Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 1979  dicembre 06 Giovedì calendario

Un contratto talmente bello

Il presidente dell’Eni, Giorgio Mazzanti, ha sul tavolo, nel momento in cui l’incontriamo, la copia di due documenti e di due telex. I documenti sono le lettere rispettivamente del presidente Cossiga e del ministro delle Partecipazioni statali, Lombardini nelle quali si decide di aprire un’inchiesta amministrativa sul vertice dell’Eni e su di lui personalmente per il famoso contratto di greggio arabo. I telex sono: la comunicazione da parte della società di Stato saudita, Petromin, che annuncia la sospensione immediata della fornitura di petrolio e la dichiarazione della banca di Ginevra, Pictet, che respinge ogni insinuazione d’essersi prestata a operazioni valutarie illecite e a ristorni di somme in favore di personaggi italiani.
Mazzanti ha un’aria assai stanca. Per tutta la durata della conversazione, di oltre due ore, alternerà quest’atteggiamento da uomo che è vittima d’una campagna che non esita a definire «vergognosa» «infamante» «calunniatrice» «priva di ogni prova ed indizio di prova» «sabotatrice degli interessi del paese» con un atteggiamento di combattività e di serenità. Si capisce che per lui le ultime ore sono state una battaglia campale, dalla quale è ancora dubbio se uscirà vinto o vincitore, ma dalla quale fin d’ora si può dire che esce perdente l’Eni, le sue capacità operative, le istituzioni della Repubblica e concreti interessi del paese.
Domandiamo anzitutto a Mazzanti se è ancora presidente dell’Eni o se è stato sospeso o se, come sembrava la sera di lunedì, ha deciso di «autosospendersi».
Risponde: «Autosospendermi? E perché mai? Non ho fatto nulla di cui debba vergognarmi e neppure pentirmi. Da due mesi infuria contro di me e contro l’Eni una campagna di stampa basata sul nulla. La magistratura ha, doverosamente, aperto un’inchiesta. Personalmente ne sono lieto. La commissione Bilancio della Camera ha disposto un «hearing» che è durato sedici ore e continua oggi. Siamo andati, io e i miei collaboratori, a rispondere a tutte le domande, ad esibire tutti i documenti. Adesso il governo ha disposto un’inchiesta amministrativa. E il ministro delle Partecipazioni statali ha chiesto un parere alla Corte dei Conti. Ebbene: io sono lieto che tutto ciò avvenga, non ho nulla da nascondere e nulla ho nascosto. Si vedrà alla fine se io sia il responsabile, come lei scrisse qualche giorno fa, d’un gigantesco peculato oppure la vittima di una gigantesca calunnia. Io so qual è la verità. Ma sono parte in causa. Accertino gli organi competenti, magistratura, Corte dei conti, commissione amministrativa d’inchiesta, che cosa c’è d’irregolare. Poi l’opinione pubblica valuterà».
Dunque lei non si dimette?
«No, non c’è ragione».
E se il governo la licenzia?
«Lo può fare, seguendo le procedure di legge e dello statuto dell’Eni e motivando il provvedimento».
Lei crede che lo farà?
«Non lo so. Ho visto in queste ultime ore cose e comportamenti che mi hanno amareggiato ma, soprattutto, profondamente stupito. Ecco, sì, sono profondamente stupito di quanto sta accadendo. La sproporzione tra le vociferazioni, la realtà e i provvedimenti adottati finora, è secondo me smisurata».
Ha detto smisurata, professor Mazzanti?
«Sì, ho detto smisurata».
Che effetto le fa la sospensione del contratto della Petromin?
«Un effetto tremendo. È come se avessimo tutti qui dentro ricevuto una mazzata. Avevamo lavorato per mesi per stipulare questo contratto. Io mi sono lasciato sparare addosso per otto settimane senza rispondere una sola parola. Non ho rilasciato interviste, non ho scritto lettere. Nulla. Sapevo bene qual era il rischio che correvamo: l’interruzione del contratto di fornitura da parte dell’Arabia Saudita. Ecco, oggi il fatto che più di tutto temevo è accaduto. Il mio silenzio non è servito a nulla, soltanto a dar l’impressione che io volessi nascondere qualche cosa d’illecito».
Mi dica che cosa rappresenta il contratto con la Petromin rispetto alla situazione petrolifera italiana.
«L’Italia consuma annualmente 104 milioni di tonnellate di petrolio: l’Eni ne importa 38. Il contratto Petromin, di 5 milioni per anno, significa quindi quasi il 5 per cento del totale e circa il 12 della quota dell’Eni. Ma l’importanza del contratto va ben oltre queste cifre. Con l’Arabia Saudita questa era la prima volta che riuscivamo a concludere un contratto..».
