28 febbraio 1953
Lo Scià prima vuole lasciare la Persia, poi decide di restare. Intanto la folla assalta la casa di Mossadeq che fugge in pigiama
Reza Pahlavi, dopo aver annunciato che sarebbe partito da Teheran (in obbedienza a un ordine del premier Mossadeq), ha deciso di restare, commosso dalle dimostrazioni della folla che s’è radunata sotto il suo palazzo. Il presidente del Majinlis, Kashani, gli ha fatto recapitare una sua lettera personale nella quale gli ha chiesto di non andarsene. La volontà di autoesiliarsi dello Scià è dovuta ai contrasti sempre più forti col primo ministro Mossadeq, successivi alla decisione di nazionalizzare l’industria petrolifera (1 Maggio 1951). Sebbene lo scià abbia firmato a suo tempo i due decreti che sottoposero al controllo dello Stato persiano le concessioni petrolifere e gli impianti della Anglo Iranian Oil Company ad Abadan, si sa che più di una volta egli s’è scontrato con Mossadeq, che è in realtà il vero campione della nazionalizzazione. Altri contrasti sono sorti poi nell’ultima settimana. Mossadeq critica le spese di corte (sette milioni e mezzo di dollari) ed è contrario al progetto imperiale di distribuire ai contadini alcune terre di proprietà dello Scià. Mossadeq è a sua volta un ricco proprietario terriero. In passato vi furono altri contrasti: dopo i disordini del 16 luglio 1952, Mossadeq, che si era dimesso, chiese per sé il ministero della Guerra e lo Scià glielo rifiutò. Salì allora al potere Es Sultaneh il quale però, tre giorni dopo, dovette dimettersi a sua volta a causa di nuovi sanguinosi disordini. Mossadeq tornò così al suo posto e, prima della fine del mese, ottenne il pieno appoggio della Camera per un vasto programma di riforme. Pochi giorni dopo la sorella del sovrano, principessa Ashraf, partì in volo diretta a Ginevra insieme coi bambini, per una permanenza all’estero di durata imprecisata. Nel dicembre scorso Mossadeq avrebbe preteso l’esilio della regina madre, accusata di complottare con l’opposizione, mentre l’opposizione chiedeva al sovrano di por fine «al dominio illegale di Mossadeq». All’ultimo si apprende che la forza pubblica ha dovuto usare le armi per sgombrare la folla che voleva invadere la residenza di Mossadeq. Le porte di ferro sono state abbattute e molti sono riusciti a penetrare nella casa. Vi sono stati un morto e due feriti. Mossadeq, in pigiama, s’è rifugiato in Parlamento.