Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 17 luglio 2006
Ora, considerate i fenomeni cosidetti paranormali, come la chiaroveggenza, la visione a distanza e la psicocinesi
• Ora, considerate i fenomeni cosidetti paranormali, come la chiaroveggenza, la visione a distanza e la psicocinesi. A prima vista tutti questi fenomeni sembrano contraddetti dalle teorie della fisica. 0, almeno, non c’è una teoria immediatamente disponibile che ne renda conto. E questo è a mio parere uno dei motivi importanti su cui si basa la negazione dei dati a sostegno di questi fenomeni.
Quali dati?, potreste chiedere. Molti scienziati negano che vi siano addirittura dei dati - affermano, cioè, che non vi sono incidenti o eventi ben documentati, ben controllati e quindi non soggetti a frode.
Eppure ci sono, in realtà, fatti ben studiati che sembrano sfidare la spiegazione scientifica, ricordiamo in particolare il caso di una famosa medium del secolo scorso, la signora Piper che fu difesa da William James, professore di psicologia a Harvard. La signora Piper fu sottoposta a intensi esami per quasi un quarto di secolo, ma nessuno scettico fu in grado di dimostrare frode o inganno.
Eppure le accuse di frode persistevano. James scrisse seccato: "Lo "scienziato" che in questo caso è certo si tratti di "frode" deve ricordarsi che nella scienza così come nella vita comune una ipotesi deve contenere qualche carattere specifico e positivo prima di poter essere discussa in modo proficuo e una frode che non sia di un qualche tipo ma sia semplicemente frode in generale, frode "in abstracto" è difficile possa essere considerata come una spiegazione davvero scientifica di specifici fatti concreti".
Riguardo ad altri scienziati che continuavano a sostenere l’ipotesi della frode ancora non smascherata, James ribadì: " Credo che non ci sia alcuna fonte di errore nell’indagine della natura che si possa paragonare a una rigida credenza che certi tipi di fenomeni sono impossibi1i".
Al di là del problema più limitato di sapere se un fenomeno isolato, quale la chiaroveggenza o la telepatia o vedere le aure, avvenga effettivamente, c’è una questione più ampia che riguarda la scienza, al presente. Mi riferisco a una certa fissità di punti di vista degli scienziati, a una certa tendenza a confondere le teorie scientifiche contemporanee con la realtà da cui traggono origine.
Jacob Bronowski, uno degli studiosi più attenti al rapporto della scienza con le altre attività umane, ci ricorda sempre che le teorie scientifiche sono artificiali: "La scienza, così come l’arte, non è una copia della natura, ma una sua ri-creazione". La scienza offre un quadro del mondo ma il quadro non va confuso con la realtà da cui proviene. Eppure tutti noi tendiamo a confondere le visioni della nostra immaginazione con la realtà. Penso che quasi tutti abbiamo guardato fuori del finestrino di un aereo in volo sugli Stati Uniti e ci siamo stupiti di non vedere le linee che separano gli stati, come compaiono sulle carte. Ricordo il mio stupore la prima volta che vidi del tessuto umano vivente al microscopio e lo trovai incolore. Mi aspettavo di vedere delle cellule rosa con il nucleo viola. Ma quei colori sono artificiali, aggiunti durante la preparazione del vetrino. In reltà le cellule non hanno colore. Certamente sapevo che era così, proprio come tutti sappiamo che non ci sono linee sul terreno che separano gli stati. Ma ce ne dimentichiamo facilmente.
Sono cresciuto nel ventesimo secolo, in una tradizione occidentale, scientifico-razionale. Sono stato educato a pensare che la visione scientifica del mondo sia quella corretta e che qualsiasi altra visione sia pura superstizione. Mi trovavo d’accordo con Bertrand Russell quando afferma: "Ciò che la scienza non ci può dire, l’umanità non lo può sapere".
Avevo avuto solo qualche esperienza incidentale che contraddiceva questo punto di vista; ma le mie esperienze successive erano andate oltre quel punto di vista scientifico-razionale. Trovo ancora utile la visione scientifica, ci ho vissuto insieme felicemente la maggior parte del tempo. Ma ora ritengo che la scienza offra un modello di realtà arbitrario e limitato. Perché la realtà è sempre più vasta - molto più vasta - di ciò che sappiamo, di ciò che ne possiamo dire. Vediamo perché, con un semplice esperimento mentale.
