Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 1999  settembre 13 Lunedì calendario

Dall’America che vent’anni or sono lanciò nel mondo la ”rivoluzione fiscale” di Reagan arriva adesso il segnale shock della ”controrivoluzione”

• Dall’America che vent’anni or sono lanciò nel mondo la ”rivoluzione fiscale” di Reagan arriva adesso il segnale shock della ”controrivoluzione”. Mentre le nazioni degli Stati Uniti d’Europa sono ancora impantanate, con una generazione di ritardo sugli Stati Uniti d’America, nel dilemma tra fisco e stato sociale, il pubblico americano imbocca la strada opposta: rifiuta addirittura un assegno da 792 miliardi di dollari - circa un milione e cinquecentomila miliardi di lire - che il suo Parlamento vorrebbe regalargli sotto forma di drastici tagli alle tasse sul reddito e chiede che quei soldi vengano spesi invece per scuole, sanità, pensioni, assistenza, per quel che resta del Welfare State. Non è un refuso di stampa, né un’invenzione giornalistica di fine estate. soltanto la conferma che in una democrazia matura, gli elettori sono spesso più avanti, e spesso più responsabili, di chi li governa.
• Lo shock d’autunno che ha colto in contropiede il Congresso americano al suo ritorno in aula ieri dopo le vacanze, è, visto dall’Italia, la classica storia alla rovescia, il caso esemplare dell’’uomo che morde il cane”. Prima della chiusura per ferie, in giugno, la maggioranza repubblicana che controlla le due Camere del Parlamento Usa a Washington aveva preparato la proposta di bilancio per il prossimo anno fiscale, la ”finanziaria” da approvare entro il primo ottobre, con gli occhi ben fissi sulle elezioni politiche e presidenziali dell’anno Duemila. E poiché da vent’anni la legge dei sondaggi dice che vince sempre chi promette meno tasse, i repubblicani avevano creduto di fare il loro dovere elettorale. Di fronte a una previsione - per noi italiani semplicemente fantascientifica - che indica in 3 trilioni di dollari (sei milioni di miliardi di lire) l’attivo del bilancio federale nella decade 2000-2009, deputati e senatori avevano deciso di restituire ai contribuenti quasi un terzo di quel ”profitto”, appunto 729 miliardi di dollari, aspettandosi in cambio la gratitudine, e quindi i voti, dei cittadini.
• Sorpresa, sorpresa. Sondaggio dopo sondaggio, a grande maggioranza, dalle comunità dei ”farmers” in Oklahoma alle metropoli cosmopolite dell’Est e dell’Ovest, dalle case di riposo per anziani ai banchieri di Wall Street, la risposta è stata unanime: no, grazie. Questi 792 miliardi di dollari, questo milione e cinquecentomila miliardi di lire son un ”caval donato” al quale gli americani hanno guardato bene in bocca e quello che hanno visto non gli è piaciuto. «Certamente - hanno risposto gli interrogati - pagare meno tasse e conservare qualche soldo in più dentro le tasche fa piacere a tutti, ma ci sono problemi più urgenti e importanti da risolvere con quei soldi per il futuro». C’è l’istruzione pubblica, da irrobustire e migliorare e c’è il fondo nazionale della sicurezza sociale, il fondo che paga le pensioni pubbliche e che promette di restare senza soldi in dieci anni, dunque privando delle pensioni minime la generazione di coloro che oggi hanno cinquant’anni. Ci sono i 6 trilioni di dollari di buoni del Tesoro, dunque di debito nazionale e internazionale, che il governo americano deve ai suoi creditori interni e internazionali e che continua a lievitare, spinto dagli interessi composti. Ci sono i programmi di assistenza sanitaria agli anziani e ai poveri, ”Medicaid” e ”Medicare”, in crescente difficoltà finanziaria. E c’è soprattutto il sentimento diffuso, a destra come a sinistra, che si siano tagliati ormai abbastanza rami secchi dal vecchio albero del Welfare State e la grande potatura degli anni 80 e 90 abbia avuto l’effetto voluto sull’economia: il numero di americani che ricevono assegni di sussistenza si è dimezzato, da 8 a 4 milioni di persone negli anni 90, mentre la disoccupazione è al minimo storico del dopoguerra. E Clinton, con il suo finissimo naso politico, ha già garantito il ”veto” alla finanziaria 2000 che lui ha definito, in perfetta sintonia con il pubblico, «semplicemente irresponsabile».
• Naturalmente è facile, per contribuenti come quelli americani che versano allo Stato federale non più del 15% dei loro guadagni dopo tutte le detrazioni, essere generosi e previdenti. agevole, per questa America che continua a sfidare tutte le previsioni e cresce a dispetto delle docce fredde sugli interessi inflitte da Greenspan alla banca centrale, guardare al futuro dei giovani, della scuola, dei vecchi e respingere la tentazione miope dei ”pochi, maledetti e subito” che la demagogia repubblicana gli offre. Quando il tempo medio di attesa per trovare lavoro di un neo laureato è di quattro settimane, si può guardare con calma al futuro e dare per scontato il presente. Né la sorprendente reazione contraria al regalo fiscale deve far pensare che gli americani abbiano improvvisamente riabbracciato i sogni dello stato assistenziale e della socialdemocrazia scandinava. Gli americani ci dicono semplicemente che il Welfare State non deve essere demolito. Deve essere, come tutto, adeguato al tempo. Un ”Welfare Light” è stato definito.
• L’elettorato, la gente, ha misurato la realtà con quel metro che i politici spesso ignorano, il metro della propria esperienza quotidiana e ha capito che trovarsi due o trecento mila lire in più all’anno nella busta paga (questo sarebbe lo ”sconto”) mentre l’edificio della sicurezza sociale si sgretola e le scuole pubbliche affondano sarebbe un pessimo affare e ha respinto la ”irresponsabilità” demagogica dei partiti. La controrivoluzione fiscale americana è la controrivoluzione del buon senso comune che diventa fenomeno politico: venticinque anni or sono, i cittadini dissero basta alla irresponsabilità fiscale di una classe politica ”liberal” che spremeva tasse per finanziare i disavanzi di bilancio e per restare al potere, zavorrando l’economia. Oggi, ripete il suo ”basta” in senso opposto, fermando la mano di chi sarebbe disposto a devastare il futuro sociale in cambio di trenta denari, e di un voto, subito. Quel regalo fiscale poteva far gola, ma era una mela avvelenata di ideologia che la gente ha finora respinto. Le notizie sulla morte dello stato sociale in America, erano dunque, come quelle sulla morte di Mark Twain, largamente premature.