Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 23 maggio 2004
Le polemiche di pasquino In passato a Roma c’era l’abitudine di appendere ai piedi delle statue messaggi satirici e invettive contro papi e potenti
• Le polemiche di pasquino In passato a Roma c’era l’abitudine di appendere ai piedi delle statue messaggi satirici e invettive contro papi e potenti. Una delle statue più famose era il cosiddetto ”Pasquino”, un busto mutilo che forse in origine rappresentava Menelao e che oggi dà il nome a una piazza. Pasquino pronunciò le sue ultime battute nel settembre del 1870. L’ispiratore dei malevoli versi pare fosse il cardinale Filippo Maria Guidi, arcivescovo di Bologna, secondo alcuni figlio di papa Pio IX. Il 18 giugno del 1870 il Guidi s’era opposto alla proclamazione del dogma dell’infallibilità papale. Subito dopo la proclamazione, ai piedi della statua comparvero i versi: «Quando Eva morse e morder fece il pomo; / Iddio per salvar l’uomo si fece uomo; / or per distrugger l’uomo il nono Pio / nato dal fango, vuol credersi Iddio». Dopo d’allora, il Papa non si mostrò più in pubblico: secondo alcuni a causa della salute malferma, secondo altri per il dispiacere causato dal comportamento del figlio. L’ultima pasquinata fu trovata il 17 settembre attaccata a un ombrello rotto sulla gradinata di san Pietro: «Santo Padre Benedetto, / ci sarebbe un poveretto / che vorrebbe darvi in dono / quest’ombrello. poco buono, / ma non ho nulla di meglio. / Mi direte: a che mi vale? / Tuona il nembo, Santo Veglio, / e se cade il temporale?». Tre giorni dopo cadde lo Stato Pontificio.
• Unghie, ciocche, acqua Cronache di fine Ottocento riferiscono del fiorente commercio di bottiglie d’acqua saponata, che le cameriere prelevavano dal catino in cui Garibaldi s’era lavato. Al culto dell’eroe erano dedite anche alcune nobildonne: per esempio si raccontava di una baronessa che conservava in una teca frammenti delle unghie che gli aveva tagliato. In una lettera è lo stesso Garibaldi a rassicurare Lady Shaftesbury, dicendole che i capelli gli stavano crescendo e che non avrebbe mancato di spedirle una ciocca non appena se li fosse tagliati.
• metro cubo Garibaldi definì il Papa «un metro cubo di letame» e battezzò ”Pio IX” il suo somaro.
• il matrimonio di Sacher-masoch Nel 1870 Leopold von Sacher-Masoch, docente di storia all’università di Graz, pubblicò il romanzo erotico Venere in pelliccia, con cui ottenne il successo che i precedenti libri (saggi storico-politici) non erano riusciti a garantirgli. Nel 1872 aveva 36 anni ed era già abbastanza famoso quando attirò l’attenzione di Aurora Rümelin: magro, vestiti neri, il volto pallido e affilato, sguardo tormentato, colpì profondamente la fantasia della ragazza che lo vide camminare per le vie di Graz. Lei, ventottenne, di professione guantaia, pensò di scrivergli lettere che firmava come Wanda von Dunaiew, l’eroina di Venere in pelliccia. Dopo lo scambio di alcune missive, Masoch volle conoscerla: quella si presentò con il volto nascosto da un velo, ma a lui piacquero subito le mani robuste di lei e la volgarità. S’innamorarono fino a sposarsi e a generare tre figli. Lo scrittore le fece firmare un contratto: «Mio schiavo, le condizioni alle quali vi accetto come schiavo e vi tollero vicino sono le seguenti: dovete rinunciare totalmente al vostro Io. Non avrete altra volontà che la mia. Siete tra le mie mani uno strumento passivo che esegue senza discutere tutti i miei ordini. Se per caso un giorno non mi obbediste più in tutto e per tutto, avrò il diritto di frustarvi. Se vivrò nel lusso lasciandovi nel bisogno, se vi schiaccerò sotto i piedi, dovrete senza lamentarvi baciare il piede che vi schiaccia». Quand’erano lontani, le mandava lettere in cui mescolava quotidianità familiare e desiderio di violenza: «I bambini stanno tutti bene e sono buoni. Quanto sarei felice di ricevere un solo calcio da te, non occorre che te lo dica». Una volta la obbligò a brandire uno staffile, avvolta in una pelliccia d’ermellino, in piedi davanti a lui mentre un odontoiatra nel più completo imbarazzo gli estraeva un dente. Dopo dieci anni di matrimonio Aurora-Wanda lo abbandonò per seguire a Parigi Armand Rosenthal, giornalista di ”Le Figaro”. Raccolse le memorie della sua vita con Sacher-Masoch in Germania nel 1906 con il titolo Le mie confessioni: «Non passò giorno senza che io frustassi mio marito. All’inizio ciò mi costò un grande sforzo, ma poco a poco mi abituai».