Pensate a una persona che conoscete bene.
Ora fate delle affermazioni corrette che descrivano quella persona.
George è un uomo di umore costante.
Ora riflettete su questa affermazione. davvero corretta?
probabile che più ci pensiate più vi verranno in mente le occasioni in cui George ha perso la calma, o era turbato o di cattivo umore per qualche ragione. Penserete alle eccezioni.
Quindi dovrete ammettere che l’affermazione non è precisa. Potreste modificarla dicendo: George è spesso un uomo di umore costante, ma così sareste soltanto evasivi. La parola "spesso" ci dice semplicemente che l’affermazione a volte è corretta e a volte no. Dato che non dice quando l’affermazione non è corretta, non ci serve molto.
Dovrete allora essere più espliciti, fare un’affermazione più stringente:
George di solito è un uomo di umore costante, tranne il lunedì se la sua squadra ha perso il giorno prima, o quando ha litigato con la moglie, o quando è stanco e suscettibile - in genere verso la fine della settimana -, ma non sempre - oppure quando il suo capo gli rende la vita difficile, o quando deve riscrivere una relazione, o quando deve partire... o quando... o quando...
Presto vi accorgerete che la vostra affermazione descrittiva si sta trasformando in un saggio. E ancora non avrete detto tutte le cose che sapete. Ancora non è completa. Potreste riempire pagine e pagine e non avreste ancora finito. In realtà è un’impresa disperata quella di cercare di fare un’affermazione esaustiva sull’umore mutevole di George. L’argomento è troppo complicato. Era destinato al fallimento sin dall’inizio.
Per cui ricominciamo da capo.
Facciarno un’affermazione diversa.
George è preciso e ordinato.
Questo è indiscutibilmente vero, penserete. George si veste sempre con cura e la sua scrivania è sempre in ordine.
Ma avete mai visto il suo tavolo da lavoro nel garage? Che caos! Arnesi sparsi dappertutto. Sua moglie non fa che ripetergli di rimettere a posto. E il bagagliaio della sua auto? C’è di tutto lì dentro e non si prende la briga di ripulirlo.
George di solito è preciso e ordinato.
A questo punto già saprete dove vi porterà questa modifica: a un altro saggio.
Facciamo quindi un’altra affermazione, che sia concisa e completa.
George ha i capelli grigi.
Ecco fatto, penserete. Ha i capelli grigi e non c’è niente da discutere.
Naturalmente, però, non tutti i suoi capelli sono grigi. La maggior parte lo sono, soprattutto sulle tempie e sulla nuca. Per cui abbiamo semplificato, in modo tuttavia accettabile. Però, se George ora ha i capelli grigi, non li aveva grigi qualche anno fa. E in futuro non saranno più grigi, saranno bianchi. Quindi questa è una descrizione precisa dei capelli di George adesso, in questo momento. Non è una descrizione universale, invariabile.
Riproviamo.
George è alto un metro e ottanta.
Ancora, ciò è vero tenendo conto dei limiti della nostra capacità di misurare. Probabilmente la sua statura sarà compresa tra un metro e settantanove e mezzo e un metro e ottanta e mezzo. E ovviamente non è sempre stato di quell’altezza. Prima era notevolmente più basso. Dunque anche questa affermazione è solo approssimativa.
George è un uomo.
Beh, sì. Ma "uomo" è poco specifico; è un termine determinato culturalmente. Alla nascita non veniva considerato un uomo. Occorre raggiungere una certa età e una certa posizione nella società per essere considerato un uomo.
George è un maschio.
Questo è indiscutibile. George è, ed è sempre stato, un maschio. Non c’è modo di contestarlo. un’affermazione vera sia ora sia nel passato. una verità eterna. una descrizione precisa della realtà di George.
Certo, per "maschio" intendiamo che ha un cromosoma X e un cromosoma Y. Ma non lo sappiamo con certezza, vero? George potrebbe avere un cromosoma in più. Potrebbe essere solo apparentemente maschio...
E così via.
Emergono due punti dall’esercizio precedente. Il primo è che ogni affermazione che facciamo su George può essere contraddetta. Perché?
