17 gennaio 1980
Un grammo d’oro costa più di ventimila lire
L’oro ha sfondato ieri il «muro» degli 800 dollari per oncia (20.700 lire al grammo) sul mercato di Nuova York pochi minuti dopo che sulle piazze finanziarie europee le contrattazioni si erano chiuse intorno ai 760 dollari, con una lieve flessione rispetto al record storico di mercoledì. La nuova poderosa spinta al rialzo è il risultato di un’ondata di acquisti fatti proprio da grandi banche americane che sembrano ora aver sostituito, in prima linea nella corsa all’oro, gli operatori svizzeri, arabi e orientali.
Spendere oltre 20 mila lire per un pizzico di polvere gialla quasi invisibile sul palmo di una mano, che non dà interessi, raddoppia (e quindi può anche dimezzare) il suo valore nel giro di otto settimane, sarebbe in tempi normali una vera follia. Ma non viviamo tempi normali. L’Armata Rossa è più vicina alle rotte petrolifere, gli scambi finanziari e commerciali tra i maggiori blocchi economici — quello occidentale e quello sovietico — rischiano di paralizzarsi, Tito è in pericolo di vita e cosi gli equilibri decisi a Yalta. La corsa all’oro è oggi un fatto più politico che economico. Fin quando questi punti di crisi sullo scacchiere internazionale non saranno stati risolti la gente preferirà l’incorruttibilità e l’apoliticità (oltreché l’anonimato) dell’oro a qualsiasi altro investimento più razionale e produttivo (Paolo Glisenti sul Corriere della Sera).