il Giornale, 9 marzo 2017
Tags : Violenza sulle donne Italia
Flop dei braccialetti anti stalker (però ci costano 10 milioni)
È la burocrazia del femminicidio, consumato sulla pelle delle donne. Altro che 8 marzo. Lo Stato ha venti braccialetti antistalker a disposizione dei magistrati e non li usa. Dimenticati lì, mentre la conta delle vittime di uomini violenti aumenta. Uno solo è stato adottato in sperimentazione a una coppia di Murano per essere poi ritirato, (contro il volere della donna!) perché il giudice ha deciso che «lo strumento era troppo invasivo».
Ma quello che più fa indignare è la mancanza di motivazioni. Eppure un anno fa, tutto sembrava girare per il meglio, i soldi erano stati finalmente trovati, la tecnologia messa a punto e l’investimento fatto, i dispositivi erano approdati al Viminale. La sperimentazione poteva partire. E invece sono rimasti lì, a fare polvere chiusi in uno scatolone, in un tragico rimpallo di responsabilità tra ministeri. A nulla servono, interrogazioni parlamentari o commissioni di inchiesta, come quella sul femminicidio, istituita a gennaio al Senato. Il muro di gomma resiste. «È una cosa che grida vendetta», dice Alessia Morani, vicepresidente del Gruppo Pd alla Camera, autrice dell’emendamento alla norma sul femminicidio che ha dato il via libera a questa possibilità gestita dal ministero dell’Interno. L’altro ieri la deputata è tornata a porre l’attenzione sul tema alla Camera: «pongo una domanda alla nostra magistratura: al ministero dell’Interno sono a disposizione da oltre un anno una ventina di cosiddetti braccialetti antistalker, l’unico strumento che sin qui, nei Paesi dove è utilizzato, ha azzerato i femminicidi. Perché in Italia non li usiamo? Perché dobbiamo permettere che avvengano ancora omicidi?». E non è servito neppure l’intervento della Corte dei Conti a garantire protezione alle donne. La magistratura contabile ha fatto le pulci al ministero dell’Interno sull’uso in passato inesistente dei braccialetti elettronici. Lo Stato paga quasi 10 milioni l’anno a Telecom per la gestione delle centrali di controllo di tutti i braccialetti, come ricordano in una relazione di qualche tempo fa, Alessandra Bassi, gip a Torino e Christine von Borries per la Procura di Firenze, riportate dal Tirreno.
I 19 braccialetti dvrebbero essere richiesti dal magistrato, ma di fatto nessun giudice ricorre al dispositivo. E così il progetto di sperimentazione resta lì. Immobile. Con le donne che continuano a morire. La Polizia di Stato ha in carico i braccialetti, ma sono i magistrati che dovrebbero richiederli, e autorizzarne l’utilizzo. Eppure anche se in Italia la sperimentazione non accenna a partire, lo stesso identico dispositivo è già in uso in mezza Europa e America. E funziona.
In Spagna ad esempio, dove il braccialetto è stato introdotto nel 2006 a Madrid e poi su tutto il territorio dal 2009, su 756 coppie monitorate non c’è più stato un omicidio. Cento per cento di successo. Funziona perchè facile, e se lo stalker non rispetta la distanza imposta dal magistrato, suona l’allarme della sua cavigliera: sia sul dispositivo della ex moglie, sia alle forze dell’ordine. Allora cosa impedisce l’utilizzo dei braccialetti anti-stalker? Nel caso di Merano, il giudice che ha revocato il dispositivo ha spiegato che è troppo invasivo per la vittima, visto i continui «beep» che emette. Un fastidio che la vittima era ben disposta ad accettare tanto da far mettere a verbale che quel braccialetto – seppur fastidioso – lo vorrebbe indietro. In gioco c’è la sua vita.