Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 27 dicembre 1999
Il piccolo Giorgio, il bambino che non parlava mai, «sembrava dormire» sul letto di rami e foglie ghiacciate del fiume
• Il piccolo Giorgio, il bambino che non parlava mai, «sembrava dormire» sul letto di rami e foglie ghiacciate del fiume. Non aveva più «solo il cappellino», i vestiti blu erano incollati addosso, tutti bagnati, e l’acqua del Chiese l’aveva come pulito, lasciandogli solo un segnetto sulla fronte. Sua mamma l’ha ucciso, scaraventandolo nel fiume. Poi ha recitato la disperazione di un sequestro, e forse sperava che non riemergesse mai più, che il bimbo finisse nella ruota che macina i rifiuti che scendono a valle. Ma il piccolino s’è adagiato ed «è rimasto bello» anche nella sua morte, ieri mattina alle 7.10, quando è stato trovato, quando l’urlo rauco del padre, chiamato per il riconoscimento, ha gelato i carabinieri.
Aveva appena tre anni, Giorgio Panizzolo, compiuti da poco, e non si capisce se il suo ritardo nella parola nascondesse qualche forma di handicap. La mamma non ha atteso diagnosi certe, le è bastato questo «non essere normale» del figlio tanto atteso, e cercato, a convincerla. Era stato visitato da un neuropsichiatra, ma la suora dell’asilo esclude «categoricamente forme di autismo, lui giocava con gli altri bambini». Non parlava, è vero, ma era «buono e allegro», anzi le sorelline più grandi «stravedevano per lui». Ed era proprio «un bambinello che si faceva voler bene». Anzi, aggiungono tutti in paese, «la mamma lo curava tanto, era sempre a posto».
E allora perché? [...] Si scopre oggi che mamma Marisa ci aveva provato già altre due volte, a lasciarlo solo, lontano dalla casa perfetta, dalla famiglia perfetta, abbandonandolo una volta in un campo, una volta in un fosso, quando l’avevano riportato a casa due albanesi. Non era fuggito lui, come avevano pensato in famiglia, era stata lei a mollarlo.
• «Signora, ce lo dica: dove ha messo suo figlio?». Erano passate da poco le dieci di venerdì sera quando la domanda di un colonnello dei carabinieri è arrivata come una fucilata su questa donna chiusa, forte, di 36 anni. Lei ha abbassato gli occhi, e non ha risposto. Ha piegato la testa proprio come aveva fatto anni fa quando aveva saputo che sua madre si era suicidata buttandosi nel fiume. Lo stesso fiume dove lei ha lasciato cadere il suo bambino.
«Parli signora», ha ripetuto l’investigatore nella casa dove ogni soprammobile ha il suo posto, mamma Marisa ha compreso in quel momento che il suo alibi, il giallo che aveva inventato e studiato si andava dissolvendo. Ha continuato però a confondersi e a confondere, finché uno dei tanti dettagli della sua messa in scena, l’oggetto più legato al suo piccolo, lo zainetto con pannolini e fazzolettini sterili, è riapparso dalla notte e l’ha fatta crollare. «Sì, sono stata io, l’ho lasciato lì, Giorgio, accanto al cassonetto», ha tentato di difendersi, e c’è voluto ancora del tempo perché tra le lacrime e un groppo alla gola che pareva soffocarla ammettesse: «Non l’ho abbandonato, l’ho fatto cadere nel fiume...», dov’è morto subito - stabilirà l’autopsia - per il gran freddo, praticamente senza acqua nei polmoni. «Sarà durata un minuto ma ha patito le pene dell’inferno», aggiunge il procuratore capo.
• Gli ultimi movimenti di mamma Marisa sono di una chiarezza quasi insopportabile. Venerdì alle 12.30 va a prendere Giorgio all’asilo. Apprende che per Natale ci sarà una messa con recita: i più grandi sono in scena, i più piccoli devono solo fare movimenti. Tutto avverrà in chiesa, davanti al paese. E il piccolo Giorgio che figura farà? Si pranza tutti insieme, nel pomeriggio si esce: sistema Giorgio nel sediolino, accompagna la figlia più grande al bus per la piscina e sparisce nella serata nebbiosa, ricomparendo alle 17.50 nel grande negozio di fiori del paese, in via del cimitero. Dice alla proprietaria di preparare la confezione, intanto lei va a vedere il bambino, l’ha lasciato «un attimo», spiega, nell’auto station-wagon.
Ma la porta a vetri si spalanca: «Non c’è più!, è sparito!», grida, e poco dopo dalla piccola caserma di Calcinato scatta l’allarme generale: un bambino è stato rapito la famiglia non è ricca, sono artigiani, lucidano peltro, di estorsione non si può parlare. C’è però la paura del maniaco, o di un rapimento occasionale.
• Marisa assiste ai controlli sull’auto, accompagna magistrati e detective a casa sua, per prendere le foto che vengono trasmesse a tv e giornali. Li sente avvisare i valichi di frontiera, organizzare posti di blocco. Vede suo marito Roberto Panizzolo terrorizzato, le sue figlie Paola, tredicenne in terza media, e Rossana, undicenne, spaventatissime. E tace. Partono i soccorsi, i blitz nei campi nomadi. E lei comincia a perdere il filo dei ragionamenti: qualche parente racconta che «sì, lei aveva detto che da una settimana qualcuno la seguiva...», e Marisa dice che sì, è vero, la si scusi ma s’ è proprio dimenticata di dirlo agli investigatori. Si sente addosso le occhiate incerte di chi indaga.
Ma regge, resiste finché, a mezzanotte e mezza, i fantasmi si materializzano nello squillo di un telefonino, quello del colonnello Mauro Valentini. Una signora di Ponte San Marco, un paesino confinante, ha letto sul televideo la notizia del bambino scomparso e ha visto un piccolo zainetto, sistemato vicino a un cassonetto in riva al fiume Chiese, in una zona buia, accanto alle fabbrichette, accanto al ponticello sfondato dagli incidenti. E quando l’ha visto? La testimone è sicura: «Alle 17.30. Lo so perché mio padre ha voluto sapere come mai avessi tardato...».
Se dunque lo zainetto del piccolo Giorgio era accanto al fiume già alle 17.30, come ha fatto il bimbo a sparire dall’auto dieci minuti prima delle 18? Marisa non solleva più la faccia, viene portata, coperta da un cappotto di piumino, accanto al cassonetto. Non batte ciglio, non piange, ma piano piano la sua anestesia al dolore finisce, crolla, e quando entra in carcere chiede delle figlie, e vuole abiti pesanti. Ha freddo anche lei, tanto, troppo freddo. E non ha nemmeno dato un bacio a Giorgio, prima di buttarlo giù dal ponte, nell’acqua veloce e nera, e ora, come dice il suo avvocato è in un «muro di lacrime».