, l’anno scorso fu accusato da Mossadeq di complotto e alto tradimento. Mossadeq voleva disfarsi di lui; ma non gli riusci, perché non poteva provare nulla contro Zahedi, se non che era un suo oppositore, e il suo nemico rimase, anzi diventò più forte di prima. Il generale Zahedi è un uomo energico e coraggioso; ha una grande esperienza nel maneggiare la polizia e l’ordine pubblico. Certamente non è uno dì quegli uomini politici che si possono chiamare puri; nei Paesi del Medio Oriente tali uomini sono molto rari. In Persia forse non c’era che Mossadeq, ma era un ottuso testardo, quindi la sua intangibile purità ha fatto molto più male che bene.
Il problema immediato di Zahedi è quello di mantenere l’ordine a Teheran e di evitare movimenti e conflitti nelle tribù. I suoi spiriti e metodi di lavoro sono assai diversi da quelli dello Scià; lui non ha certo paura del sangue e di far morti, invece lo Scià, pur di non spargere sangue, può compromettere, come già è successo, l’esercizio energico del potere pubblico in momenti difficili. Ma Zahedi dovrà riaprire subito l’afflusso del denaro in Persia e questo è un compito anche più arduo dell’altro. Gli Inglesi volevano demolire Mossadeq; con lui non avrebbero mai negoziato. Volevano che l’affare Mossadeq fallisse; se fosse riuscito, anche solo apparentemente, avrebbe scrollato tutta la loro posizione politica, strategica e petroliera nel Medio Oriente. Ma intanto gli Inglesi hanno sostituito quasi totalmente il petrolio persiano con altro dei loro pozzi del Medio Oriente; hanno costruito alcune raffinerie per sostituire quella di Abadan. Il mercato mondiale del petrolio in questo momento non manca di petrolio, ma di più larghi consumatori. Non sarà facile rimettere subito grandi quantità di petrolio persiano sul mercato mondiale. Per venderne piccole quantità, e così dare al popolo persiano l’illusione che il suo petrolio si vendesse, Mossadeq doveva venderlo a metà prezzo.
Ma i problemi che Mossadeq ha lasciato aperti, anzi fatti molto intricati e gravi, nessun uomo di governo persiano, sia Zahedi o altri, ha i mezzi umani per risolverli.