11 gennaio 1980
Il problema del Pakistan
ISLAMABAD — Coi suoi 15 o 17 milioni di abitanti, l’Afghanistan è un paese molto povero, non ha petrolio e vanta uno dei redditi pro capite tra i più miserabili del mondo. L’intervento dell’Unione Sovietica, ha dichiarato in una recente intervista a Newsweek il presidente del Pakistan, generale Zia ul-Haq, non può quindi essere motivato dal «desiderio di nuove risorse». Ma — ha detto Zia — l’Afghanistan è strategicamente molto importante. E c’è molto petrolio in Iran. L’Afghanistan e il Pakistan costituiscono la porta secondaria sul Golfo e l’accesso diretto all’oceano Indiano. Ho cercato di richiamare l’attenzione di Washington su questo fatto sin dal primo colpo di Stato marxista nell’aprile del ’78. Senza troppo successo, potrei aggiungere. Il chiodo che regge la ruota è il Pakistan. Ciò non significa che noi abbiamo paura. In realtà siamo abbastanza sicuri. Ma data la nuova equazione di potere nel mondo, la fiducia in se stessi rappresenta la chiave alla nostra sopravvivenza come nazione. Il Pakistan è ora un’isola di stabilità e intendiamo mantenerlo tale»
A Islamabad, la capitale, città dei ministeri, della burocrazia, delle ambasciate, una colata di palazzi, villini bianchi e giardini, sorta dal nulla e quasi senza rapporto fisico con la storia e la civiltà del paese, la crisi afghana sembra un fenomeno remoto; ma a Peshawar, che ricorda Kipling, o lungo l’intero arco della frontiera tribale dove sono ammassati i 400 mila profughi afghani, il dramma del vicino paese ha una sua greve, quotidiana incombenza. (Ettore Mo sul Corriere della Sera)