Corriere della Sera, 7 marzo 2017
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Il demografo Livi Bacci: «Dobbiamo anticipare l’età dell’autonomia per i nostri giovani»
Non solo perché è uno dei demografi più ascoltati d’Europa, Massimo Livi Bacci pensa che l’ordine delle priorità italiane debba cambiare: è tempo di una risposta concreta al declino delle nascite, se l’Italia vuole ritrovare la strada verso un’economia e assetti sociali più sostenibili. Per attrarre l’attenzione su questi temi Livi Bacci dieci anni fa ha fondato «Neodemos», un portale di divulgazione delle questioni demografiche, ma da allora la natalità nel Paese non ha fatto che indebolirsi.
Nel 2016 è stato toccato un nuovo minimo delle nascite, ben sotto il mezzo milione. Come se lo spiega?
«Siamo sull’onda lunga di un fenomeno di crisi che non è solo economica, ma è stato accentuato dalla recessione degli anni scorsi. Ciò che preoccupa è che non se ne vede bene l’uscita. Le 474 mila nascite del 2016 costituiscono il livello minimo dello Stato unitario e noi di Neodemos stimiamo che si debba risalire alla metà del ‘500, quando l’Italia contava meno di un quinto della popolazione attuale, per trovare numeri così ridotti».
Cosa la preoccupa, in particolare?
«Sono dinamiche insostenibili. Soprattutto non sono compatibili con il perdurare di una qualità della vita che, malgrado la profonda recessione recente, è in miglioramento almeno sotto il profilo di salute e aspettativa di vita».
Quali rimedi alla denatalità potrebbero esserci?
«Uno dei pochi antidoti sicuri è l’immigrazione, sulla carta. Ma siamo in una fase storica nella quale le preferenze sociali e politiche rendono difficile pensare a flussi migratori ad alta intensità».
Dunque quali alternative vede per prevenire l’invecchiamento della popolazione?
«L’unico altro rimedio concreto al rallentamento delle nascite sarebbero politiche più favorevoli alla riproduttività. Ma sono difficili: non possono avere un impatto immediato, sono costose e dunque sono poco probabili, dati i vincoli del bilancio e la relativa indifferenza al problema nell’opinione pubblica. Sembra che le politiche pro-natalità non importino a molti, dunque le politica tende a occuparsene ben poco».
In verità il governo Renzi ha lanciato il bonus bebè e anche una campagna, per quanto controversa, per richiamare l’attenzione al problema.
«Serve molto di più per vedere dopo diversi anni degli effetti reali. Non basta neppure mettere a disposizione delle famiglie più asili nido o soluzioni pratiche del genere. Si va molto aldilà. Ciò che occorre è una maggiore sicurezza dei redditi familiari e un numero più vasto di donne al lavoro. Poter contare su due pilastri di reddito in famiglia, o almeno due pilastrini, è essenziale. I Paesi dove lavorano più donne, come in Europa del Nord, hanno una natalità più equilibrata. Per questo sono prioritarie politiche fiscali che incoraggino il lavoro femminile».
Uno dei problemi è che ci sono sempre meno donne in età fertile, non trova?
«Anche per questo dobbiamo anticipare l’età dell’autonomia dei giovani. Se vivono troppo a lungo nella famiglia di origine, se si trattengono negli studi e poi non trovano lavori continuativi e dunque non hanno casa, finiscono per rinviare le decisioni riproduttive. Si fanno figli sempre più tardi, dunque se ne fanno sempre di meno. Le politiche pubbliche dovrebbero fare di tutto per dare più autonomia ai giovani, e prima nella vita».
Non c’è anche una questione culturale nelle famiglie di origine, che proteggono e trattengono troppo a lungo i propri figli?
«Direi che c’è anche un calcolo nelle nuove famiglie che si costituiscono. Se temono di dover tenere un figlio in casa fino ai 30-35 anni, i genitori hanno davanti a sé un investimento simile a quello necessario per crescere due figli fino ai 18 anni. Dunque sono molto riluttanti ad avere il secondo».
La Francia, con una popolazione simile all’Italia, ha un numero di nascite da popolazione autoctona quasi doppio. Da cosa dipende?
«È la dimostrazione che le misure di sostegno alla natalità sono di lunga lena o non sono. I risultati si vedono nel tempo, un bonus bebè di un anno non cambia niente. La Francia ha avviato politiche per le nascite subito dopo la Seconda guerra mondiale e adesso emerge una differenza enorme rispetto all’Italia».