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 1980  gennaio 20 Domenica calendario

La Michelin regala 250 mila lire a ogni dipendente, irritazione dei sindacati

La Michelin, di sua iniziativa, ha regalato 250 mila lire a tutti i suoi dipendenti non «assenteisti abusivi» (ma un’impiegata a casa da un anno per una malattia vera ha ricevuto senz’altro il cadeau). Duecentocinquantamila lire nette corrispondono più o meno a una mezza mensilità di stipendio. E rappresentano, compresi tasse e contributi, un onere complessivo per l’azienda che sfiora i cinque miliardi e mezzo. Venerdì i quattordicimila dipendenti della Michelin (ha stabilimenti a Torino, Cuneo, Alessandria, Fossano e Trento) sono stati convocati a piccoli gruppi  dall’ufficio personale. A tutti è stata  consegnata una busta con un assegno e una breve e singolare spiegazione: le  corrispondiamo, nel «quadro della presente situazione di difficoltà generale», 250  mila lire. Nel 1962 la Michelin distribuì, allo stesso modo, 40 mila lire. I sindacati, molto irritati, definiscono l’iniziativa «autoritaria e paternalistica». «È la conferma che le aziende rifiutano la contrattazione con le organizzazioni sindacali». Si sottolinea, soprattutto,  come il «regalo» preceda di un mese  soltanto il rinnovo del contratto nazionale del duecentomila lavoratori del settore  gomma per il quale le richieste d’aumenti salariali si aggireranno sulle 30-40 mila lire lorde al mese (il premio della  Michelin equivale a più di 20 mila lire nette mensili). Chi conosce bene la Michelin non si è però sorpreso troppo del «cadeau» di venerdì. L’azienda da sempre segue una «sua» linea. «Si pensi — dicono al  sindacato — che quest’anno, per la prima volta, chiuderà probabilmente il bilancio in rosso». Tutto dipenderebbe dalla filosofia dei Michelin, di questa mitica famiglia  francese che conduce una vita quasi  monastica in una casa grigia di Clermont  Ferrand. Una filosofia che non tiene conto «della realtà e della situazione del paese in cui opera l’azienda». E che costò, si racconta, anche a Charles de Gaulle la proibizione a entrare nelle fabbriche di Clermont Ferrand perché «si stava  lavorando».