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 2004  aprile 25 Domenica calendario

Il 25 aprile, festa della Liberazione, fa anche girare nelle orecchie una certa canzoncina irriverente che abbiamo riecheggiato nel titolo

• Il 25 aprile, festa della Liberazione, fa anche girare nelle orecchie una certa canzoncina irriverente che abbiamo riecheggiato nel titolo. Più interessante, forse, celebrare questa data gloriosa ricordando cosa ne hanno scritto i nostri padri. Ecco, qui di seguito, gli editoriali di ”Corriere della Sera” (allora ”Corriere d’Informazione”) e dell’’Unità” del 25 aprile 1946. E quello del ”Secolo”, scritto da Almirante, nel 1953, con il giornale nato da meno di un anno. soffia il vento, urla la bufera ’Corriere d’Informazione”1 25 aprile 1946 «Noi non siamo qui a cercare delle meschine gloriole in un momento in cui ci sono compiti così duri da assolvere» Sono parole di Ferruccio Parri2, pronunziate in una commossa rievocazione della lotta partigiana in Italia. Le ripetiamo per tutti, memori ed immemori, in questa prima ricorrenza di una data che è tra le più belle della nostra storia nazionale. Duecentomila Italiani oggi si ritrovano al canto che trabocca di ricordi: Soffia il vento, urla la bufera, scarpe rotte e pur bisogna andar...(...) Questo esercito nacque dopo l’8 settembre, allorchè le divisioni regie si disfecero dinanzi a pochi reparti tedeschi. Le prime bande presero la via dei monti, e i Comitati di Liberazione, sorti contemporaneamente, provvidero a collegarle ed a fornirle degli scarsissimi mezzi di cui disponevano. Milano tornò ad essere la città delle Cinque Giornate, ospitò il Comitato militare della resistenza e divenne così e direttivo della lotta (...) Gli scontri dimostrarono nei nostri una promettente capacità combattiva e nei tedeschi la volontà fredda di stroncare con qualunque mezzo il movimento patriottico. Le rappresaglie da essi compiute con crudeltà fredda nel Cuneese lo dissero. Ma la resistenza tenne e apparvero in molte località i grandi cartelli con le scritte in tedesco: ”Attenzione, zona infestata dai partigiani”. L’inverno portò una sosta nei combattimenti e permise l’organizzazione: prima che finisse, diecimila uomini erano inquadrati. Ma essi mancavano di armi, di munizioni, di equipaggiamento, di viveri. La solidarietà delle popolazioni valligiane supplì in parte. Senza questo apporto generoso, dato senza lesinare nei sacrifici e non badando ai rischi, il movimento italiano delle resistenza non avrebbe potuto assumere l’ampiezza e la potenza che poi ebbe. Non dimentichiamolo. I richiami alle armi del governo fascista portarono altri uomini alle bande; fu tuttavia un afflusso di disarmati e, sulle prime, di peso grave, anche perché ebbero inizio in quel periodo le prime azioni di rastrellamento compiute da Tedeschi e fascisti con grande impiego di uomini e di mezzi. Nonostante le perdite severe subite per queste azioni, il movimento resistette: disfatte in una valle, le bande tornavano a ricomporsi in un’altra, più esperte, agguerrite e numerose (...) Gli alleati avrebbero voluto che le formazioni partigiane e la loro attività fossero limitate a compiti bene specificati: sabotaggio e informazioni. Da parte nostra si guardò invece ad un obiettivo assai più vasto, quello cioè della liberazione del territorio nazionale con le nostre sole forze. Si determinò così una situazione assai delicata che il tatto del Comando seppe risolvere a nostro vantaggio, anche perché le missioni alleate, paracadutate nelle valli e venute a contatto diretto con le formazioni armate, poterono constatarne l’efficienza, lo spirito combattivo, i risultati raggiunti e la serietà dei propositi che le animava. Così gli alleati diedero una più diretta e sostanziale collaborazione, e giunsero finalmente, in misura assai più vicina alle necessità, i rifornimenti aerei (...) C’è dell’altro. Già nel 1944 l’azione dei patrioti italiani si svolgeva in connessione tattica con quella degli eserciti sbarcati nella Penisola. Ciò avveniva in zone a ridosso del fronte e lungo la fascia alpina occidentale. Le occupazioni di Teramo, Osimo e Firenze ne furono il frutto. Dopo lo sbarco in Provenza, le truppe alleate avrebbero potuto sboccare in Piemonte attraverso le testate delle valli di Susa e di Aosta aperte dai nostri, con azioni di forza, precisamente in vista di quella possibilità. E va ricordata l’organizzazione per la difesa degli impianti industriali e idroelettrici: va ricordata l’attività dei G.A.P. e delle S.A.P.3: va ricordato tutto quel complesso di azioni che indusse i Tedeschi a cautelarsi con opere preventive di difesa ovunque fosse un loro centro e ad immobilizzare l’Italia settentrionale un esercito vero e proprio che nei momenti decisivi mancò alle operazioni del fronte. L’ultimo inverno di guerra fu, per i nostri, una prova dolorosa ed eroica. Bloccati dal dispositivo nemico in molte zone, dovettero svernare tra la neve e il gelo senza protezione adeguata, con viveri insufficienti, a corto di medicinali. La repressione poliziesca s’era fatta serrata e spietata. I partigiani avevano anch’essi un temibile esercito alle spalle: erano le spie che operavano dovunque