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 1999  dicembre 27 Lunedì calendario

Napoli - «Pago, certo che pago

• Napoli. «Pago, certo che pago... Appena incasso la vincita, vi do fino all’ultima lira». Quella promessa, ormai, vale più d’una cambiale. Soprattutto quando a cavartela di bocca è il boss del rione, uno che se solo provi a dire «ma...» ti spedisce al camposanto. Ecco perché ai 25 napoletani del quartiere Soccavo che, il 30 ottobre scorso, avevano azzeccato la combinazione del Superenalotto portando a casa più di 36 miliardi, non è rimasta altra scelta. [...] «Quanto avete vinto, poco più di un miliardo a testa? Bene, una parte spetta a noi perché dobbiamo aiutare le famiglie dei carcerati...». Il padrino, accompagnato dai suoi sgherri, ha recitato il copione casa per casa. Senza mutare mai l’accento, ma cambiando di volta in volta l’ammontare della cifra da riscuotere: una «taglia» da 50 milioni per chi possedeva una sola quota del «sistema» fortunato, una da 500 o addirittura 700 milioni per gli altri. Aveva di fronte pensionati, manovali, disoccupati, gente che solitamente tira la cinghia per arrivare a fine mese e che, d’improvviso, s’era vista catapultata in paradiso da quella vincita miliardaria. Non gli è importato granché di tutto questo: l’unico sconto l’ha concesso a una signora, che aveva bisogno dei soldi per sottoporre il marito a un delicato intervento cardiochirurgico negli Stati Uniti. Chi ha cercato di reagire, invece, è finito all’ospedale con le braccia e le gambe spezzate. A Soccavo se ne parlava da tempo di questa storia. Ma sempre sottotraccia. Nessuno aveva avvertito la polizia, nessuno s’era azzardato a inviare un esposto in Procura. Col passare dei giorni, però, le voci sono rimbalzate fin dentro gli uffici della Squadra Mobile che, su mandato della magistratura, ha avviato un’indagine riservata. Rimaneva da sollevare, quindi, soltanto l’ultimo drappo del sipario. E a farlo è stato un lettore del ”diario”. Nella missiva indirizzata al giornale, e pubblicata sul numero da oggi in edicola, un «piccolo imprenditore napoletano» (il cui nome viene taciuto per ovvie ragioni di sicurezza) sostiene di aver scoperto i retroscena di questa terribile vicenda attraverso i racconti dei suoi operai, originari di Soccavo, un quartiere all’estrema periferia della città.
• Tutto comincia un paio di giorni dopo la vincita, quando il boss e i suoi aguzzini entrano nella ricevitoria di Abramo Santojanni. Qui è stato compilato il tagliando che ha centrato i sei numeri del Superenalotto, qui i 25 giocatori hanno acquistato le quote. Sono persone della zona, lo sanno anche i camorristi. E per questo ordinano all’esercente di consegnare subito nelle loro mani la lista dei nomi. L’uomo cerca di guadagnar tempo, ma il tono delle minacce non gli lascia scampo. Attenzione, però: il figlio Alfonso, autore del «sistema» plurimiliardario, smentisce tutto. «Ma quali tangenti... - sbuffa -. L’ho già detto alla polizia, sono solo fesserie. L’unica cosa vera è che nel quartiere adesso ci sono 25 persone più felici di prima. Peraltro, nessuno ha ancora incassato una lira: la vincita sarà pagata dalla Sisal a gennaio». E, almeno su quest’ultimo dettaglio, piovono le conferme. Insomma, è come se i vincitori avessero firmato un assegno postdatato. Nulla di cartaceo, è chiaro: in questi casi, basta il terrore a garantire il rispetto dei patti. Lo sanno bene i poveracci che hanno dovuto chinare la testa di fronte alle intimidazioni degli estorsori. A cominciare dal ragazzo paralitico, che vive con la madre commerciante e s’è piegato subito al ricatto, non potendo fare altrimenti. [...]