3 gennaio 1980
Un corteo di quattro chilometri segue i funerali di Nenni
ROMA — Nel silenzio si fischia l’Internazionale. Poi un applauso prorompente, il nome scandito «Pietro, Pietro». Dieci, venti, trentamila voci. Sono le due e quarantacinque di un pomeriggio freddo, nel cielo le nubi sono state spazzate via da un gelido vento di tramontana. La bara, portata a spalla da sei commessi del Senato, esce da Palazzo Madama, il picchetto d’onore dei granatieri scatta sugli attenti, la moltitudine zittisce. Ci sono centinaia di corone, migliaia di bandiere, di gonfaloni, di gagliardetti. Su Corso Rinascimento, nel cuore di Roma, c’è una marea di gente, arrivata da ogni parte d’Italia ed anche dall’estero. Con treni, con pullman, in macchina. Da Bolzano a Palermo, da Torino a Caltanissetta. Si prova a fare un conto: cinquantamila, sessantamila; ma c’è chi giura che sia più folta questa folla venuta a dire addio al «gran vecchio» Nenni.
È uno spettacolo suggestivo e commovente: dalle finestre scrosciano i battimani, gli evviva; qualcuno getta garofani sulla Mercedes che porta le spoglie del presidente. In prima fila le figlie Giuliana Vanni e Luciana; poi Craxi, De Martino e Signorile; quindi, ad una decina di metri di distanza, Pertini, Fanfanl, Jotti, Cossiga e Rognoni. Il servizio d’ordine degli uomini del partito è perfetto, come lo è la compostezza con cui la gente segue il feretro. Ci sono socialisti che non vogliono dimenticare questo momento, hanno portato con loro la macchina fotografica, scattano immagini. Ce n’è uno, sui cinquanta, arrampicato su un’impalcatura, che non può trattenere le lacrime. «È stato il nostro grande maestro», «l’uomo che ha voluto e voleva l’unità del partito» (Bruno Tucci sul Corriere della Sera)