e con frutto. I nostri uomini cadevano a dozzine: l’arresto voleva dire la tortura o la morte o la deportazione nei campi di sterminio tedeschi. (...) Venne la primavera, finalmente: e, mentre le prigioni italiane - allora senza rivolte4 - si popolavano di patrioti, la lotta riprese ostinata e inesausta. Era l’epilogo: dai monti al piano, dai villaggi alle città, la battaglia divampò serrata e vittoriosa. Oggi i partigiani ricordino con la fede di ieri i compagni perduti nella bufera. Non cerchino meschine gloriole mentre ci sono compiti così duri da assolvere. Credano che nulla può risorgere di un passato di sciagura, perché la storia della nostra terra, fatta di tanto dolore, è stata rimessa sulla via della libertà. In quest’ora, che nessuno sa quanto potrà essere lunga, continuino a servire nella disciplina e nella rinunzia, ma con ferma consapevolezza. Come ieri. L’Italia ha ancora tanto bisogno di cittadini forti e devoti. Giulio Alonzi5 2. Ferruccio Parri (1890-1981) fondò il Partito d’Azione e fu Presidente del Consiglio nel primo governo dopo la liberazione. 3. I Gruppi d’Azione Patriottica agivano nelle città, le Squadre d’Azione Patriottica nelle campagne. 4. Il 25 aprile 1945 nel carcere di San Vittore termina una rivolta dei detenuti durata più di 74 ore. 5. Giulio Alonzi, partigiano, fu a capo del Comando regionale lombardo.
• la lotta, il sangue, i sacrifici ’l’Unità”, 25 aprile 1946 Un anno fa l’insurrezione nazionale giungeva al suo epilogo ed al suo trionfo. Il 25 aprile segnava il punto culminante della lotta armata e nello stesso tempo l’inizio d’una nuova fase nella vita e nella storia d’Italia. La fase della ricostruzione della Repubblica e della Costitutuente. Il 25 aprile segnava la sconfitta clamorosa della vecchia classe dirigente, di quelle forze reazionarie che avevano aperta la strada al fascismo, che avevano tradito il nostro popolo mettendosi al servizio dell’imperialismo tedesco, che avevano portato al disastro ed alla rovina il Paese. Il 25 aprile segnava pure il destino del complice principale di tutti i delitti del fascismo: la monarchia (...) Si è tentato e si tenta di negare la resistenza italiana o di presentarla come il prodotto della propaganda e dell’oro straniero. è la stessa opera di tradimento degli interessi nazionali che continua. Che continua per opera di quegli stessi che, abituati a servire lo straniero, ieri il tedesco, oggi un altro imperialismo, non possono concepire un’Italia democratica, libera e indipendente (...) Al tavolo della pace ciò che conta non sono né le lacrime, né le grida isteriche, né le declamazioni retoriche. La sola cosa concreta che può contare è il contributo di lotta, di sangue e di sacrifici dato dal nostro popolo per la sconfitta del nazismo e del fascismo, per affrontare la vittoria delle Nazioni Unite. Se c’è qualcuno che ha veramente difeso con le unghie e coi denti l’italianità di Trieste6 questi sono i nostri partigiani, i gapisti, i sapisti, i combattenti tutti della Guerra di Liberazione. Sono gli antifascisti, sono gli operai, i contadini, i migliori intellettuali italiani, sono i patrioti di ogni corrente politica, sono i garibaldini delle 150 Brigate d’assalto guidate da Luigi Longo che hanno versato il loro sangue perché non solo Trieste, ma tutte le altre città italiane, da Venezia a Palermo restassero italiane e fossero riconquistate alla libertà. I naturali confini del nostro Paese non si difendono oggi con le chiacchiere, sono stati difesi con le armi dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945 dai partigiani, dai combattenti delle formazioni regolari dell’esercito italiano che hanno fiancheggiato le forze degli Alleati da Napoli a Milano, dai patrioti di ogni fede politica che si sono battuti in ogni contrada d’Italia. Con la sua epica lotta e col suo sacrificio il popolo italiano non salvava solo le industrie del Nord7, tanta parte del patrimonio umano e materiale del nostro Paese, ma soprattutto riscattava sé stesso. Dimostrava al mondo di voler separare a qualunque costo la sua responsabilità dai delitti e dalle infamie del fascismo, dimostrava al mondo di sapersi battere, nelle condizioni le più dure e le più difficili, per la libertà. L’unità e l’indipendenza del nostro Paese, gravemente compromesse dal fascismo e dalla monarchia, sono state salvate dalla insurrezione popolare che ha avuto il suo epilogo il 25 aprile 1945. Tutto ciò che sarà possibile salvare, tutto ciò che all’Italia sarà riconosciuto, lo sarà per merito esclusivo della guerra di liberazione nazionale, alla quale il Partito Comunista ha dato il maggior contributo di sangue e la parte migliore delle sue forze (...) Il 25 aprile 1945 ha aperto la strada al 2 giugno 1946. Due date, un unico obbiettivo: Repubblica, Pace, Lavoro. Pietro Secchia8 6. Con il Trattato di pace di Parigi, ratificato il 31 luglio 1947, Trieste viene divisa in Zona A, occupata dagli Alleati, e Zona B, occupata dagli jugoslavi. 7. I partigiani occuparono e difesero gli impianti industriali del nord dalle rappresaglie nazifasciste. 8. Pietro Secchia (1903-1973), commissario generale delle Brigate Garibaldi, vicesegretario del Pci dal 1946 al 1954.
