Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 1 gennaio 2002
Rondini e balestrucci si vedono volare durante l’inverno, nelle città del centro-sud Italia
• Rondini e balestrucci si vedono volare durante l’inverno, nelle città del centro-sud Italia. Questo perché trovano ancora il loro cibo preferito: gli insetti. E, se è un piacere vedere nel nostro cielo sfrecciare le rondini, siamo un po’ meno rallegrati dal fatto che mosche e zanzare continuino a tormentarci anche nella ”brutta stagione”.
Da questi ed altri segni – fioriture molto anticipate, posa delle uova di passeri e piccioni in ogni mese dell’anno, rospi gracidanti in inverno,... – ci accorgiamo che il clima sta cambiando.
Gli studiosi allarmati parlano ormai di ”tropicalizzazione” del clima del Mediterraneo. Constatano, infatti, oltre l’aumento in media della temperatura, il fatto che si presentano sempre più periodi di piogge violente alternati ad altri di siccità (anche invernali). Una conferma evidente di questo cambiamento climatico è data dal sopraggiungere nel Mediterraneo di oltre un centinaio di specie di pesci ”tropicali”, come, per esempio, il pesce pappagallo.
Sembra proprio che un’intera fascia climatica si sposti dall’equatore verso nord, portandosi dietro il deserto. Responsabile di questo cambiamento climatico è, ormai senza dubbio, l’effetto serra. Eppure finora si è fatto poco o nulla per porvi rimedio, negando, in certi casi, perfino l’esistenza del problema.
Questo effetto è provocato da uno strato di gas – anidride carbonica, metano, clorofluorocarburi, ossidi d’azoto,... – che impedisce alla radiazione termica solare, assorbita dal suolo e poi riemessa verso il cielo, di disperdersi completamente nello spazio. Lo strato di gas, insomma, si comporta come il vetro di una serra, che permette ai raggi del Sole di entrare, ma ostacola l’uscita del calore.
• In realtà un moderato effetto serra c’è sempre stato sulla Terra ed ha permesso lo sbocciare della vita. Se, infatti, non ci fosse neppure una bassa percentuale di gas serra nell’atmosfera, la temperatura media terrestre sarebbe di -18°C. Ma l’andamento degli ultimi decenni fa temere un incremento eccessivo del riscaldamento globale dovuto ad un accumulo sempre maggiore di questi gas emessi dalle intense attività umane. In particolare sono le attività legate all’industria, alla produzione energetica e ai trasporti le maggiori responsabili dell’immissione nell’atmosfera di anidride carbonica, metano e clorofluorocarburi. Negli ultimi 150 anni l’anidride carbonica è aumentata di circa il 25 per cento, perché le attività umane hanno liberato un quantitativo maggiore di quello che poteva essere smaltito per diffusione dagli oceani o attraverso la fotosintesi.
Un certo cambiamento climatico è già in corso da tempo. noto che negli ultimi cento anni, da quando cioè l’industrializzazione si è estesa, la temperatura globale è aumentata di oltre mezzo grado.
Sempre in questo lasso di tempo il livello medio degli oceani è salito di 2 millimetri all’anno, sia perché l’acqua riscaldandosi si dilata, sia perché una parte delle calotte polari e dei ghiacciai montani si è sciolta. In particolare si sa che i ghiacciai europei hanno perso metà del volume che avevano 150 anni fa e sulle Alpi il dimezzamento è avvenuto addirittura in 30 anni.
Inoltre è sempre più frequente l’allarme legato ad iceberg antartici di migliaia di chilometri quadrati, che si staccano andando alla deriva.
Secondo i meteorologi la temperatura del pianeta potrà, nei prossimi 50 anni, aumentare di una quantità tra 3 e 5 gradi centigradi, se l’anidride carbonica nell’atmosfera raddoppierà i suoi livelli attuali. Questa variazione di temperatura, che pare minima, ha portato in passato grandi rivoluzioni climatiche: per esempio alcune glaciazioni sono state provocate da una diminuzione di soli 5 gradi.
Gli scienziati che studiano i climi terrestri delle ere antiche sanno che i cambiamenti climatici non sono affatto graduali e, quindi, temono che possa avvenire un break anche in futuro.
