Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 12 dicembre 2001
Dopo averli tenuti nascosti per settecento anni, il mare ha restituito i relitti di due antichissime navi: una galea, regina incontrastata dei mari per tutto il Medioevo, e una rascona, tipica imbarcazione a fondo piatto tradizionalmente utilizzata per il trasporto fluviale
• Dopo averli tenuti nascosti per settecento anni, il mare ha restituito i relitti di due antichissime navi: una galea, regina incontrastata dei mari per tutto il Medioevo, e una rascona, tipica imbarcazione a fondo piatto tradizionalmente utilizzata per il trasporto fluviale. Per sette secoli il mare della laguna di Venezia le ha custodite sotto metri cubi di fango e ora le restituisce praticamente intatte.
Protetti da un recinto di metallo, per qualche giorno i relitti sono stati visibili prima di essere riconsegnati al mare che se ne prenderà cura di nuovo, almeno fino a quando non sarà approntato un opportuno laboratorio di restauro.
La scoperta è sensazionale, perché quello di Venezia è l’unico esemplare intatto di galea mai rinvenuto dagli archeologi subacquei: fino ad ora delle galee potevamo soltanto leggere alcune descrizioni tecniche sugli antichi trattati dei maestri d’ascia che le costruivano. La galea rinvenuta nelle acque della laguna, precisamente sull’isolotto sommerso di San Marco in Boccalama, a sud ovest di Venezia, può finalmente svelare i segreti di quest’antica imbarcazione.
• Il luogo del ritrovamento, che ora è a due metri sotto il livello del mare, fu abitato per la prima volta da una colonia di pescatori, intorno all’anno Mille, seguiti nel giro di pochi anni da una comunità di monaci agostiniani che vi costruirono un monastero. Come tutte le terre della zona, anche San Marco in Boccalama ha sempre dovuto lottare contro le minacce del mare: in un documento del 1328, Nicola, il priore della comunità religiosa, chiedeva aiuto al Senato di Venezia per restaurare alcuni edifici e per compiere le necessarie opere di consolidamento contro le maree. Era consuetudine utilizzare vecchie barche ormai in disuso come sbarramento per il mare, e San Marco in Boccalama non fece eccezione: l’Arsenale veneziano donò una galea e, molto probabilmente, un commerciante della zona fece lo stesso con una delle sue imbarcazioni a fondo piatto. Le navi, dopo essere state arenate sulla spiaggia dell’isolotto e affondate, vennero fissate tramite alcuni lunghi pali al fondale, dove avrebbero dovuto fronteggiare l’avanzata del mare. Il sacrificio delle navi, però, si dimostrò ben presto inutile: l’isolotto era già disabitato nel 1348, quando fu usato come fossa comune per le vittime della peste che aveva colpito Venezia. Nel corso del Cinquecento l’isolotto sprofondò per sempre e nessuno si ricordò più dei due relitti, almeno fino a poco tempo fa.
• Nel 1996, durante uno dei frequenti controlli dei fondali della laguna, un’équipe di archeologi, guidati dall’esperto Marco D’Agostino, trovò sull’isolotto sommerso, accanto alle fondamenta del monastero, la rascona, che in quell’occasione non fu recuperata. L’anno successivo, nel corso di un sopralluogo per verificare lo stato di conservazione del relitto, la stessa équipe riuscì a distinguere la sagoma di una seconda imbarcazione, la galea. D’Agostino: «Siamo partiti per compiere un lavoro archeologico con un preciso quadro in testa. Andiamo sul monastero dentro la laguna, troviamo le mura del monastero, i morti della peste del 1348 e controlliamo lo stato di conservazione del burchio. Non potevamo certo aspettarci di trovare una galea su quella che un tempo fu la spiaggia di un’isola».
• Lo studio dei relitti e dell’isolotto è iniziato a giugno di quest’anno, quando gli archeologi, lavorando in immersione, hanno cominciato a liberare i relitti dal fango che fino a quel momento aveva protetto il legno. Terminata questa prima fase, resa difficoltosa dalla scarsissima visibilità - che non poche volte ha costretto gli archeologi a procedere a tatto -, è stato costruito intorno alle carene un recinto di assi metalliche a tenuta stagna. Con l’aiuto di pompe idrovore, il sito è stato completamente prosciugato e finalmente quella che fu la spiaggia dell’isolotto è tornata ad essere visibile: una porzione di terra di forma pressoché circolare, racchiusa dentro una barriera di metallo, mostrava i suoi antichi relitti. Intorno, frammiste alla sabbia e alle alghe, molte ossa umane, i resti dei cadaveri qui sepolti nel 1348.
Una volta portate all’asciutto, le navi sono state misurate: la galea è lunga 38 metri e larga 2, per un totale di 29 file di banchi, mentre la rascona misura 26 metri per 6. Per evitare il crollo delle imbarcazioni durante le operazioni di rilievo e studio, era fondamentale tenere sempre bagnato il legno: a tale scopo è stato utilizzato un sistema d’irrigazione continua, in grado di mantenere costante il livello di umidità delle carene. Le operazioni si sono concluse con i rilievi fotogrammetrici del sito archeologico. Infine, le navi sono state ricoperte con un particolare tessuto e l’area è stata inondata di nuovo.