Perché le nostre affermazioni su George sono solo approssimazioni, semplificazioni. La persona reale che chiamiamo George è sempre più complessa di qualsiasi affermazione che abbiamo fatto su di lui. Per cui possiamo sempre fare riferimento alla persona reale e trovarvi una contraddizione a ciò che abbiamo detto.
Il secondo punto è che le affermazioni su George più sicuramente accettate sono anche quelle meno interessanti. Non possiamo dire niente di globale sul suo umore o il suo essere ordinato o sul suo comportamento complesso. Ci troviamo in terreno molto più sicuro descrivendo le caratteristiche più semplici del suo aspetto fisico: il colore dei capelli, la statura, il sesso, e così via. In questo modo, con qualche precisazione sugli errori di misurazione e sui cambiamenti nel corso del tempo, possiamo esprimerci con sicurezza.
Ma soltanto un sarto si sentirebbe orgoglioso di questo. E ne avrebbe ben ragione. Dopo aver fatto molte prove e dopo aver sistemato i modelli durante ogni prova, il sarto sarebbe in grado di tagliare un vestito per George in sua assenza: George lo proverebbe e gli starebbe perfettamente!
Questo è un trionfo dell’arte della misurazione, ma gli abiti sono indossati da una persona che il sarto può non conoscere affatto. Né gli interessa. Non gli importa niente di altri aspetti di George. Non è il suo lavoro.
D’altra parte, ciò che interessa a noi di George non sono le sue misure. Ci interessano precisamente quegli altri aspetti che al sarto, per definizione, non importano. Per noi è molto più difficile definire quegli altri aspetti di George di quanto non sia difficile per il sarto definire le misure di George.
Il sarto può fare il suo lavoro di descrizione perfettamente. Noi, dal canto nostro, non riusciamo affatto a descrivere George.
Ora, dato che il sarto è così bravo potremmo avere la tentazione di chiedergli: "Chi è George?".
Il sarto risponderà: "George è una quarantaquattro lunga".
E se protestassimo dicendo che la sua risposta non è soddisfacente, il sarto risponderebbe di avere indubbiamente ragione lui perché potrebbe tagliare tutto un vestito che gli starebbe a pennello.
Questo in sostanza è il problema della visione scientifica della realtà. La scienza è una sorta di illustre grande sartoria, un metodo per prendere misure che descrivano qualcosa - la realtà - che potrebbe non essere capito affatto.
La scienza ci aiuta, ma fino a un certo punto. Certamente ha prodotto enormi benefici. Sarebbe folle abbandonare la scienza o negarne la validità. Ma sarebbe ugualmente folle pensare che la realtà è una quarantaquattro lunga. Eppure sembra che la società occidentale abbia fatto questo. Per centinaia di anni la scienza ha avuto tanto successo che il sarto ha preso il controllo della nostra società. La sua conoscenza sembra quindi più precisa e potente della conoscenza offerta da altre discipline, quali la storia, la psicologia o l’arte.
Ma alla fine restiamo con un fastidioso senso di vuoto riguardo alle creazioni della scienza. Possiamo arrivare a sospettare che la realtà nasconda più cose di quanto le misurazioni potranno mai rivelare.
Torniamo al problema precedente: descrivere una persona chiamata George. Quando abbiamo considerato qualcosa d’altro dalle sue misure, abbiamo trovato molto difficile fare qualsiasi affermazione su George che non potesse essere immediatamente contraddetta da altre affermazioni, ugualmente vere.
Ora, potremo insistere con questo problema ancora un po’ e continuare a cercare affermazioni incontrovertibili su George. Ma alla fine, dopo ripetuti fallimenti, arriveremmo a sospettare che non c’è modo di riuscire in questa impresa. La realtà di George continua a sfuggirci. Qualsiasi cosa noi diciamo è sbagliata.
A quel punto se qualcuno afferma: " al di là della possibilità delle parole definire l’esistenza", non suonerà tanto esoterico. Sembra essere esattamente ciò che abbiamo scoperto da soli. Tuttavia questa affermazione è stata fatta da Lao-Tzu, un mistico cinese, duemilacinquecento anni fa. Lao-Tzu insistette su questo punto, lo ripeteva sempre: "L’esistenza è infinita, non va definita".
Ma se è così, se la realtà eluderà sempre le nostre definizioni proprio come George, che possiamo fare?