Mai prima d’ora?
«Mai. E l’Arabia Saudita è il più grande paese produttore dell’Opec e, finora, quello che pratica i prezzi migliori. Proprio in questi giorni il Giappone ha concluso con l’Iran un grosso contratto a 40 dollari il barile. Il nostro, come ormai tutti sanno, ci costa 19,2 dollari il barile, provvigione compresa».
Lei pensa che il contratto sia ormai perduto?
«Assolutamente no. Bisogna spiegare alla controparte che quanto è accaduto non tocca minimamente l’Arabia Saudita, il suo governo, la compagnia di Stato. Bisogna che ogni sforzo venga compiuto per rimettere in moto la fornitura. Noi faremo quanto sta in noi, gli italiani possono esserne certi».
Tuttavia professor Mazzanti, punti oscuri ce ne sono in tutta questa questione. Lei non li ha spiegati, altrimenti non saremmo a questo punto.
«Mi dica quali sono i punti oscuri. Io credo d’averli spiegati tutti. Comunque, me li dica, accetto l’ennesimo processo».
Anzitutto: è chiaro che la Sophilau non è il vero mediatore. D’accordo?
«D’accordo, la Sophilau non è il vero mediatore, se con questa intende la persona che ha fatto da fattivo e indispensabile intermediario per facilitare la stipula del contratto. La Sophilau è una società di «brokers» che ha stipulato il contratto con noi per conto del vero mediatore. Ma questa non è una grande scoperta».
Può dire chi è il vero mediatore?
«L’ho detto al procuratore della Repubblica e al presidente del Consiglio. Il presidente, se lo riterrà opportuno, ha tutti i mezzi a questo punto per accertare se si tratti d’una persona che abbia la capacità di esercitare un ruolo così delicato in un contratto del genere oppure se sia un nome qualunque, parto della mia fertile fantasia» (1).
Quando lei informò, nell’estate scorsa, l’allora presidente del Consiglio, Andreotti, della necessità in cui si trovava di pagare ingenti provvigioni per stipulare il contratto, fece il nome dell’intermediario?
«No. L’onorevole Andreotti non me lo chiese e io non lo feci».
Il suo direttore finanziario, Di Donna, contestò il rilascio della fideiussione della Tradinvest in favore della Sophilau. Malgrado ciò lei dette ordine scritto di emetterla.
«Di Donna contestò un testo della fidejussione che era stato redatto dalla Sophilau e proposto a noi. E Di Donna aveva ragione. Infatti, anche sulla base dei suoi rilievi, il testo fu cambiato. Il nuovo testo ebbe l’approvazione anche di Di Donna, come egli stesso ha dichiarato dinanzi alla commissione Bilancio della Camera».
La fideiussione era necessaria? Perché la Sophilau la chiese? Dopotutto il debitore principale, cioè l’Agip, vale patrimonialmente assai di più della Tradinvest.
«Fu chiesta, la fideiussione, perchè la Sophillau, società estera, voleva avere di fronte a sè non solo l’Agip, società italiana, ma anche la Tradinvest, società estera. Chiunque opera sul mercato internazionale sa che questo è l’abc: avere un debitore che possa, se necessario, essere citato dinanzi a tribunali esteri e non del paese importatore e debitore. Ripeto: è l’abc di questo mestiere».
Mi spieghi, professor Mazzanti, le modalità di pagamento. Alcuni membri della commissione Bilancio della Camera e non dei più sprovveduti in materia (parlo di Francesco Forte, Giorgio La Malfa, Luigi Spaventa) hanno manifestato forti dubbi sulla regolarità delle operazioni.
«Modalità semplicissime. La Sophilau chiese d’essere pagata dall’Agip, tramite la Banca Commerciale Italiana, presso la Swiss Bank Corporation di Lugano. Ed infatti così sono stati fatti tutti i pagamenti, tranne il primo».
Perché tranne il primo?
«Perché l’Ufficio Italiano dei cambi, già in possesso dell’autorizzazione ministeriale, doveva svolgere le sue normali procedure di controllo prima di disporre il pagamento. D’altra parte la Sophilau per contratto doveva esser pagata ogni mese sulla base dei carichi del mese precedente. C’era dunque la necessità di comportarsi con la speditezza che usano in casi analoghi le compagnie private nostre concorrenti. Perciò il primo pagamento fu effettuato da una nostra consociata estera, la Ieoc, che usò i fondi della nostra banca estera, la Tradinvest. Quando l’Ufficio italiano dei cambi perfezionò le procedure e autorizzò la Comit a pagare, la Comit pagò sia la Sophilau per la seconda tranche che nel frattempo era maturata, sia rimborsò la Ieoc dell’anticipazione che questa nostra società aveva fatto all’Agip. Il tutto è d’una chiarezza cristallina ed ecco i documenti, le fatture, le contabilità bancarie che espongono cifre e date di tutte queste operazioni».
