Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 13 dicembre 1999
Lunedì 6 dicembre alle 6 e 55 due furgoni blindati Veliapol di Velie (Lecce) sono stati assaltati da un gruppo di rapinatori armato di fucili da guerra e lanciagranate mentre percorrevano la strada provinciale da Copertino a San Donato (dovevano consegnare il denaro agli uffici postali del Basso Salento)
• Lunedì 6 dicembre alle 6 e 55 due furgoni blindati Veliapol di Velie (Lecce) sono stati assaltati da un gruppo di rapinatori armato di fucili da guerra e lanciagranate mentre percorrevano la strada provinciale da Copertino a San Donato (dovevano consegnare il denaro agli uffici postali del Basso Salento). Il commandos, composto da almeno 10 persone, ha speronato con un camion il primo furgone porta valori e sparato una granata sul secondo che tentava una disperata retromarcia per sfuggire alle raffiche. Di seguito il racconto di Giuseppe Quarta, unico sopravvissuto all’esplosione della bomba. Le guardie private uccise sono Pulli Luigi, 52 anni (alla guida del primo mezzo buttato fuori strada dal camion), Arnesano Raffaele, 27 e Patera Rodolfo 31, tutti e tre di Veglie (Lecce).
• «Sono comparsi davanti a noi all’improvviso, come se fossero usciti dal sottosuolo. Erano una decina, forse di più, tutti con il volto coperto. E sparavano come indemoniati. Sono stati dieci minuti d’inferno, ero sicuro di esser morto anch’io». Giuseppe Quarta, uno dei tre vigilantes sopravvissuti alla strage di Copertino, fa la guardia giurata da vent’anni. Non è la prima volta che rischia la pelle. Nella sua carriera di «vigile scelto ed emerito di servizio» ci sono state almeno tre sparatorie in cui ha pensato che non sarebbe tornato più a casa, dalla moglie Maurizia e dai figli Antonio, Lorenzo ed Erica. Per due milioni e quattrocentomila lire al mese, assegni familiari compresi. [...]
«Finora - dice - con i miei colleghi avevamo affrontato delinquenti armati persino di fucili a pompa caricati a pallettoni. Mai però avevo visto tanti kalashnikov tutti insieme. Le pallottole piovevano come noci di grandine. Saranno state cento, duecento, non so. Troppe per pensare di poter reagire al fuoco. Sparare a nostra volta sarebbe stato inutile».
• Cos’altro poteva fare allora Giuseppe Quarta, se non cercare di schivare i colpi, riparandosi alla men peggio con il giubbotto antiproiettile? «Ero nel secondo furgone blindato - racconta -, accanto al mio collega Rodolfo Patera, che guidava. Dietro di noi, Raffaele Arnesano. Quando abbiamo visto il camion investire il primo furgone, abbiamo capito subito. Patera ha frenato di colpo e ha innestato la retromarcia. Ma dietro di noi un fuoristrada ci ha bloccati. Il povero Patera allora ha cercato di fare inversione di marcia, ma il panico lo ha paralizzato e il nostro furgone è rimasto lì, inchiodato al suolo, mentre i banditi mascherati ci sparavano addosso. D’istinto, ci siamo rannicchiati, forse ci siamo quasi sdraiati l’uno sull’altro, usando il giubbotto antiproiettile come una coperta. E sempre d’istinto, io sono riuscito ad afferrare la ricetrasmittente e a dare l’allarme. ”Correte! Vogliono ammazzarci, ci stanno ammazzando!”, ho gridato, mentre con Patera ci tenevamo per mano, come bambini terrorizzati. Credo che all’altra parte abbiano sentito le raffiche di mitra e si siano resi conto che eravamo in trappola, come bestie al macello».
• Dal primo blindato, i banditi hanno portato via i soldi, quasi due miliardi, facendosi largo tra il corpo senza vita della guardia giurata Luigi Pulli, 52 anni, morto sul colpo nello scontro con il camion, e dei suoi due colleghi feriti, Claudio Matino e Giovanni Palma. Per loro fortuna, i due avevano perso conoscenza e sanguinavano. I banditi devono averli creduti morti e non li hanno finiti. Ma sul secondo furgone si sono accaniti con le bombe. Per scardinare la cassaforte che conteneva un miliardo e trecento milioni, contro il mezzo blindato hanno puntato un lanciagranate. « stata un’esplosione tremenda, come non ne ho sentite mai in vita mia - racconta Giuseppe Quarta -. E nel cuore di quel boato c’eravamo noi. Siamo morti, è finita, mi sono detto, e ho chiuso gli occhi, mentre stringevo forte la mano di Rodolfo Patera e quella di Raffaele Arnesano. Poi, io ho riaperto gli occhi, i miei amici no».
• Tace per lunghi attimi, Giuseppe Quarta. Il suo fisico è possente, alla Mike Tyson, ma i suoi occhi tradiscono il dolore e la commozione per ciò che sta per dire. «Io ho riaperto gli occhi - ripete -, ma ho visto l’orrore. Di Rodolfo, ho visto solo la mano che stringevo. Di Raffaele, soltanto la testa...». L’esplosione li aveva dilaniati. [...] «Io ce l’ho fatta, loro no - dice Giuseppe -. Perché? Sarà che ciascuno di noi ha un destino a cui non può sfuggire? Oppure a me mi ha protetto la Madonna? E perché a me sì e a loro no? Non è giusto che stasera tante famiglie siano in lutto per colpa di bastardi assassini». Pensa alla cena di sabato scorso, Giuseppe, che avevano fatto tutti insieme a Porto Cesareo. «Eravamo amici, capisce, amici prima che colleghi. Erano anni che lavoravamo assieme. Questa sera, sarei stato di turno con Rodolfo, e invece sono qui a dirmi che lui non c’è più».
• Flavio Matino e Giovanni Palma, gli altri due sopravvissuti, ce la faranno. Fratture alle costole per Flavio, un intervento chirurgico alle gambe per Giovanni, «ma per fortuna possiamo giudicarli fuori pericolo», dicono i medici dell’ospedale di Copertino. Ma Giuseppe Quarta è considerato un miracolato. «Sono rimasto praticamente illeso - dice di se stesso -, me la sono cavata con un timpano rotto. Pazienza se da un orecchio non sento nulla, mi farò operare e recupererò l’udito. Non del tutto, ma che importa? Io ho visto la morte, giuro, l’ho vista». E che faccia aveva? «Brutta. Bruttissima - risponde Giuseppe -. Così brutta che solo dopo averla vista si può capire quanto sia prezioso ogni minuto di vita». [...]