Non c’è alcun bisogno di correre fuori
Per vedere meglio,
Né di scrutare fuori della finestra. Piuttosto resta
Al centro del tuo essere;
Perché più te ne allontani, meno apprendi.
Lao-Tzu sostiene che è necessario rivolgersi all’interno, verso un senso interiore di realtà, anziché all’esterno. Questa sembrerebbe una critica delle imprese accademiche e infatti altre volte è esplicito:
Abbandonate l’apprendimento raffinato. Ponete fine al fastidio
Di dire sì a questo e forse a quello,
Distinzioni di così scarso significato!
Categorico questo, categorico quello,
Che scarsa utilità hanno!
Lao-Tzu fa molte affermazioni simili che sembrano in opposizione con l’insegnamento erudito, persino con il sapere. Perché pensa così?
Quando la gente trova qualcosa di bello
pensa a qualcosa d’altro di non bello,
quando trova un uomo giusto,
ne giudica un altro non giusto.
La vita e la morte, benché nascano una dall’altra,
Sembrano in conflitto come stadi di mutamento
Difficile e facile come fasi di riuscita
Lungo e breve come misure di contrasto,
Alto e basso come gradi di relazione;
Ma poiché il variare dei toni dà musica a una voce
E ciò che è è l’era di quel che sarà
L’uomo saggio non compie nessun atto
Non pone nessuna legge
Prende tutto quel che accade come viene...
In realtà sta dicendo: Non fate distinzioni, perché ogni distinzione simultaneamente definisce il suo contrario, e in molti casi l’azione reciproca dei contrari è indivisibile, così come il variare dei toni crea la musica. Egli afferma che se ci si accosta al mondo attraverso le distinzioni, non si riuscirà mai a districare le proprie percezioni.
Il modo più sicuro per accertare se un uomo è saggio
se accetta la vita intera, così com’è,
Senza aver bisogno con le misure o il toccare di capire
L’origine incommensurabile e intoccabile
Delle sue immagini...
L’atteggiamento di Lao-Tzu rappresenta un modo di affrontare il fatto che qualsiasi cosa diciamo sulla realtà è inevitabilmente sbagliata o incompleta. Lao-Tzu afferma che si deve "accettare la vita intera, così com’è, senza aver bisogno... di capire".
Questo in un certo senso è un atteggiamento antirazionale e certamente antintellettuale. Tuttavia è un altro punto di vista, chiaro e coerente. Potrebbe non soddisfare tutti i gusti, però siamo costretti a riconoscere che è una soluzione vera di un problema vero.
(continua...)
• Ai suoi tempi Jacob Bronowski si impegnò notevolmente quando dovette rivolgersi a un pubblico prevalentemente umanistico per persuaderlo a fare attenzione alla scienza individuando collegamenti tra studi umanistici e scientifici. Trent’anni dopo l’ago della bilancia si è spostato dall’altra parte. A me pare che ora occorra ricordare agli scienziati le somiglianze tra le loro attività e quelle di altri uomini, e che soprattutto occorra ricordare loro che il metodo razionale, scientifico, riduttivo, non è la sola strada alla verità che ci serve.
Trovo che questo sia il pregiudizio più sorprendente tra gli scienziati che conosco. Il mio amico Marvin Minsky, in un libro recente, parla in modo molto critico degli stati mistici. Trova questi stati "sinistri" e parla di "vittime di questi incidenti". Esprime così le sue opinioni: "Si può acquisire la certezza solo con l’amputazione dell’indagine... Offrire ospitalità al paradosso è come sporgersi verso un precipizio. Puoi scoprire com’è cadendoci dentro, ma potresti non riuscire a caderne fuori. Una volta che la contraddizione si installa, poche menti riescono a respingere la forza - distruttrice dell’intelligenza - degli slogan quali "tutto è uno"".
Ancora più apertamente Stephen Hawking sostiene che il misticismo "è un ripiego. Se trovi troppo difficili la fisica teorica e la matematica, ti rivolgi al misticismo".
Tali affermazioni, in linea generale, concordano con il commento di Asimov per il quale l’intuizione è per coloro che "si sono persi d’animo". Hawking si spinge più lontano, implicando che il misticismo è un procedimento per coloro che non sono abbastanza svegli per fare fisica.
lo non sono d’accordo con questo atteggiamento. Forse il modo più semplice per affermare la mia obiezione è questo: non trovo il contenuto della fisica sufficiente a spiegare il comportamento degli stessi fisici.