(Il presidente dell’Eni esibisce i documenti sopra citati).
Lei ha mostrato questi documenti alla commissione Bilancio della Camera?
«Ho esposto i fatti e mostrato tutti i documenti che mi sono stati richiesti».
E come mai i membri della Commissione Bilancio non hanno capito che quest’aspetto della questione è in regola?
«Non so rispondere. A me risulta non solo regolare ma perfettamente comprensibile e documentalmente riscontrabile. E a lei?».
Da quello che vedo, anche a me. Si parla tuttavia della misteriosa banca di Ginevra, Pictet. Che cos’è questa banca? Quale ruolo ha avuto nell’affare?
«Non è misteriosa, è una delle più vecchie banche private ginevrine. È anche una società fiduciaria. La banca Pictet è stata nominata dalla Sophilau sua rappresentante per la messa a punto del contratto e delle modalità di pagamento. Questo è tutto».
Ha ricevuto i pagamenti dall’Agip o da altre società del gruppo Eni?
«No. Per noi la Pictet ha svolto solo un ruolo di consulente legale della Sophilau. Nient’altro. Se poi la Sophilau, una volta incassati i fondi sulla banca svizzera prescelta, li abbia successivamente trasferiti sulla Pictet, questo non ci riguarda e non è in nostro potere di accertare. Tutto ciò esula dal nostro controllo e dalla nostra responsabilità».
Dopo la sospensione del contratto da parte della Petromin, l’Agip continuerà a pagare la provvigione alla Sophilau?
«Ovviamente no».
L’Agip e la Tradinvest sono mai stati informati che la Sophilau abbia scontato presso una qualsiasi banca straniera il contratto e la relativa fideiussione?
«Nessuna informazione di cessione del credito è stata data all’Agip e alla Tradinvest».
Il signor Raciti ebbe un contatto con l’Agip offrendosi come mediatore prima della conclusione del contratto con la Petromin?
«Sì».
Perché fu scartato?
«Perché non ci sembrò quello l’intermediario più adatto alla buona riuscita dell’operazione».
Le risulta che Raciti abbia collegamenti politici?
«È una domanda alla quale non voglio rispondere. Comunque Raciti fu scartato per ragioni obbiettive, che sono quelle che ho detto».
Quelle che lei chiama calunnie contro di lei e contro il vertice dell’Eni possono esser state alimentate da persone o gruppi scartati dall’operazione?
«È possibile, ma non ho alcuna prova per affermarlo. Perciò non lo affermo».
Può dirmi qualche cosa di preciso sui suoi rapporti col signor Mac, che si dice l’abbia messo in guardia dal servirsi del mediatore da voi prescelto e l’abbia rimproverato di non aver scelto Raciti?
«A tutto ciò ho già risposto dinanzi alla commissione parlamentare».
Il signor Mac ha diffuso una lettera a lei diretta.
«Non l’ho mai ricevuta».
Professor Mazzanti, rifarebbe oggi quello che ha fatto, sapendo che cosa ne è scaturito?
«Le cose stanno in questo modo: chi lavora in questo settore o si assume enormi responsabilità, naturalmente a ragion veduta e con tutte le cautele del caso, o rinuncia ad operare. Io non chiedo di operare con la stessa libertà di movimento di una Standard Oil; chiedo però di non trasformare l’Agip e l’Eni in un ufficio del catasto. Vogliamo farne l’ufficio del catasto? Padronissimi. Petrolio non ne avremo. Avevamo ottenuto un contratto splendido, il migliore di tutti quelli in corso; avevamo informato delle modalità il governo; avevamo fornito contratti e documentazioni al ministro del Commercio Estero ed ottenuto le necessarie autorizzazioni valutarie. Qual è la nostra colpa? Chi ci ridà oggi centomila barili di petrolio al giorno a 19 dollari per barile? Avanti: chi ce li ridà? Chi risponde a questa domanda?».

Note: (1) Il mediatore, come si seppe poi. era l’iraniano Parviz Mina. Interrogato dalla commissione Inquirente che in seguito indagò sugli eventuali reati ministeriali dell’affare Eni-Petromin, non aggiunse granché a quanto già si sapeva dello scandalo (compreso il mistero se una parte della tangente fosse o no rientrata in Italia). Del resto le cinque inchieste disposte all’epoca e l’indagine dell’Inquirente non aggiungono molto alla ricostruzione che viene fatta in questa intervista da Giorgio Mazzanti.