• le spoglie del morto ’Il Secolo d’Italia”, 25 aprile 1953 Fedele alla sua tattica compromissoria, la Democrazia Cristiana minimizza come Governo la festa partigiana del 25 aprile, incaricando il Sottosegretario Bubbio di rispondere con un fine di non ricevere alle proteste socialcomuniste; ma al tempo stesso sfrutta la ricorrenza come partito, incaricando il Ministro dell’Interno di aprire in Roma la campagna elettorale in coincidenza del 25 aprile. In questo apparente contrasto c’è tutta la Democrazia Cristiana, c’è tutta la politica del quinquennio. Ciellenista10 nell’animo , la DC si è accorta che, soprattutto in talune regioni d’Italia, il ciellenismo non rappresenta più una fruttuosa speculazione politica, e s’è tirata prudentemente indietro, dissociando il suo nome dalle manifestazioni tipicamente partigiane; ma non ha voluto né saputo staccarsene del tutto, sia perché quello è il suo vero volto, sia perché, avida di voti, essa pretende coprire tutta la gamma delle colorazioni politiche, e nel momento in cui si finge pietosa e pacificatrice con l’ex-Milite, ostenta i galloni conquistati sui campi arrossati dalle stragi fratricide. Noi siamo lieti che proprio Scelba11 apra in Roma la campagna elettorale governativa, oggi 25 aprile. è una preziosa indicazione politica. è una individuazione personale. è la conferma di tutte le nostre tesi polemiche nei confronti dell’uomo e delle sue responsabilità di Ministro. Scelba è stato sempre il Ministro del 25 aprile. Avrebbe potuto non esserlo, siciliano di origine, non mescolato a vicende politiche drammatiche e tanto meno a vicende guerresche, uomo politico pressoché ignoto fino al dopoguerra, professionista mediocre e modesto, era nelle migliori condizioni per prendere posto nella battaglia con la serenità e il distacco dell’Homo novus. Ha preferito tirarsi appresso e addosso, fin da principio, il pesante bagaglio del 25 aprile, i rancori partigiani, il fiato grave della guerra civile, le smanie persecutorie, le bili faziose, le dissennate furie. Poteva edificare le sue fortune politiche sulla pacificazione, quale solida premessa per una verace lotta antisovversiva. Poteva, quale Ministro dell’Interno rendersi benemerito verso il Paese, promuovendo la solidarietà di tutte le sane energie per la restaurazione e la difesa dell’ordine pubblico. Ha preferito rendersi benemerito verso la Democrazia Cristiana. Passerà alle cronache come il Ministro dell’Interno del 25 aprile, come il Ministro dell’Interno che, a otto anni di distanza da quel 25 aprile rifiuta ancora di restituire a quella famiglia le spoglie di quel Morto. Ma la nostra polemica anti-25 aprile non si esaurisce nella modesta persona di Mario Scelba. Va oltre e investe, fin dalle fondamenta, tutto l’edificio liberatorio. Un edificio ormai fatiscente. Doveva essere una rivoluzione, volle sembrare una insurrezione, fu appena una carneficina (...) Spogliato dai suoi occasionali orpelli, il 25 aprile appare ormai a tutti gli Italiani, compresi quelli tra i nostri avversari politici che sono in buona fede, come una data che, nel comune interesse, sarebbe bene dimenticare. Noi abbiamo infinite volte dato la prova di sapere e di voler dimenticare. Abbiamo detto - e ripetiamo - che un 25 aprile alla rovescia, che una festa degli assassinati sostituita a quella degli assassini, non è nei nostri disegni politici, e neppure nei nostri sogni. I nostri Morti chiedono pace e predicano pace. I nostri sopravvissuti chiedono giustizia e lavoro, predicano Patria. Il Governo, invece, non vuole che gli Italiani dimentichino. Il 25 aprile gli piace, così com’è, con questo spaventoso odore di sangue che si trascina appresso; con la inevitabile consonanza delle celebrazioni comuniste e di quelle democristiane. Giorgio Almirante 10. Riferito al C.L.N. cioè Comitato di Liberazione Nazionale, costituito dai sei partiti antifascisti(Partito comunista, Democrazia cristiana, Partito socialista di unità proletaria, Partito liberale, Partito d’Azione e Democrazia del lavoro). 11. Mario Scelba (1901-1991) fu Ministro dell’Interno dal 1947 al 1953.