Da dove nasce la credenza dei fisici nella coerenza, nell’unificazione? Questa credenza è così forte che uomini e donne dedicano la loro vita a provare la sua esistenza. Eppure non è visibile al mondo. Davanti a noi vediamo un mondo di oggetti ed eventi apparentemente disuniti. L’unità sottostante è qualcosa che cerchiamo e troviamo. Dando per scontato che la percezione scientifica dell’unità non è la stessa della percezione mistica dell’unità, resta comunque una domanda: che cosa spinge uno scienziato a cercare l’unità? , forse solo una questione di riordino della matematica? Gli scienziati credono davvero che gli interessi puramente formali sono sufficienti a farli lavorare instancabilmente, anno dopo anno? La scienza è un sistema completamente auto referente per cui creare connessioni interne tra teorie è l’unica forza motivante?
Credo di no. Immagino che gli scienziati siano spinti dall’idea che il mondo là fuori - la realtà - contenga un ordine nascosto, e lo scienziato cerchi di spiegare l’ordine nascosto nella realtà. E quell’impulso è ciò che lo scienziato ha in comune con il mistico. L’impulso di arrivare al fondo delle cose. Di sapere come il mondo funziona veramente. Di conoscere la natura della realtà.
Un premio Nobel per la fisica scrisse:
Desideravo davvero imparare per un motivo che non confidavo a nessuno: volevo esprimere l’emozione che provo davanti alla bellezza del mondo. difficile metterla in parole, proprio perché è un’emozione. simile al sentimento religioso di chi crede in un dio che controlli ogni cosa nell’universo. un senso di globalità al pensiero che fenomeni e comportamenti apparentemente così diversi siano tutti mossi, dietro le quinte, da una stessa organizzazione, dalle stesse leggi fisiche. tener conto della bellezza matematica della natura, di come operi all’interno, è capire che percepiamo fenomeni originati dalla complessità dell’interazione degli atomi. Uno spettacolo inebriante! Suscita un timore - una reverenza scientifica - che secondo me si può comunicare, ad altri che l’abbiano sperimentato, attraverso un quadro, un dipinto che evochi la stessa emozione, ricordì per un attimo la magnificenza dell’universo. Alcuni di voi avranno riconosciuto l’autore: Richard Feynman, un membro eminente del Cal Tech. Cìto il brano perché mi pare che a grandi linee esprima esattamente il tipo di visione unificata che altri scienziati denigrano. E anche perché, provenendo da un autore tra i più autorevoli e i meno pedanti, l’affermazione è decisamente credibile: Feynman afferma che la sua emozione è "simile al sentimento religioso". un apprezzamento solo della bellezza matematica della natura. E il timore è espressamente una reverenza scientifica, come se la reverenza scientifica fosse in qualche modo diversa dalla reverenza normale.
Questa mi colpisce come un’espressione stranamente cauta di ciò che è secondo me un’emozione umana pressoché universale.
Parlando della carriera artistica di Feynman, vale la pena di menzionare una delle scoperte che fece in seguito. Poco tempo dopo aver cominciato a disegnare egli visitò la Cappella Sistina. Non aveva portato con sé la guida quindi si limitò ad osservare i dipinti. Alcuni gli parvero bellissimi e altri veramente brutti. Tornato in albergo scoprì che il suo giudizio dei dipinti collimava con quello della guida,
Ero al settimo cielo: senza poter esprimere perché, ero capace di distinguere tra un capolavoro e un dipinto qualunque! Come scienziato, uno pensa sempre di saper razionalmente quello che fa, e tende a non aver fiducia nell’artista che dice "magnifico" o "non vale niente", senza dare spiegazioni convincenti... Ora però ero distrutto, era capitato anche a me.
Perché afferma di essere distrutto? Che cosa significa essere distrutto?