Ora la macchina atmosferica, che regola la circolazione globale, può assorbire le variazioni fino ad un certo punto, finché scatta una modalità di funzionamento del tutto differente. Le avvisaglie di un drammatico cambiamento climatico si sono già avute. L’ultimo decennio del ventesimo secolo è stato il più caldo del secondo millennio e gli anni 1997 e 1998 sono stati in assoluto i più caldi degli ultimi duecento, perché hanno risentito degli effetti del Niño.
• El Niño è un’anomala corrente calda oceanica che si forma ogni 3-6 anni nelle acque superficiali del Pacifico nel periodo natalizio e poi dura diversi mesi. Si manifesta quando si indeboliscono gli alisei. Questi venti costanti, provenienti da est, tengono nel mezzo del Pacifico la Controcorrente Equatoriale e provocano così la risalita dal fondo marino, al largo del Perù, di acque fredde ricche di plancton. La Controcorrente, senza l’ostacolo degli alisei, può espandersi verso est e impedire la risalita di acqua presso le coste, con gravi effetti per la vita acquatica e per il clima. L’ultimo Niño, al culmine nel dicembre ’97, ha mutato l’andamento meteorologico dell’intero Pacifico equatoriale e, di conseguenza, di tutto il pianeta. In particolare l’Indonesia ha avuto mesi di siccità, le foreste di Sumatra, del Borneo e della Malaysia sono state divorate da incendi, in Mongolia la temperatura ha raggiunto i 42°C, in Kenya le precipitazioni hanno superato la norma di 1000 mm e il Madagascar è stato flagellato da cicloni. Al Niño, poi, è seguita La Niña, con un andamento climatico ed effetti sul pianeta che sono in genere l’opposto. Dove c’erano inondazioni è intervenuta la siccità, dove l’inverno era diventato mite, il clima si è fatto insolitamente inclemente.
Anche se la documentazione scritta degli effetti del Niño in Perù risale al 1525 e addirittura i ricercatori hanno scoperto tracce geologiche databili a 17.500 anni fa, è solo da una quindicina d’anni che gli scienziati stanno studiando a fondo il fenomeno. I climatologi, analizzando i dati in loro possesso relativamente all’ultimo secolo, sono d’accordo nel rilevare che gli eventi del Niño sono diventati più frequenti e sempre più caldi. Nell’ultimo secolo si sono manifestati 23 El Niño e 15 La Niña. Dei dieci Niño più forti, quattro, i maggiori, si sono verificati a partire dagli anni ’80. Non si sa ancora se questi dati indichino una tendenza irreversibile verso un aumento di intensità, oppure la concentrazione sia solo casuale. Un fatto però è certo: con il riscaldamento globale del pianeta provocato dalle attività umane, cresce la quantità di calore disponibile. Perciò il ciclo potrebbe accorciarsi, o perché diminuisce il tempo di ricarica, o perché il calore viene liberato in maniera meno efficiente.
Alcuni studiosi, quindi, mettono in relazione l’inasprimento del Niño con l’aumento dell’emissione dei gas serra. E il prossimo El Niño è alle porte: si scatenerà alla fine del 2002.
• Non esistono ancora però modelli completamente affidabili della futura evoluzione climatica perché si ignorano molte variabili, come per esempio la quantità di vapor d’acqua ad alta quota nelle regioni tropicali, oppure gli effettivi percorsi e influssi di tutte le correnti marine.
Un’altro effetto, molto probabile, del cambiamento climatico sarà la progressiva desertificazione di molte zone. Tra poco, forse, approderanno sulle nostre coste addirittura intere popolazioni provenienti dall’Africa Settentrionale per l’espansione del deserto del Sahara. La crescente desertificazione, lo scioglimento dei ghiacci polari e l’incremento delle perturbazioni sono in stretta relazione con l’aumento di temperatura, dovuto all’effetto serra.
