Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 1986  gennaio 14 Martedì calendario

I primi dieci anni di Repubblica

Dieci anni sono passati in fretta per noi. Sono stati dieci anni di fondazione e ancora lo saranno per un po’ di tempo a venire, perché un grande giornale quotidiano – come del resto tutti gli organismi complessi e «viventi» – non nasce compiuto e maturo in ogni sua parte come una Minerva armata dalla testa d’un qualche Giove. Ogni tanto i miei collaboratori mi chiedono: questa fondazione non finirà mai? Ma sì, finirà ed anche abbastanza presto perché ormai il profilo di questa nuova «creatura» è quasi ultimato, mancano alcuni tocchi finali, qualche dettaglio costruttivo, qualche completamento necessario e poi non ci resterà che gestirne giorno per giorno il funzionamento, lubrificarne i meccanismi, sostituirne qualche pezzo logorato dall’uso. Ma la fase «eroica» sarà definitivamente chiusa.
Quando cominciammo, il 13 gennaio del 1976, eravamo una smilza compagnia, non più che una settantina di giornalisti, tre quarti dei quali assolutamente in erba, alle prime armi della professione, oppure richiamati dopo lunghi congedi. Qualcuno, esaminando la struttura della nostra redazione di allora, non esitò a definirci una piccola armata Brancaleone, mal pagata, poco addestrata, che scendeva in campo contro avversari formidabili. I giornalisti di nome erano pochissimi tra noi: Giorgio Bocca, Gianni Rocca, Sandro Viola, Mario Pirani, Fausto De Luca, Enzo Forcella, Natalia Aspesi, Massimo Fabbri, Miriam Mafai, Giorgio Signorini, Edgardo Bartoli, Barbara Spinelli. E qui, più o meno, mi fermerei.
Il compito loro assegnato era peraltro durissimo. Avevamo capitali per tre anni, al termine dei quali, se il giornale non fosse arrivato a pareggiare i conti del bilancio, avremmo chiuso i battenti perché a nessun costo avremmo proseguito in un’iniziativa strutturalmente deficitaria. Comunicai questi propositi ai colleghi nella prima assemblea di redazione, che si svolse poco prima del Natale. Dissi anche – con una punta di retorica che oggi posso ben confessare ma che allora mi parve necessaria – che somigliavamo terribilmente all’armata d’Italia guidata dal generale Bonaparte, quando nel 1795 s’affacciò ai passi del Monginevro e vide schierato nella pianura il possente esercito austriaco a difesa delle fertili terre padane.
Così cominciammo: un formato del tutto inconsueto nel giornalismo italiano, 20 pagine, meno della metà in peso di carta rispetto ai giornali concorrenti, nessuna cronaca locale, pressoché inesistente lo sport.
Oggi possiamo misurare il cammino percorso. Abbiamo, tra i redattori e i collaboratori, il più alto numero di grandi firme disponibili sul mercato; la redazione è composta di 175 professionisti; la struttura operativa è una delle più addestrate; stampiamo mediamente 60 pagine al giorno su quattro diverse edizioni: nazionale, romana, milanese, bolognese; editiamo tre supplementi settimanali e un supplemento in rotocalco ogni mese; la vendita ha superato le 400 mila copie, la tiratura è oltre il mezzo milione: siamo ai primissimi posti nella classifica nazionale per dimensione e per risultati economici aziendali.
Come questo piccolo miracolo sia potuto accadere in soli dieci anni sarebbe storia lunga da raccontare e questa non è certo la sede. Qui vogliamo invece riprodurre, in una serie di dieci fascicoli, il meglio della nostra antologia, per ringraziare in questo modo i lettori che quel nostro piccolo miracolo hanno reso possibile.