Nel corso del libro Feynman scarta tranquillamente molti campi di attività che non sono la fisica. un uomo dal rigore matematico, quindi trova di scarso interesse la filosofia o l’arte o la psicologia. Questi campi non hanno senso per lui; gli addetti "non sanno di che cosa stanno parlando". Eppure nella Cappella Sistina ha provato qualcosa che distrugge la sua concezione degli altri campi. Egli ha acquistato, semplicemente facendo arte egli stesso, l’abilità di avere delle percezioni sull’arte che concordano con le percezioni formali e codificate della storia dell’arte.
Feynman non analizza ulteriormente questo notevole episodio, benché vi sia chiaramente altro da dire. Da un lato la sua esperienza sembra implicare che, benché egli non cerchi di portare i suoi criteri critici alla coscienza, ciononostante i criteri esistono. Devono esistere, altrimenti non potrebbe mai essere d’accordo con quanto dice la guida. Dall’altro, i criteri non sono arbitrari o accademici, dato che Feynman è in grado di formulare quei criteri semplicemente attraverso l’esperienza di dipingere. I criteri della storia dell’arte devono certamente avere qualcosa a che fare con l’attività del fare arte. C’è un rigore alla base della storia dell’arte che Feynman ha dimostrato riproducendone le conclusioni.
Mi dilungo su questo perché mi sembra un esempio di una situazione in cui uno scienziato particolarmente brillante, a confronto dei dati, ammettendo i dati, tuttavia non li porta alle ovvie conclusioni: c’è altrettanto rigore nell’arte di quanto ce n’è nella scienza. Potrà essere un tipo di rigore diverso, ma è comunque rigore.
Quando un artista come Jasper Johns afferma: " Sto solo cercando di trovare un modo di fare quadri", lo intende esattamente allo stesso modo in cui lo intende il fisico quando afferma, "sto solo cercando di trovare un modo di fare fisica". Come lo scienziato, l’artista deve costruire sull’opera dei suoi predecessori. Un artista può sentirsi intimidito dall’opera dei suoi predecessori, proprio come uno scienziato.
Quindi se uno scienziato scarta l’arte come un tipo di attività senza forma in cui "va bene tutto", significa soltanto che lo scienziato non capisce l’attività del fare arte. Non capisce cio che scarta. Lo scienziato possiede solo il suo modello di che cos’è l’attività dell’arte, e il suo modello è sbagliato: non è informato e non collima con i dati.
La disinformazione degli scienziati riguardo al lavoro reale dei non scienziati mi sembra raggiunga il massimo quando gli scienziati prendono in considerazione gli stati di meditazione, le alterazioni della coscienza e i discussi fenomeni paranormali. Se non hai mai sperimentato queste cose personalmente, troverai ovviamente le descrizioni assurde. Perché queste esperienze sono diverse dalle esperienze della coscienza normale. Non c’è nessun mistero qui, e sicuramente non c’è niente di sinistro. solo diverso. un altro tipo di coscienza.
Ho conosciuto un prodigio del calcolo e nell’osservarlo non riuscivo a capire come facesse; fui semplicemente costretto, dopo aver controllato un po’ di volte, ad accettare che potesse farlo. Conosco un regista che ha una memoria fotografica, ma è una persona piuttosto noiosa, pronta a tenere lezioni improvvisate e dettagliate su ogni genere di argomento. Tutto quel che ho imparato è di non discutere mai con lui di qualche fatto oscuro perché ha immancabilmente ragione. Ma non riuscivo a capire come facesse, anche lui.
Lo stesso mi succede con le persone con delle capacità paranormali. Esse sono capaci di fare delle cose che io non so fare. Per loro questa capacità è normale e sul piatto della bilancia ha i suoi pro e contro.
Gli scettici dicono spesso che se il comportamento paranormale fosse reale, allora i veggenti giocherebbero in borsa o alle corse dei cavalli. Per la mia esperienza molti lo fanno. Esiste, in realtà, una sorta di livello di attività segreto in cui i veggenti sono consultati dalle multinazionali. La gente si imbarazza ad ammettere l’esistenza di questa attività, tuttavia avviene, proprio come ci si aspetterebbe.