Signorile attacca Craxi e Martelli lo difende di Paolo Guzzanti

la Repubblica

La battuta è ghiotta e l’uomo che la pronuncia è il vice segretario del Psi, Claudio Signorile, attorniato dai cronisti che gli chiedono dichiarazioni sull’Eni, il caso Mazzanti, la penuria del petrolio e le tangenti.
Dice Signorile: «Certo, cerchiamo, cerchiamo il colpevole. E poi, se lo troviamo che ne facciamo? Ho un’idea: potremmo metterlo al rogo. Così almeno potremo scaldarci quando saremo senza petrolio».
La battuta è velatamente in codice. Ma Signorile rincara la dose: «Hanno voluto giocare alla caccia della tangente? E adesso si meravigliano perché restiamo senza petrolio». Qualcuno gli chiede che ne pensa delle accuse di Siro Lombardini a Mazzanti. Risposta: «Con quella bocca può dire quello che vuole». Domanda: Vede un disegno? Risposta: «Vedo un intreccio che spinge verso il libero mercato, verso il soccorso dei privati ai prezzi spot di Rotterdam».
Chiediamo: che reazione ha avuto quando l’Arabia ci ha tagliato il greggio? «Nessuna sorpresa. Questo è un mercato atipico nel quale è il venditore che sceglie il consumatore. O si impara a giocare questo gioco, o si ferma tutto. E si resta al gelo».
Senta Signorile, ancora una volta il Psi è sotto accusa e lei ne è il vicesegretario. Inoltre è l’amico di Mazzanti che lo ha difeso fino all’ultimo. Che ha da dire?
«La tempesta sul Psi non ci fa paura anche se ci indigna. Noi siamo a posto sotto ogni punto di vista. Trovo invece che ci sia stata un’imperdonabile leggerezza da parte del governo nella gestione di questa faccenda, e questo anche nel caso che fossero accadute le cose più turpi. Nessun rappresentante del governo si è degnato di andare in Arabia a garantire là il rapporto di fiducia in base al quale è stato stipulato il contratto».
Non c’è bisogno di riassumere: Signorile, considerato come colui che più di ogni altro, fra i politici, difende Mazzanti, considera sciagurata l’inquisizione sull’operato delI’Eni, irresponsabili le strumentalizzazioni e del tutto prevedibili le conseguenze ultime e cioè lo scioglimento del contratto da parte araba.
Ecco in un’altra sala l’altro Claudio del Psi, Martelli, il collaboratore più stretto del segretario Bettino Craxi. Gli riferisco la più esplicita delle battute di Signorile: «La moralità pubblica è fondamentale e va difesa. Ma non lo è meno la politica energetica. Non si può privilegiare l’una a scapito dell’altra».
«Così ha detto Signorile?» chiede sorpreso Martelli. E aggiunge: «Fa male, molto male, Claudio, a parlare in questi termini. Allora ho anch’io qualcosa da dichiarare. Questo. Se si fosse proceduto con una trattativa lineare e limpida fra Stato e Stato, non saremmo mai arrivati a questo punto».
Si accende una sigaretta, riflette a lungo e riprende: «Anche la stampa ha una grossa colpa, come ai tempi dell’affare Moro. L’attenzione verso i responsabili di procedure quanto meno anomale, si è spostata verso chi, nella peggiore delle ipotesi, avrebbe tentato, senza riuscirci, di seguire altri canali».
«Si è discusso, prosegue Martelli, più delle intenzioni che degli atti, mentre atti, forse illeciti o forse inquinati, sono sotto gli occhi di tutti. Ma si è persino tentato di dissuadere il Parlamento dal suo diritto-dovere di indagine. Adesso c’è da correre ai ripari: rinnovare il vertice delI’Eni, dargli autorevolezza e ricostituire le scorte».
Martelli, anche a lei la stessa domanda: il Psi è o no al centro di un altro scandalo?
«No, io non so quante volte lo devo gridare. Il partito è totalmente innocente. Semmai vanta dei meriti: quello di aver sollevato una questione morale e di principio».
Via, Martelli, non è così facile per nessuno accreditare un’immagine tanto angelica. Proprio nulla da rimproverarvi?
«Si, abbiamo fatto un errore. Ma non commesso un crimine».
Abbiamo chi? Signorile? Craxi?
«Insomma: se un errore c’è stato, esso consiste nell’aver scambiato la solidarietà e le amicizie personali con il dovere politico di fare chiarezza. È stato questo errore che ci ha attirato ingiustamente l’ondata dei dubbi».