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 1999  dicembre 13 Lunedì calendario

Ho sedici anni di servizio sulle spalle, il mio grado è appuntato scelto, lavoro alla polizia giudiziaria di Torino

• Ho sedici anni di servizio sulle spalle, il mio grado è appuntato scelto, lavoro alla polizia giudiziaria di Torino. Guadagno due milioni 200 mila lire. Non c’è da scialare». Giuseppe Ferrauto è un appuntato dell’Arma. Accetta di parlare di un argomento che viola clamorosamente la sua privacy perché in questo momento è anche un delegato dei Cocer e tutela gli interessi di tutti gli appuntati d’Italia. Appuntato Ferrauto, lei ha famiglia? «No, per fortuna. Perché lei capisce che, con uno stipendio di due milioni e rotti, e pagati l’affitto dell’appartamento e le bollette, mi resta ben poco. Vedo certi colleghi con i figli che sono costretti a fare i salti mortali per arrivare a fine mese. Io mi permetto anche qualche lusso come il cellulare». Ma l’Arma non vi dà tutto, dalla casa al vitto all’abbigliamento? «Magari. La casa, come ho detto, me la pago. E per fortuna che vivo a Torino e lì si trovano affitti abbastanza bassi. A Roma la situazione è grottesca, i carabinieri sono stati espulsi dal mercato: una casa costa almeno 1 milione e duecentomila lire. Chi se la può permettere? Così fanno tutti i pendolari. D’altra parte per regolamento il carabiniere deve lavorare lontano dalla sua città. Cioè niente casa di famiglia. E niente nonni a cui lasciare i bambini. Sono tutti costi. anche per questo che chiediamo la famosa specificità». E il resto, i pranzi e i vestiti? «Mangio alla mensa, ma solo il pranzo e non la cena. Lo Stato mi passa poi la divisa. Ma siccome io lavoro in abiti borghesi, allora ogni due anni l’Arma ci fornisce un vestito. una distribuzione un po’ ridicola. Quando arriva un certo avviso, una volta si corre a Asti, un’altra a Cuneo. Dipende da quale ditta ha vinto l’appalto. Tutti noi carabinieri in borghese a un certo punto ci mettiamo in macchina, attraversiamo mezza regione e portiamo via il famoso abito. Quasi sempre una delusione: tralasciamo il giudizio sulla qualità e sul taglio. Finisce ovviamente che uso il mio, di vestiario. Ah, dimenticavo, le scarpe in tanti anni non le hanno mai date».
• Certo che per voi carabinieri lo Stato non prevede una dolce vita. «Direi proprio di no. Non sto a raccontare poi i pericoli. O anche solo il freddo di chi passa l’intera notte in strada a piantonare un palazzo o un qualsiasi obiettivo. Comunque quello è il nostro lavoro e lo facciamo. Però non si può negare che ci sia una certa demotivazione in giro. Prendiamo la carriera». Ci dica il suo caso. «Io, a 32 anni, sono ormai arrivato all’apice della mia categoria. Sono appuntato scelto e tale resterò per i prossimi trenta anni a meno di non vincere un concorso interno. Il passo successivo, lo chiamerei ”passetto”, di diventare vicebrigadiere non è facile. E così se ne vanno anche motivazione e voglia. Da vicebrigadiere, e poi per diventare maresciallo sarebbe un altro concorso, quantomeno sarei ufficiale di polizia giudiziaria, farei un corso di qualificazione, avrei un ruolo più ampio. Insomma, avrei una prospettiva di carriera». Quando Fini vi ha ricevuto, e ha fatto quella battuta su voi ”servi dello Stato più che servitori”, lei che cos’ha pensato? «Ma che domande mi fa? Vuole farmi passare un guaio con i miei superiori? No, di politica meglio non parlare. Diciamo che è chiaro che toccava corde molto sensibili. Non è un mistero che chiediamo riconoscimenti. Dico, siamo l’istituzione più amata degli italiani! Però quando accade un incidente stradale, per noi militari scatta come prima cosa il procedimento disciplinare. A differenza di qualsiasi altro dipendente privato o dello Stato, noi finiamo davanti al tribunale militare. Poi si vede chi ha torto o ragione». Vi sentite bistrattati, lo ammetta. «I giudizi dateli voi. Io dico che l’appuntato Ferrauto lavora da contratto 37 ore a settimana, tutti i giorni dalle 8 alle 16. E che di straordinario ci vengono riconosciute la bellezza di 7 ore al mese. Il resto, che c’è, perché nessuno di noi smette la divisa e se ne va al cinema, è tutto regalo allo Stato». Quando vi hanno spiegato che l’aumento non è di 18 mila lire, ma di 40 mila, che cosa ha pensato? «Ti viene di pensare: io questo lavoro lo faccio perché ci credo, la sicurezza ai cittadini la garantisco e non sto a guardare l’orario, però, per la miseria, a motivarci non ci pensano proprio».