E vorrei ricordarvi che non c’è ragione perché il comportamento paranormale non debba esistere. Di nuovo, il grande buon senso del dott. Bronowski:
Nella scienza... il processo della previsione è conscio e razionale. Persino negli esseri umani questo non è il solo tipo di previsione. Gli uomini hanno solide intuizioni che certamente non sono state analizzate e suddivise in passaggi razionali, e alcune di esse non lo saranno mai. Può essere, ad esempio, come spesso si sostiene, che la maggior parte delle persone siano un po’ più brave a indovinare una carta e altre persone siano molto più brave di quanto non sarebbe una macchina che si limiterebbe a scegliere le sue risposte a caso. Ciò non sarebbe sorprendente... Sicuramente l’evoluzione ci ha selezionati rapidamente perché possediamo il dono della previsione più degli altri animali... L’intelligenza razionale è uno di questi doni ed è, in fondo, altrettanto notevole e altrettanto inspiegata. E quando l’intelligenza razionale si rivolge al futuro, e fa deduzioni da esperienze passate a un domani sconosciuto, il suo processo è... un grande mistero...
Per tornare al nostro punto originario, l’esperienza di queste altre forme di coscienza a me sembra normale, quasi banale. Queste forme diverse di coscienza - siano esse doti innate o procedimenti appresi con l’addestramento - ci portano ad altre forme di sapere, e ad altre percezioni dell’ordine sottostante nel mondo intorno a noi. Non sono percezioni matematiche, ma sono comunque percezioni. Prima di scartarle subito come frodi o fantasie, mi sembra utile averne esperienza di prima mano. Se non siete disposti ad averne esperienza di prima mano, vi esponete alla critica di scartare ciò che non capite.
E ridurrete la vostra esperienza della realtà.
Perché, come ho detto, la percezione scientifica della realtà non è la realtà stessa. Anche la legge scientifica più potente non è una descrizione completa della realtà. C’è sempre qualcosa ancora da sapere.
Ritengo sia importante essere molto chiari su questo. Feynman, che stimo molto, riguardo alle persone non scientifiche, afferma: "essi non comprendono il mondo in cui vivono". Sembra che sia una delle sue espressioni preferite; la ripeté spesso nel corso dell’inchiesta sul disastro dello shuttle.
Ma siamo chiari: nessuno capisce il mondo in cui vive. Né io, né te, né Richard Feynman. Potremmo ciascuno capirne una parte, un aspetto del tutto, ma la realtà in senso completo e onnicomprensivo sfugge alle descrizioni.
Se altri modi di conoscere sono interiori, soggettivi e intrinsecamente non verificabili, ciò non li rende necessariamente meno interessanti o meno utili.
Le persone che trovano che i numeri siano estranei alla loro natura non sono emarginate; diseredati, ignoranti disprezzati che non sanno come risolvere equazioni differenziali e quindi viene loro negato l’accesso alla verità matematica rivelata.
Perché la sola scienza non è sufficiente.
Lo scienziato ortodosso si sente spesso a disagio di fronte a un pubblico che crede nel creazionismo e nei fenomeni paranormali. Lo scienziato vede un mondo bello e complesso, una sfida del tutto soddisfacente al suo approccio razionale. Perché, egli si chiede, c’è chi non è soddisfatto di questa visione del mondo?
Perché la scienza non è sufficiente?
La risposta più semplice è che, benché la scienza sia un processo di indagine estremamente potente essa non ci dice quello che veramente vogliamo sapere. Max Planck disse: "Da dove vengo e dove sto andando? Questa è la grande domanda senza risposta, la stessa per ognuno di noi. La scienza non ha una risposta ".
Una delle ragioni di ciò è che la scienza non ci può dire perché le cose accadono. Feynman, in una lezione divulgativa sull’elettrodinamica quantistica, afferma: "Mentre vi descrivo come funziona la Natura, voi non capirete perché la Natura funziona così. Ma nessuno lo capisce. lo non so spiegare perché la Natura si comporta in questo modo specifico".`
Questo è vero ma trascura il fatto che, sebbene la conoscenza di come funzionino le cose sia sufficiente a consentire il nostro intervento sulla natura, ciò che gli esseri umani desiderano realmente sapere è perché le cose funzionino. I bambini non chiedono come faccia il cielo a essere blu: chiedono perché è blu.
