Libero, 7 marzo 2017
Tags : Donne 8 marzo
Lo sciopero delle donne aumenta solo le distanze
Stiamo per scrivere una cosa banale, ma meno banale dell’ideona lanciata da «Lotto marzo» per la Giornata internazionale della donna: uno sciopero generale. In teoria è una roba internazionale organizzata soprattutto da Women’s March, il movimento responsabile delle proteste contro Donald Trump del 21 gennaio scorso, ma a noi interessa la versione italiana, a cura del gruppo «Non una di meno». L’idea di fondo naturalmente è sempre la stessa, e andrebbe benissimo: ossia protestare contro le disuguaglianze presenti nel mondo, più o meno. Però, soprattutto in Italia, le donne (certe donne) non lavoreranno e non compreranno nulla, questo ufficialmente per evidenziare il loro lavoro e i loro consumi: uno sciopero, appunto. Senza voler eccepire a tutti i costi, e senza entrare in particolarismi, si può aderire a tutte le battaglie genericamente messe sul tappeto, anzi è un dovere: il divario sessuale tra gli stipendi, i boicottaggi a chi vuole accedere all’interruzione di gravidanza, la violenza specifica degli uomini contro le donne, eccetera. Se invece si vuole eccepire, ed entrare in particolarismi, girano subito le palle perché alla fine si risolverà tutto in qualche corteo cui hanno già aderito i Cobas, Slai Cobas, Sial Cobas, Confederazione dei Comitati di Base, Usi, Usi-Ait, Usb, Sgb, Flc e naturalmente Cgil. Il tutto con tutte le conseguenze che siamo abituati ad associare a uno sciopero, a qualsiasi sciopero: caos nei trasporti e un po’ di insegnanti a spasso. Grande novità. Come ha già scritto Simona Bertuzzi, l’astensione dal lavoro porterà un sacco di lavoro soprattutto a supplenti e babysitter, questo mentre altre sfileranno «smutandate in passamontagna» come in un locale di scambisti.
Il tutto senza contare il formidabile potere divisivo di certe sigle: milioni di italiani, per dire, non scenderebbero in piazza con Cgil e Cobas neppure se ci fosse da opporsi all’invasione marziana della Terra. Il problema è vecchio, e il modo di non farsi metabolizzare dalle sigle che aderiscono a una manifestazione si può sempre trovare, o provarci: non l’hanno fatto, ci pare.
In ogni caso: va bene che certe sigle rispondono «sciopero» anche se chiedi che ore sono, ma che vuol dire uno sciopero? In genere, uno sciopero, lo fai contro un datore di lavoro per richiedere dei diritti negati, e serve a creargli dei danni economici o pratici. In questo caso la controparte qual è? Lo Stato? Il sistema? Gli uomini? In teoria siano noi tutti, perché i danni potremmo subirli tutti, tutta la cittadinanza: così, per non sbagliare. Insomma, non è chiaro se sia uno sciopero camuffato da manifestazione o una manifestazione camuffata da sciopero.
Per il resto, ci limitiamo a queste poche obiezioni per non incedere in vecchie banalità: tipo il dubitare, fortemente, dell’utilità di certe manifestazioni alla causa che promuovono. L’emancipazione della donna è e resterà inarrestabile, ma avrà tempi che non sanno certo i residuali femminismi ad accelerare, bensì la pratica quotidiana e i comportamenti. In Italia le donne hanno raggiunto parità di presenza (o superato gli uomini) in professioni come magistratura, avvocatura, medicina e, con il discutibile aiuto delle quote rosa, anche in politica e nei consigli di amministrazione delle società di Borsa. Come tanti uomini, se ingolfate dal millesimo sciopero, domani malediranno l’asessuata idiozia del genere umano.