Proprio per accordarsi sulle misure da adottare per diminuire l’effetto serra fu organizzata dall’Onu per la prima volta nel 1992, a Rio de Janeiro, la Conferenza Mondiale sul clima. Si dibatterono i problemi e si capì che era indispensabile una riduzione dei gas serra a breve termine, ma non si giunse a niente di concreto. Da allora si lavorò sia sul piano scientifico, che su quello politico, per capire meglio cosa fare. Vi fu l’importante Conferenza Mondiale di Kyoto nel 1997, in cui si decise di diminuire l’emissione di anidride carbonica entro il 2012 del 5% rispetto ai livelli del 1990, ripartendone i costi. In seguito si tennero, con alterne vicende, altri tre summit, a Buenos Aires nel 1998, all’Aja nel 2000 e a Marrakech nel 2001, per far rispettare gli impegni di Kyoto. L’accordo è stato alla fine raggiunto, con regole però meno rigide, anche con paesi come gli Stati Uniti responsabili dell’emissione del 25% di gas serra di tutto il pianeta. L’impegno di taglio dei gas serra nei paesi industrializzati si è limitato al 5,2% (l’impegno preso dall’Italia è del 6,5% e dall’Unione Europea dell’8%) e i paesi più inquinanti hanno la possibilità di aumentare l’estensione delle foreste invece che riconvertire le industrie.
Molti scienziati però sono scettici sulla reale validità di queste misure per evitare sconvolgimenti climatici. Il taglio del 5,2% dovrebbe essere solo il primo passo, per poi salire fino all’80%!
Ormai alcuni ritengono inarrestabili le variazioni climatiche, vista la mancanza di volontà per decisioni più radicali da parte dei governi, e pensano che si dovrebbe in breve studiare procedure e tecnologie di adattamento per non subire troppi danni.
• L’ultimo cambiamento climatico repentino, si ebbe diecimila anni fa e ad esso sopravvissero gli esseri viventi che seppero adattarsi in modo adeguato alle condizioni diverse. Ora per animali e piante forse sarà più difficile cambiare habitat a causa della limitatezza delle zone naturali lasciate intatte da case, cemento ed asfalto. Molte specie sono in pericolo e molte si stanno già inevitabilmente estinguendo. Ma anche l’uomo corre dei rischi.
Coste e città in riva al mare, a causa dell’innalzamento del livello degli oceani previsto di 20 – 30 centimetri entro il 2050, saranno sommerse, zone fertili si inaridiranno, scarseggerà l’acqua potabile, aumenteranno le inondazioni e le malattie infettive.
Gli scenari previsti per l’area mediterranea, che è stata la culla della civiltà proprio per il suo clima, sono piuttosto cupi. In particolare l’Italia è uno dei paesi minacciati da rischi ambientali e sanitari provocati dall’aumento dell’effetto serra. Il caldo e la conseguente maggiore evaporazione provocano un tasso di riproduzione più elevato di parassiti ed insetti portatori di malattie infettive. Questi ultimi sono agevolati anche dalla quasi completa scomparsa delle gelate notturne invernali. E così le aree in cui si manifestano malaria e dengue (febbre rossa) si stanno allargando e in un futuro molto prossimo investiranno anche l’Italia meridionale, insieme ad altre zone a rischio del Mediterraneo.
Inoltre l’aumento del livello marino potrebbe portare le acque ad invadere molte coste, determinando anche infiltrazioni saline nelle falde acquifere costiere. Ampie regioni di Spagna, Corsica, Grecia e Italia si stanno inaridendo, perché soggette a un processo di desertificazione, e regrediranno sempre di più i ghiacciai montani. Si prevede che entro il 2100 il 95% dei ghiacciai alpini si scioglierà.
• Le perturbazioni nell’area mediterranea diventeranno più intense, di tipo monsonico.
Seguiranno a lunghi periodi di siccità periodi piovosi con tempeste che scaricheranno in breve tempo grandi quantità d’acqua, provocando alluvioni e frane. L’esempio di Sarno è molto indicativo su ciò che ci aspetterà in futuro, anche perché in Italia ci sono parecchi territori poco curati e dissestati - anche a causa della deforestazione e della cementificazione selvaggia - dal punto di vista idrogeologico.
In generale per adattarsi alla maggiore furia degli agenti atmosferici, dovuta ad un incremento di energia termica disponibile, sarà necessario fornire informazioni meteorologiche più particolareggiate e tempestive alle aree interessate ai cambiamenti e monitorare costantemente, tramite satellite, i territori. Inoltre bisognerà controllare gli alvei dei fiumi, riforestare le alture franose, rendere più efficienti le fognature, modificare le strutture degli edifici, obbligando in talune situazioni a non abitare i piani bassi.
In generale, per potersi adattare al cambiamento climatico, bisognerà che si riduca la domanda di certi beni, come per esempio i suoli coltivabili (strappati sempre più dissennatamente alle foreste) e l’acqua potabile, perché ci sarà crisi delle risorse idriche.