Probabilmente Feymnan avrebbe detto che questa domanda non ha significato. E infatti per il pensiero scientifico moderno non ne ha. Ma non è ovvio che questo stato di cose continui indefinitamente. Il fisicoJohn Bell osservò:
I padri fondatori della fisica quantistica erano piuttosto orgogliosi di aver rinunciato all’idea di spiegazione. Erano molto fieri di occuparsi soltanto di fenomeni: rifiutavano di guardare al di là dei fenomeni, considerando questo il prezzo che si doveva pagare per venire a patti con la natura. un fatto storico che chi assunse questo atteggiamento agnostico verso il mondo reale a livello di microfisica ebbe grandi successi. Allora sembrava una buona cosa da fare, ma non credo che lo sarà indefinitamente.`
Intanto, però, un matematico nota che " il problema del perché è quasi ignorato dai fisici che enfatizzano soprattutto il come... La metafisica del cosmo è data in termini di matematica pura. Si afferma che essa sia assolutamente priva di obbiettivi o scopi: la realtà della cosmologia contemporanea è una realtà matematica".
Ma questa realtà matematica è sostanzialmente arbitraria, e questa percezione di un universo privo di scopi ha dei costi precisi. La scienza moderna presenta i suoi modelli matematici come un trionfo della ragione, ma come osserva Hannah Arendt: "I tempi moderni, dominati dalla tecnologia, sono caratterizzati precisamente dal fatto che la ragione, nel senso di una comprensione contemplativa innata e autorivelantesi, è perduta, ed è sostituita da una distaccata (tecnologia), impegnata attivamente nella teoria della matematica pura e applicazioni alla fisica".
Per me non c’è niente di sbagliato in una percezione matematica della realtà sempre che non si consenta a quella percezione di prevalere. Perché, come esseri umani, che viviamo la nostra vita, che prendiamo decisioni riguardo a noi stessi e alla società, dobbiamo trovare un significato. E quel significato deve essere ampiamente fondato.
Un matematico afferma:
Sono consapevole degli ingredienti con i quali si crea il significato... l’amore e il linguaggio, il mito, il pensiero razionale e l’impulso irrazionale, le istituzioni umane, la legge, la storia, il dovere, il rito, la fede religiosa, il senso mistico, trascendentale allegorico ed estetico, il gioco, il mondo come un rompicapo, il mondo come un palcoscenico, la contemplazione della vita e della morte, le necessità imposte dalla fisica e dalla biologia, tutti questi e centinaia di altri ancora sono sentieri che portano al significato?
Forse è per questo che Einstein una volta disse: "L’umanità ha tutte le ragioni di collocare i sostenitori di alti valori e standard morali al di sopra degli scopritori di verità obbiettive. Ciò che l’umanità deve a personalità come Budda, Mosè e Gesù secondo me è molto di più che tutti i risultati della mente che indaga e costruisce".
Il fatto è che abbiamo bisogno delle intuizioni del mistico come delle intuizioni dello scienziato. L’umanità è sfavorita quando manca una delle due. Carl Jung disse:
La natura della psiche penetra in luoghi oscuri ben al di là della nostra comprensione. Contiene altrettanti enigmi di quanti ne contiene l’universo con i suoi sistemi galattici, davanti alle cui configurazioni grandiose solo una mente priva di fantasia non ammetterà la propria insufficienza... Se quindi per le esigenze del suo cuore, o in accordo con l’antico insegnamento della saggezza umana, o per il rispetto del fatto psicologico che le percezioni "telepatiche" avvengono, chiunque dovesse giungere alla conclusione che la psiche, nei suoi domini più profondi, partecipa di un tipo di esistenza al di là del tempo e dello spazio... allora la ragione critica non potrebbe controbattere che con l’argomento del "non liquet" della scienza. Inoltre, avrebbe il vantaggio inestimabile di conformarsi a una tendenza della psiche umana che è esistita da tempo immemorabile ed è universale. Chiunque non tragga questa conclusione, per scetticismo, mancanza di coraggio, esperienza psicologica inappropriata, o ignoranza avventata... ha invece la certezza indubitabile di entrare in conflitto con la verità del suo sangue... L’allontanarsi dalle verità del sangue genera inquetudine nevrotica... L’inquietudine genera l’insensatezza e la mancanza di significato nella vita è una malattia dell’anima, la cui piena estensione e piena portata la nostra era non ha ancora cominciato a comprendere."
Molte grazie.
Bene, questo era il mio discorso per gli scettici di Pasadena.
Siccome non sono mai stato invitato, non l’ho mai pronunciato.
(fine)