• Per il recupero bisognerà aspettare almeno il nuovo anno, quando sarà stato messo a punto un laboratorio di restauro in cui gli archeologi potranno prendersi cura delle imbarcazioni. Intanto, i primi rilievi sulla galea hanno svelato già qualcosa di sorprendente: su un’asse di legno prelevata dal rivestimento interno dell’imbarcazione, qualcuno, forse un membro dell’equipaggio o un falegname del cantiere, incise un disegno. Il graffito mostra una galea tecnicamente più avanzata rispetto a quella del ritrovamento: sono ben visibili tre rematori su ogni banco di voga (mentre l’imbarcazione di San Marco in Boccalama ne aveva solo due) e il timone assiale, che arrivò in area mediterranea solo molto tempo dopo.
Altri esami condotti su una trave della galea hanno permesso di datare il relitto: dall’esame C14 (che permette di datare tutti i materiali organici) e dagli anelli di accrescimento presenti sul legno, gli studiosi sono riusciti addirittura a scoprire che l’albero da cui proveniva la tavola venne abbattuto nel 1312, perciò l’imbarcazione dovrebbe essere di poco successiva. Anche se non è ancora stato deciso come si procederà per il recupero, sembra certo che le navi dovranno essere smontate pezzo per pezzo e portate in laboratorio, dove resteranno parecchi anni prima di poter essere mostrate al pubblico: occorreranno, infatti, almeno dieci mesi per completare il procedimento di desalinizzazione e altri tre anni per il trattamento con un impregnante (probabilmente sarà utilizzato il polietilenglicole).
• La pratica di utilizzare barche dismesse a protezione degli argini degli isolotti della laguna fa supporre che intorno a Venezia si possano trovare altre antiche imbarcazioni, forse altre galee. Sembra comunque che il ritrovamento di San Marco in Boccalama riuscirà a colmare molte delle lacune sulla conoscenza dell’arte della navigazione antica e sulla storia di queste imbarcazioni in particolare, che ebbero il momento di massima diffusione nel Cinquecento (nella sola battaglia di Lepanto del 1571 se ne contarono ben 208 cristiane e 230 ottomane). Ma le galee non furono soltanto navi da guerra: utilizzate anche nei commerci, prima di essere sostituite definitivamente dai galeoni alla fine del XVI secolo, solcarono tutti i mari d’Europa e del Mediterraneo. Avevano forma stretta e allungata, con un’unica grande vela, anche se il vero motore era costituito dai vogatori. La coperta, infatti, era quasi interamente occupata dai banchi di voga (circa 25 per lato, 2 o 3 vogatori ciascuno) separati soltanto da una corsia centrale.
• A bordo di una galea potevano trovarsi anche 250 uomini e a causa dell’eccessivo numero di persone concentrate in poco spazio spesso attorno al vascello si diffondeva un odore disgustoso, che obbligava la nave ad attraccare lontano dalle altre.
Si sa che inizialmente i vogatori erano uomini liberi ma senza disponibilità economiche, che cercavano di arrotondare la misera paga portandosi appresso piccole mercanzie da vendere nei porti. Ciascun membro dell’equipaggio aveva un ruolo preciso: lo scrivano di bordo annotava l’elenco degli uomini imbarcati, segnalando nome, cognome e compito. L’ufficiale addetto allo stivaggio si occupava di disporre le merci: anche un piccolo errore, infatti, avrebbe potuto compromettere la stabilità della galea. Tutte le riparazioni erano assicurate da un gruppetto di falegnami, carpentieri e operai specializzati nella chiusura delle fessure e nell’impermeabilizzazione dello scafo. Circa cinque balestrieri dovevano salvaguardare la nave dagli attacchi esterni. Il cappellano di bordo spesso faceva anche il paciere fra marinai e ufficiali, quando sorgevano dispute sulla scarsità di cibo: sulle galee, infatti, c’era poco pane e spesso di pessima qualità. Quello che c’era, era stivato nelle piccole camere sottocoperta e finiva per bagnarsi con l’acqua di mare, diventando immangiabile. A bordo c’era naturalmente un capitano, scelto dal Consiglio veneziano fra i membri del patriziato, e gli ufficiali di governo. Fu a partire dal Cinquecento che sui banchi di voga furono messi esclusivamente i carcerati, i quali per questo motivo presero il nome di galeotti.
• Nel Trecento la comunità di monaci agostiniani che risiedevano sull’isolotto di San Marco in Boccalama chiese l’intervento del Senato di Venezia per frenare l’azione distruttiva delle maree. Nelle terre della laguna era uso comune consolidare le spiagge utilizzando navi antiche: per questo motivo l’Arsenale di Venezia mise a disposizione dei monaci e dei pescatori di San Marco in Boccalama una vecchia galea ormai in disuso. Fu probabilmente un commerciante della zona a donare la rascona, imbarcazione a fondo piatto utilizzata per il trasporto e il commercio fluviale. Fatti arenare sulla spiaggia, i navigli furono affondati e assicurati saldamente al fondale con dei pali. La parte che emergeva venne tagliata via e disposta come ulteriore sbarramento. Nella foto sotto, la pozzanghera di forma regolare nasconde in realtà la carena della galea. Nella pagina accanto gli archeologi puliscono con cura la rascona e compiono le prime opere di rilevamento.