• Non è neccessario andare fino in Russia, per trovare soldati e ufficiali ridotti in povertà. Basta farsi un giro per le caserme italiane. Al ministero della Difesa lo si dice sottovoce per la vergogna, ma ci sono ”loro” uomini che vestono la divisa e che a fine mese, oltre allo stipendio dello Stato, ritirano un sussidio di povertà. Il maresciallo degli alpini G. F. è uno di questi. Quarantuno anni, orgoglioso del lavoro in grigioverde e con la penna nera, la sua famiglia vive grazie a un’indennità di indigenza che gli riconosce la provincia di Bolzano. Maresciallo, quale è il suo incarico? «Attualmente lavoro in ufficio. Fino a cinque anni fa mi sono occupato di ponti radio. In tempi normali curavo le telecomunicazioni dell’esercito. In esercitazione montavo le trasmissioni radio dei reparti in montagna». Quanto guadagna? «Il mio reddito, per essere esatto leggo la dichiarazione dell’anno scorso, è di 44 milioni e 246 mila lire. Lorde naturalmente. Se volete sapere il netto, dico subito che quando prendo gli straordinari arrivo a uno stipendio mensile di 1 milione e 900 mila lire. Ci viviamo in quattro: io, mia moglie che non lavora e due figli minorenni che studiano». E con questo stipendio la sua famiglia ce la fa a arrivare a fine mese? «A stento. Qualche volta non ce la facciamo e andiamo in rosso. Così qualche anno fa sono andato all’Ipea, che è l’istituto per l’edilizia agevolata della provincia di Bolzano, e ho chiesto un contributo d’affitto per far fronte alla spesa della casa. Me l’hanno concesso nel 1997. Adesso abito in un appartamento del demanio militare, lo chiamano Ast, alloggi di servizio temporanei, e pago 402 mila lire di affitto allo Stato. Per fortuna ricevo dalla provincia un contributo di 139 mila tutti i mesi».
• Scusi, maresciallo, con che animo passa a ritirare il contributo? «Con il morale sotto i tacchi, è chiaro. Noi militari qui siamo dei poverelli. Per la provincia di Bolzano, ormai, siamo certificati come poveri cristi. Non sarà bello. Ma così possiamo campare. Ci rimborsano anche le spese del dentista. Come tutti i cittadini di Bolzano, andiamo all’Usl con la fattura del dentista e chiediamo il rimborso. Loro decidono. Naturalmente dipende dal reddito. Ma a me, sottufficiale degli alpini, con lo stipendio che mi passa la Difesa, chissà come mai, mi rimborsano sempre tutto integralmente. Una bella fortuna! L’anno scorso, ho speso due milioni e mezzo di apparecchio per i denti di mia figlia che l’Usl di Bolzano mi ha restituito fino all’ultima lira». Si considera un poverello, dunque? «Perché, come mi dovrei definire? Dobbiamo affrontare queste spese altissime, lo stipendio è modesto, e loro, dico la provincia di Bolzano, almeno ci danno qualcosa».
• Voi sottufficiali, ma il discorso pare interessare anche degli ufficiali, insomma, siete finiti sotto la soglia di povertà. «Non so esattamente quant’è questa soglia. Credo che nella provincia di Bolzano il minimo vitale sia un reddito di un milione e mezzo. Io guadagno 1,8 o 1,9 al mese. Pago 400 mila di affitto. Fate voi il calcolo di quanto resta alla mia famiglia. Sfido che quando chiedo un sussidio o un rimborso alla provincia me lo danno sempre!». Ma quanti sarete, voi militari, a beneficiare a Bolzano del sussidio? «Mi risulta che siamo in tanti. Lei capisce, da queste parti c’è una bella concentrazione di militari in servizio. E i problemi sono comuni per chiunque di noi abbia una famiglia a carico. Ce la fanno meglio quelli che vivono soli». Anche per lei, prima di sposarsi, andava bene? «Naturale. Vivevo in caserma, dovevo solo dare un contributo per la mensa, il resto dello stipendio era tutto per me. Ma nel momento in cui ti sposi, e vai a vivere in un appartamento fuori, allora si scopre quanto costa davvero la vita. E guardi che a Bolzano e provincia il costo della vita è altissimo. D’altra parte io sono un alpino. Dove devo abitare?». Ma perché lei, due anni fa, ha deciso di fare il grande passo, ingoiare l’umiliazione e chiedere l’indennità? «Fu quando, di colpo, l’affitto della casa demaniale che ci avevano assegnato balzò da 120 mila a 700 mila lire. Noi sottufficiali restammo senza fiato. Abbiamo fatto ricorsi al Tar, e abbiamo anche perso, però poi l’affitto è calato con un escamotage: anziché l’equo canone ci applicano il canone equo. Hanno invertito le parole e l’affitto è sceso a 400 mila lire. Stiamo ancora pagando gli arretrati per quell’anno in cui l’affitto fu di 700 mila. Stringo la cinghia aspettando di finire le rate».