2 gennaio 1980
Pertini vuole le dimissioni del ministro Giannini, colpevole di voler andar via dall’Italia
ROMA — Con un’iniziativa che non ha precedenti nella storia della Repubblica, il capo dello Stato ha sollecitato ieri le dimissioni di un ministro in carica, il professor Massimo Severo Giannini, un «tecnico» di estrazione socialista che è ministro senza portafoglio per la funzione pubblica (ex riforma burocratica). Giannini aveva rilasciato a un settimanale dichiarazioni che al Quirinale, ma anche ad alcuni ambienti politici e in particolare al PCI, erano apparse rinunciatarie e disfattiste. Il ministro ha in parte smentito l’Intervista, ma la polemica sembra destinata a trovare alimento proprio nell’inconsueto intervento del presidente della Repubblica, che si è assunto una sorta di tutela morale sul buon comportamento dei membri dell’esecutivo.
Sul giornali di ieri mattina erano apparse alcune anticipazioni di un’intervista concessa da Giannini a «Oggi». C’erano frasi che suscitavano un’immediata perplessità («l’Unità» le definiva «stupefacenti e molto gravi»): «La situazione italiana — secondo Giannini — è al limite dell’irrecuperabilità ... Io riprendo sempre più in considerazione la vecchia idea di andarmene dall’Italia: che speranza ha questo paese? ... Ormai in Italia siamo tutti al qualunquismo, credo che la mia posizione sia condivisa da tutti i ministri della Repubblica».
Sandro Pertinl ha letto queste affermazioni con sdegno e furore. Gli è apparso subito sconcertante il contrasto tra l’ostentato pessimismo del ministro e il tono di fiducia e di fervore che lui, come capo dello Stato, aveva infuso nel messaggio di fine d’anno agli italiani: come può un ministro rinnegare fino a tal punto la funzione costruttiva del proprio ruolo? Pertinl non ha avuto esitazioni. Ha preso carta e penna e ha scritto di suo pugno un breve comunicato che ha poi consegnato al suo capo dell’ufficio stampa, Antonio Ghirelli (dal Corriere della Sera del 3 gennaio)