• il modesto verdi Giuseppe Verdi aveva un carattere burbero e non amava gli onori: quand’era in vita rifiutò che gli venisse intestato il teatro di Busseto e l’ospedale che aveva fatto costruire. Il portavoce di una delegazione che gli rendeva omaggio dicendo: «Al più grande musicista del paese», si sentì interrompere: «No, no, lasci andare il musicista. Io sono uomo di teatro». Verdi non faceva vita mondana, non si lasciava trascinare in polemiche, non si curava mai di smentire notizie inesatte riguardo alla sua attività e alla sua vita, odiava i pettegolezzi. Soltanto una volta, a chi gli rimproverava la convivenza con la Strepponi e gli anni trascorsi insieme prima di sposarla, scrisse parole di fuoco: «Io non ho nulla da nascondere. In casa mia vive una Signora libera e indipendente, amante come me della vita solitaria. Né io né lei dobbiamo a chicchessia conto delle nostre azioni; ma d’altronde chi sa quali rapporti esistano fra noi? Quali gli affari? Quali i diritti che ho io su di lei, ed Ella su di me? Chi sa se è o non è mia moglie? Chi sa se ciò sia bene o male? Non potrebbe anche essere un bene?».
• 150 mila franchi per l’aida Per festeggiare l’apertura del canale di Suez (1869) il viceré d’Egitto commissionò all’architetto livornese Pietro Avoscani la costruzione di un grande teatro d’opera al Cairo. Per l’inaugurazione avrebbe voluto che Verdi componesse qualcosa, ma quello rifiutò dal momento che non amava comporre su commissione. Così all’apertura del teatro (1870) ad andare in scena fu il Rigoletto. Il viceré comunque non rinunciò all’idea di commissionargli un lavoro. A intervenire fu Camille Du Locle, direttore dell’Opéra Comique di Parigi e amico di Verdi, che chiese al maestro italiano di musicare un soggetto d’argomento egiziano dell’egittologo francese Auguste Mariette. Verdi tentennò fino a quando il Du Locle non tirò in ballo Wagner: disse infatti che se non l’avesse scritta, probabilmente l’avrebbe fatto il compositore tedesco. Fissò il compenso per una cifra molto alta (150 mila franchi) e s’impegnò a trovare un direttore d’orchestra per la prima del Cairo. Verdi compose molto velocemente e, non avendo intenzione di andare in Egitto, appuntò sulla partitura minuziose indicazioni per la messa in scena. Nel novembre 1870 l’Aida era terminata, e il 24 dicembre al Cairo andò in scena (al viceré piacque talmente tanto che premiò Verdi con il titolo di Commendatore dell’Ordine Ottomano).
• uno spettatore scontento Il 17 maggio 1872 un Prospero Bertani, deluso dall’Aida, scrisse al compositore Giuseppe Verdi per chiedergli il rimborso di 31 lire e 80 centesimi, comprendenti il costo di due biglietti per assistere all’opera, le spese di viaggio per raggiungere il Teatro di Parma e il costo di «due cene scellerate alla stazione». Verdi incaricò l’editore Ricordi di rimborsare al Bertani le spese di viaggio e del biglietto (escluse le quattro lire pagate per cenare alla Stazione), a condizione che lui sottoscrivesse di non andare più ad assistere alle sue opere, a meno di assumersi il carico della spesa relativa.